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 2002  gennaio 11 Venerdì calendario

Il Plack, il Kleon, e il diabolico piano della motosega, diario, 11 gennaio 2002 Merano. Gli ha chiesto: «E ora?»

Il Plack, il Kleon, e il diabolico piano della motosega, diario, 11 gennaio 2002 Merano. Gli ha chiesto: «E ora?». «Sparisci!». Christian Kleon lo ha fissato con sguardo da ebete, rimanendo per un attimo indeciso se ubbidire o meno. «Vaffanculo» ha pensato ed è fuggito sull’erba bagnata di brina, dieci metri fino alla strada, tenendo ben stretta la motosega arancione con la mano destra. Andreas Plack, disteso sotto un meleto, aveva la gamba sinistra rovinata da un taglio profondo. Il sangue sgorgava a fiotti. Il cane di guardia al maso di Walter Gamper abbaiava forte. Dietro di sé il silenzio perfetto della campagna. Plack non urlava, benchè dovesse sentire un dolore atroce. rimasto così qualche minuto, supino sull’erba, sino a quando non ha sentito che il Kleon si era allontanato a tutto gas con la sua Rover. Erano questi i patti: aspettare qualche minuto, e poi dare l’allarme. Nel frattempo ci avrebbe pensato lui, era stato infermiere, sapeva come cavarsela. Si è trascinato per qualche metro. Era una sera fredda, ma non gelida. Presto sarebbe calata la nebbia, nessuno dalla strada avrebbe potuto vederlo. Le auto sfrecciavano veloci lungo la vicina statale Merano-Bolzano. Ha preso il cellulare, il numero del 113 era già impostato, bastava solo premere, «Questuraa», gli hanno risposto, ma lui è riuscito ad emettere solo un rantolo. Morto.  spirato alle 20.52, per dissanguamento, come ha poi accertato il medico legale. All’indomani la guardia giurata Massimo Burchiellaro, fermatasi sul ciglio della strada per fare pipì, ha scorto il suo corpaccione disteso nel frutteto: aveva lo sguardo rivolto al cielo e le braccia allargate. Sembrava un Cristo in croce. Erano le 9.10 del 28 novembre a Marlengo, periferia di Merano. E quindi questa è la storia di Andreas Plack, il giovane che voleva truffare l’assicurazione facendosi amputare la gamba dal cugino Christian Kleon. «Adesso», ha notato Petra Plack, la convivente di Andreas, «la gente sta con il Kleon, non con noi». Kleon si è fatto 21 giorni di carcere e poi, il 19 dicembre, è stato scarcerato: non può inquinare le prove e nemmeno c’è il rischio che reiteri il reato, ha scritto il giudice Alessandra Burei. Vallo a trovare un altro che sacrifica la propria gamba per incassare un miliardo dall’assicurazione. La Petra è biondina, sul robusto, ha un figlio di sette anni, avuto da un matrimonio con un tassista. Da due anni stava con Andreas, suo cugino di primo grado. Anche Kleon e Plack erano cugini. Christian è il figlio di Martha Plack, bidella a Bolzano, sorella di Paul, il papà di Andreas e di Rosemarie, la mamma di Petra. Vengono tutti da Silandro, il capoluogo della Val Venosta. Da tempo s’erano insediati in città, a Merano. Petra e Andreas vivevano in un appartamento in affitto, al terzo piano di un caseggiato di via San Francesco, poco lontano dal centro, dove scorre placido il Passirio. «Era un cucciolone, l’Andreas» racconta Petra, che odia il Kleon: «Non l’ho mai sopportato. Né ho mai capito perché l’Andreas ci perdesse così tanto tempo. ” lui che mi cerca”, si giustificava. In casa si dava tanto da fare. Sparecchiava la tavola, riempiva la lavastoviglie, passava l’aspirapolvere. Portava mio figlio a giocare a hockey su ghiaccio, la settimana prima di morire gli aveva comprato una nuova tenuta. Gli voleva bene, come se fosse stato suo». Andreas aveva 23 anni. Alto, grosso, pesava 120 chili. Non aveva mai avuto un lavoro veramente stabile. Da un mese lavorava all’Upim di Bolzano come agente antitaccheggio. Non aveva mai preso un ladro, ma nemmeno dato problemi. L’investigazione era il suo pallino. Aveva cercato di entrare in polizia ma lo avevano scartato perché sovrappeso. Per un po’ aveva lavorato come buttafuori nelle discoteche della zona: l’Après di Gargazzone, l’Exclusive di Lana e il Big’s di Bolzano. Aveva la smania del detective. Collaborava in nero con un investigatore privato della zona: scovare le infedeltà conuigali era la sua passione. Spesso se ne vantava con gli amici. Non teneva per sé certe confidenze. Entrava e usciva dalla caserma dei carabinieri. I militari lo hanno riconosciuto subito, vedendolo disteso nel meleto: «Ma questo è il Plack!». Tutti lo