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 2006  aprile 03 Lunedì calendario

ALESSI Mario

ALESSI Mario San Biagio Platani (Agrigento) 1961. Muratore. Il 2 marzo del 2006 rapì e subito dopo uccise Tommaso Onofri, 17 mesi. Condannato all’ergastolo (sentenza della Cassazione nel dicembre 2010) • «Il sentiero sterrato che porta al luogo dove è morto Tommaso è una discarica fitta di alberi e di cose usate e sfatte. Accanto alle sterpaglie che nascondevano il suo corpo ci sono il resto di un bivacco, bottiglie rotte, lattine accartocciate, lo scheletro di una poltrona bruciata, uno stenditoio arrugginito. La strada è disseminata di preservativi, gomme bruciate, riviste porno. Anche le storie di questi tre orchi di provincia portano il segno della precarietà che ispira questo bosco trascurato, attraversato del sentiero che i locali chiamano “la strada delle puttane”. La badilata sulla tempia di un bimbo di 18 mesi è l’enormità che conclude un percorso sempre ai margini, sempre alla ricerca della scorciatoia. Mario Alessi, il muratore, è da una vita che ci prova, a fare i soldi, sistemarsi, sempre pensando di essere un grammo più furbo degli altri. Le due denunce accumulate a Coenzo portano il timbro di falsa superiorità che ha esibito davanti alle telecamere. [...] faceva appelli per la liberazione di un bambino che sapeva bene non sarebbe mai più stato libero; qualche anno fa rubava i cani alle pensionate della Bassa parmense, poi le chiamava a casa dicendo che aveva ritrovato Fido e gli dessero centomila lire per il disturbo, che se le meritava. [...] un uomo chiuso e riservato, arrivato dalla Sicilia nel ’92. [...] Era partito con un lavoro fisso, alla “Vittur porte per ascensore” di Colorno lo avevano preso come facchino da una cooperativa di manovali, tre anni dopo l’avevano cacciato perché durante i continui mesi di malattia presi in azienda faceva il muratore per conto proprio. Per qualche anno aveva campato di lavoretti, aggiustando portoni, imbiancando le case sotto agli argini dove ogni tanto entrava il Po. È così che ha conosciuto Antonella, figlia di Antimo Conserva e Cosima Faggiano, pugliesi di Mesagne, provincia di Brindisi. Fanno i rottamai, raccolgono i cavi elettrici in giro per sfilarne il rame. [...] Antimo Conserva aveva comprato il casale in via Bocca d’Enza nel 1983, quando era tornato dalla Germania dove lavorava come muratore. Gli era costato poco perché è al fondo di una golena, appena il Po si alza va sott’acqua. Accadde nel ’94, danni per 26 milioni, quando Mario conobbe Antonella, si è ripetuto nel 2000. La donna che avrebbe dovuto custodire la prigionia di Tommaso è una tosta dal carattere forte, come il padre, noto per le sue sfuriate con i vicini. Mamma Cosima non era contenta di quella relazione, Alessi non le piaceva. Quando Antonella se ne andò di casa ne fece una malattia, un mezzo esaurimento nervoso. Aveva ragione lei. Nel 2000, era appena nato suo figlio, tornò da solo nella sua San Biagio Platani per le vacanze. Con un amico, aggredì una coppia che si era appartata. Legarono il ragazzo a un albero e lo costrinsero a guardare quel che facevano alla sua fidanzata. Le vittime erano minorenni. La Cassazione stabilì che il fatto era così schifoso che le famiglie dei ragazzi avevano diritto al risarcimento dei danni. Alessi tornò da un anno di carcere, ottenne il mandato gratuito per la cascina dove viveva con Antonella nascondendo il suo passato recente. Niente affitto in cambio della ristrutturazione. I debiti salivano, i lavoretti scendevano. “Inaffidabile”, dicono i suoi ultimi due padroncini. Alessi si avvitò in una vita agiata e in bilico, il calcestruzzo per costruire il gazebo, la tv, la stanza del bimbo e la macchina, tutti pagabili in rate mica tanto comode. Debiti, su debiti, più