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 2006  aprile 03 Lunedì calendario

Buchwald Art

• Mount Vernon (Stati Uniti) 20 ottobre 1925, Washington (Stati Uniti) 17 gennaio 2007. Giornalista • «[...] il giornalista satirico più amato d’America [...] un premio Pulitzer alle spalle [...] articoli pubblicati in oltre 300 giornali in tutti gli Stati Uniti [...] ragazzo ebreo cresciuto in un orfanotrofio e riuscito a far ammettere alla casa cinematografica Paramount Pictures di avergli scippato il soggetto per un film con Eddie Murphy [...]» (Maurizio Molinari, ”La Stampa” 3/4/2006) • «[...] Sin dalla fine degli anni Sessanta Buchwald è stato definito il ”santo patrono della satira politica” e ”l’acume di Washington”, ed è stato il mentore forse irraggiungibile di un’intera generazione di umoristi. Era figlio di un commerciante di tende che morì quando lui era ancora bambino. La madre fu internata poco dopo in un ospedale psichiatrico e lui crebbe in un orfanatrofio insieme alle tre sorelle. Si appassionò alla politica sin da giovanissimo, e si convinse che l’unico modo per combattere il potere è quello di prenderlo in giro. Divenne l´editore di un giornale satirico, e sin da allora il suo umorismo fu caratterizzato da un’intelligenza irriverente ma mai volgare. Non si laureò e partì invece per Parigi, dove cominciò a scrivere sull’Herald Tribune. Rimase affascinato dalla cultura francese, e sin da allora un’altra caratteristica della sua ironia si basò sul contrasto tra culture diverse. In quel periodo divenne intimo amico di Elvis Presley, del quale raccontò gli amori ed i successi in un libro dal titolo ispirato a Casablanca (I’ll always have Paris) che si trasformò in un best seller. Tornò negli Stati Uniti nel 1962 e si stabilì a Washington, dove cominciò a raccontare le miserie e le contraddizioni della vita politica sul Washington Post. Il momento di massima popolarità va dal periodo della presidenza Johnson a quella di Carter, passando ovviamente attraverso l’era Nixon, a cui dedicò alcune delle sue battute più feroci. Ma fu quello il periodo in cui comprese con lucidità che anche il suo era un ruolo di potere, non estraneo al ”sistema”. Negli anni in cui i democratici riconquistarono la Casa Bianca dopo lo scandalo Watergate arrivò a dichiarare: ”se attacchi l’establishment a lungo e duramente, prima o poi ne diventi parte”. Combatté ferocemente il potere della televisione (’ogni volta che rifletti sul fatto che ha toccato il più basso livello possibile, arriva un nuovo programma che abbassa quel livello”) e difese il ruolo della carta stampata. Nel 1982 venne insignito del premio Pulitzer e ci fu un momento in cui le sue rubriche umoristiche uscirono contemporaneamente in cinquecento pubblicazioni, mentre libri come Washington ha delle perdite e Mentre Reagan dormiva divennero dei best seller. Con il mondo dello spettacolo ebbe rapporti turbolenti: la sua commedia Sheep on the Runway ebbe scarso successo, e nel 1983 citò la Paramount per plagio di una sua storia per il film Coming to America con Eddie Murphie. Fu lui a parlare per primo di ”contabilità in stile Hollywood” e dopo una lunga battaglia riuscì ad avere un rimborso di 900 mila dollari» (’la Repubblica” 19/1/2007) • «[...] Il mito di Buchwald, figlio di un industriale tessile di New York, fuggito di casa a 17 anni per arruolarsi nei marine e combattere nel Pacifico nella seconda guerra mondiale, nacque in Francia nel ”49, dove approdò dopo aver troncato gli studi all’università. In rapida successione, il ”New York Herald Tribune” gli affidò tre rubriche, una più esilarante dell’altra: la prima su Parigi di notte, la seconda di intervista con i personaggi più famosi del mondo, la terza sul lato comico dell’Europa (e dell’America). Un suo articolo del ”53, in cui spiegò ai francesi la Festa del tacchino o ringraziamento, ebbe un successo tale da venire immancabilmente ristampato di anno in anno. Buchwald rimpatriò nel ”62, attratto dal carisma di John Kennedy, e si stabilì a Washington. La satira politica fu il suo forte: ” il mio modo di regolare i conti, io sono un trasgressore” spiegò. E con auto ironia: ”Ma se si attacca l’establishment abbastanza a lungo, si finisce per diventarne un membro”. Premio Pulitzer nell’82, insediato alla Accademia delle arti e delle lettere nel ”96, Buchwald scrisse i suoi libri migliori in tarda età, Lasciare casa, un’autobiografia, e Amerò sempre Parigi, uno spiritoso spaccato della sua giovinezza. [...]» (Ennio Caretto, ”Corriere della Sera” 19/1/2007) • «[...] Sua madre era stata ricoverata in manicomio subito dopo la sua nascita, e lui non l’aveva mai più vista. Il padre, impoverito dalla Grande Depressione, lo aveva mollato in un orfanotrofio: ”All’età di sette anni avevo capito che l’unica maniera per sfuggire alla tristezza della vita era fare il buffone, possibilmente a spese di chi comandava”. Così aveva abbandonato la scuola, arruolandosi nei marines durante la Seconda Guerra Mondiale: ”Pulivo armi nel Pacifico e pubblicavo il giornalino del reparto, ma il corpo dei marines è stato la prima figura paterna che ho avuto”. A fine guerra aveva approfittato di una legge per il reinserimento dei militari, andando a studiare a Parigi: ”Volevo copiare Hemingway, rimpinzarmi di baguette e lumache, e trovare una ragazza che mi considerasse il più grande scrittore al mondo”. Laggiù, spacciandosi per ex assaggiatore di vini nei marines, aveva cominciato a scrivere una rubrica satirica sulla vita notturna della città dei lumi. In pochi mesi era diventato una dipendenza per i lettori. Quattordici anni dopo, l’assuefazione a Parigi e la curiosità per Kennedy lo avevano riportato a Washington, e il successo era diventato fenomenale. Raccontando come il presidente Johnson non riusciva a licenziare il capo dell’Fbi Hoover perché ”non esisteva”, o come Nixon combatteva la depressione, aveva piazzato la sua rubrica su 500 testate diverse, vincendo anche il premio Pulitzer nel 1982. [...]» (Paolo Mastrolilli, ”La Stampa” 19/1/2007).