descrivono come un ficcanaso, ma bonaccione. Un po’ incostante, ecco. Per due volte si era speso come volontario della Croce Bianca, prima a Merano, poi a Lana, ma dopo pochi mesi aveva sempre smesso: «Si faceva veder poco», dicono. L’anno scorso, per qualche tempo, aveva collaborato con la Vfg, un’assicurazione austriaca sbarcata di recente in Alto Adige che sulla sua homepage in internet si presenta così: «All’inizio regnavano le tenebre... poi fu luce». Aveva coinvolto anche il cugino Kleon nell’impresa. Facevano i procacciatori di polizze. Gli affari andavano così così. Però si era comprato la Rover. Le macchine gli piacevano. Petra, dopo un passato da commessa alla boutique Hillary di Sinigo, stava a casa. In breve tempo avevano accumulato debiti con la Banca popolare di Merano per 60 milioni. La scorsa estate il Kleon aveva firmato una fideiussione di 30 milioni in loro favore. Petra aveva protestato: «Con tutti gli amici che abbiamo perché ti sei rivolto proprio a lui?». «Si è offerto lui», le aveva detto Andreas. Nella primavera del 2001 Andreas Plack comincia a prendere seriamente in considerazione la possibilità di farsi amputare la gamba, dopo avere stipulato una polizza miliardaria per invalidità permanente. un suo amico, assicuratore, a fargli venire l’idea. Ha perso un piede dopo un incidente stradale e l’assicurazione gli ha riconosciuto un’invalidità del 40 per cento. Prende una pensione, riesce perfino a guidare, conduce una vita normale. Plack va alla biblioteca comunale di Merano e sfoglia delle pubblicazioni sulle protesi. Chiede ad uno stupito medico di poter consultare un catalogo. Scopre che con una gamba di plastica si torna a camminare abbastanza bene. E si può tornare a guidare, a patto di rifare la patente. A giugno si presenta da Werner Kneissl, assicuratore del Lloyd Adriatico di Lagundo. Vuole una polizza assicurativa per invalidità permanente. «Perché ti serve?», gli chiede Kneissl. «Con il mio lavoro di infermiere ne ho viste di cotte e di crude. Voglio premunirmi». Kneissl gli offre una polizza di 500 milioni, ma lui rifiuta, vuole la più alta di tutte. La trattativa va avanti per tutta l’estate. tenace, non molla. A settembre l’affare si conclude. Plack stipula due polizze: una da un miliardo e un’altra da 400 milioni. Paga sull’unghia il premio di 5 milioni. Il contratto contiene una clausola: in caso di morte l’assicurazione pagherà 200 milioni a Petra (come è poi accaduto nella realtà). Gli sembra un piano perfetto. Se rimane senza gamba incasserà un miliardo e 400 milioni. Ne parla con Kleon. Il quale lo ascolta senza dire una parola. Come sempre. Gli dice: «Ti do 400 milioni se mi seghi la gamba». Kleon ha 29 anni, i capelli sempre arruffati, un viso imbronciato, porta occhiali da miope un po’ demodè. un solitario. Parla un italiano stentato. Non ha hobby, solo una breve parentesi come pompiere volontario, come tutti i ragazzi del Trentino Alto Adige. Ha frequentato la scuola alberghiera, pensava di fare il cuoco, ma poi ha scoperto che bisogna lavorare i sabati e le domeniche. Troppa fatica. Entra alla Seab, la società che ha in appalto la pulizia di Bolzano. Fa il netturbino. Sei ore al giorno di lavoro, uno stipendio di un milione e 800 mila lire al mese. Ogni mattina compie i 25 chilometri che separano Lana da Bolzano con la Golf comprata tre anni fa. Lavora sodo, si fa gli affari suoi, mai dato un problema, dicono alla Seab. Pochi mesi fa si è comprato un appartamento a Lana, abbandonando così la casa di mamma Martha e del suo convivente, Heinrich Vigl. Con suo padre, Moritz, affittacamere in Val Passiria, i rapporti si sono diradati da tempo. L’appartamento gli è costato 400 milioni, ha acceso un mutuo ventennale, mamma Martha contribuisce a pagarlo. Lana ha 8 mila abitanti e un solo consigliere comunale che parla l’italiano. All’indomani dell’11 settembre il sindaco Cristoph Gufler ha proposto di intitolare la piazza del paese a un ex dinamitardo, Jorg Pircher, condannato a otto anni di carcere per atti di terrorismo irredentista. Spiega il sindaco: «Anche Che Guevara e Garibaldi hanno seminato delle vittime per raggiungere il loro scopo». Ma a Kleon la politica non interessa. Da due anni è in cura presso un medico per depressione. (E alla fine il Consiglio comunale ha deciso di congelare l’intitolazione della piazza). Qualche settimana dopo il Plack e Kleon vanno da Waibl, negozio