di 100 mila euro. Nel 2004, lavori di pavimentazione di un palazzo a Sorbolo, Alessi conosce Salvatore Raimondi [...] reputato in giro “uno strano”. [...] Quando Alessi gli parla del suo piano, accetta subito. Tommaso è stato ammazzato per questo, soldi veloci e facili. Una coppia doveva pagare le rate della lavatrice, il loro complice aveva la cambiale della palestra e della Telecom in scadenza. È già stato scritto, che il male è sempre una cosa banale» (Marco Imarisio, “Corriere della Sera” 3/4/2006). «Immobile, a fianco della strada, mostra ai poliziotti e ai carabinieri dove ha gettato il corpicino di Tommy. “Ma forse - dice quasi tra se, in preda a una voglia incontenibile di raccontare tutto, ma proprio tutto - era già morto, povero piccolo”. Non rinuncia alle frasi lacrimose, alla retorica da trash tv, neanche adesso. Il colpo di grazia, insomma, è quasi un gesto di buonismo. Gente abituata a sgozzare gli animali, gli agnelli e i capretti, sul pavimento davanti alla casa, tanto che i rivoli di sangue non riesce a dilavarli neanche la pioggia. [...] Ha i capelli grigi, folti e curati, è alto e ha le mani segnate dal lavoro. Maglione e blue jeans. Fa il muratore, il contadino, qualsiasi cosa. Ha 120 mila euro di debiti, la prima famiglia da mantenere in Sicilia (una figlia universitaria, l’altro alle superiori) e invia soldi quando può. A Parma era arrivato nel ’92, ad Agrigento era tornato nel 2000, giusto il tempo di farsi arrestare per uno stupro ai danni di una sedicenne. Il fidanzato lo aveva legato a un albero, perché potesse assistere al ciclo di sevizie. Un bel biglietto di visita. Ma il suo amico e datore di lavoro, Pasquale Giuseppe Barbera, non aveva avuto esitazioni e lo aveva spedito, assieme ad altri pregiudicati, a lavorare nella cascina degli Onofri. L’idea del sequestro nasce lì, durante i lunghi mesi trascorsi a Casalbaroncolo. “Io sono amico degli Onofri, una famiglia che è un modello per me - raccontava, come un juke box a tv, giornalisti, rotocalchi strappalacrime - ma non so nulla di Tommaso. Sono padre anch’io, ai bambini non si deve fare nulla”. E Tommy lo aveva visto? “Un bellissimo bambino, delizioso. Con me giocava spesso, mentre lavoravo per i genitori. Io a Paolo Onofri lo conosco così, non siamo amici e hanno detto che mi doveva dei soldi, invece non è vero”. In quei pochi minuti fa in tempo a indicare l’auto della polizia che incrocia nei dintorni. “Li vede? Tutto il giorno così. Mi hanno fatto due perquisizioni. Cercavano armi”. La voce diventa un sussurro. Occhi bassi, sdraiato sul divano, il carrello con le bottiglie dei liquori e l’immagine di Santa Rosalia appesa al muro. La casa è pulita, dappertutto ci sono i giochi del bambino. Accorato: “Da quel momento Giuseppe non dorme più, è rimasto sconvolto per questi controlli che hanno sconvolto la nostra famiglia, sa, non riesco neppure più a lavorare, non so come guadagnarmi il pane”. Qualche giorno dopo, quando già ha ricevuto l’avviso di garanzia: “Ho un peso sul cuore, non posso più vivere con questa terribile accusa”. Porta una mano sul cuore. Un gesto lento, studiato. “Sono completamente estraneo, ma chi può mai aver fatto male a un fagottino del genere, faccio un appello (rivolto a una delle tante telecamere) faccio-un-appello- per la liberazione di Tommaso. I genitori hanno già sofferto troppo”. Poi si scopre che lui e la moglie avevano persino tentato di guadagnare sulla morte di Tommy: “Se mi vuoi intervistare devi darmi dei soldi, mi hanno offerto anche mille euro, le tv. E tu quanto mi dai?”. E la moglie sta ad ascoltare, intuisce lo stupore e lo sdegno per questo mercanteggiare sul prezzo, e dice: “In questo momento, per noi, mille euro sono tutto. Ne abbiamo bisogno, Mario non riesce più a lavorare”» (“La Stampa” 2/4/2006).