in via Mainardo, a Merano, a comprare la motosega a catena. «Entra tu, che qui mi conoscono», dice Plack, «e fatti fare un buon prezzo». Kleon entra, sceglie, acquista l’attrezzo per 600 mila lire. Un po’ se ne intende, qualche volta lo zio lo ha portato con sé in campagna a tagliare la legna. Plack resta fuori, ad aspettare. Poi sistemano la motosega nel cofano della Rover. Kleon nicchia. Questa storia dell’amputazione non lo convince. Un pomeriggio provano la motosega in campagna, ma fanno fatica ad usarla. «Non ci riuscirò mai», gli dice Kleon. «Vedrai che andrà tutto bene». Provano altre volte. Non riescono a farla partire. Plack ha pianificato tutto nei dettagli: il Kleon gli avrebbe dovuto tranciare la gamba, lui sarebbe riuscito a bloccare l’emorragia, grazie a quei rudimenti di medicina appresi nella Croce Bianca. Sarebbe stato lui stesso a dare l’allarme, chiamando l’ambulanza, oppure, come sospetta il sostituto procuratore Guido Rispoli, forse c’era una terza persona, che aveva l’incarico di transitare casualmente da lì, scoprire il Plack e dare l’allarme? Ma cosa importa? Gli avrebbero creduto in ogni caso: il povero Andreas era stato vittima di un pazzo con la motosega. E poi con tutti quei soldi se ne sarebbe andato via dall’Alto Adige. Quella era il suo sogno. E viene la sera del 27 novembre. «Andreas è tranquillo, come sempre», racconta Petra. Ha finito il suo lavoro all’Upim. Sono le 20, lei sta guardando la tv, suo figlio è a letto con la febbre. Andreas fa la doccia, lei prepara la cena. Mangiano la minestra, lui si veste, la saluta. Tutto in mezz’ora. Dice che deve andare in un pub di Lana, dove c’è un amico, uno del giro degli assicuratori, che lo aspetta. Deve saldare un debito di 300 mila lire. «Gli do solo 100 mila lire, il resto lo rendo dopo». Dice Petra: «Gli ho dato un bacio ed è uscito». Alle 19.30 si era incontrato con Kleon a Gargazzone per definire gli ultimi dettagli. Kleon ha lasciato la sua Golf nei pressi della Merano-Bolzano ed è salito sulla Rover di Plack. Lo ha accompagnato a casa, e lo ha atteso nel parcheggio dell’Opera serafica. La sera prima, nei pressi di un maso, erano riusciti finalmente a far funzionare la motosega. Sono pronti, quindi. Alle 20.35 Plack esce di casa, raggiunge il Kleon e insieme si dirigono verso Marlengo. «Questo è il posto», gli dice il Palck. Christian trema dalla paura, è incerto. Al semaforo sul ponte Resia gli spiega il suo formidabile piano: «Vedi, dirò che in questo punto uno sconosciuto è entrato di forza in macchina, minacciandomi con una motosega». Scendono, Kleon trasporta la pesante motosega, si infila un impermeabile di nylon per evitare di sporcarsi di sangue, Plack si adagia sull’erba. Con un taglierino si tagliuzza le guance, per simulare un ferimento. «Muoviti!». Kleon lo guarda con aria interrogativa. «Non puoi tirarti indietro, mi sono già ferito, come mi potrò giustificare con gli amici?». «Brrr». Sega fino all’osso. Sono le 20.45. Cinque minuti dopo squilla il telefono al commissariato di Merano. il rantolo di Plack. Plack è spirato quasi subito, stordito dallo choc emorragico. morto dissanguato, dopo che la vena e l’arteria tibiale della gamba sinistra sono state recise. La motosega Kleon l’ha buttata nell’Adige. Poi è tornato a casa. La Petra, nella notte, preoccupata per l’insolito ritardo ( «non l’aveva mai fatto»), ha perlustrato la zona, passando anche davanti al frutteto, ma è calata già la nebbia, non vede nulla. All’indomani, alle 19, quando ancora non si conosce il nome dell’assassino, Kleon la chiama sul cellulare: «Mi dispiace tanto. Posso fare qualcosa per te?». «Che ipocrita», dice adesso Petra. Alla Seab hanno deciso di riaccogliere Christian Kleon tra di loro, a partire dal 2 gennaio. Prima di Natale hanno convocato il personale e si sono raccomandati di non canzonarlo per la storia della motosega. A tutti i dipendenti è stato vietato di fare alcun accenno alla vicenda. Gli avvocati Alberto Valenti e Daniela Libelli gongolano: l’accusa pare intenzionata a derubricare l’iniziale imputazione di omicidio volontario in preterintenzionale. La difesa conta di giungere a una condanna per il reato di omicidio come conseguenza di altro delitto. «A quel punto verrebbe condannato a meno di tre anni, non finirebbe più nemmeno in carcere, ma sconterebbe la pena direttamente dai servizi sociali». Kleon se la caverà. Concetto Vecchio