Stenio Solinas Il Giornale, 24/01/2002, 24 gennaio 2002
I capolavori di Fini, vicepremier con il nulla sotto gli occhiali, Il Giornale, giovedì 24 gennaio 2002 In un lontano congresso del Movimento Sociale un cronista politico giovane e ”antipatizzante” scrisse che Gianfranco Fini, allora in corsa per divenirne segretario, era «un paio di occhiali sul nulla»
I capolavori di Fini, vicepremier con il nulla sotto gli occhiali, Il Giornale, giovedì 24 gennaio 2002 In un lontano congresso del Movimento Sociale un cronista politico giovane e ”antipatizzante” scrisse che Gianfranco Fini, allora in corsa per divenirne segretario, era «un paio di occhiali sul nulla». La definizione, peraltro non originale (la pronunciò il leader egiziano Nasser nei confronti di Sadat, «un paio di baffi sul nulla», e si rivelò sbagliata), può apparire, con il senno di poi, ingenerosa. Fini è oggi vicepresidente del Consiglio, il suo è il secondo partito della coalizione di governo, ministri di Alleanza Nazionale, l’erede del Msi che fu, sono presenti nell’esecutivo. Si tratta però di risultati talmente inimmaginabili ai tempi di quel giudizio che per essi si può con tranquillità parlare di miracolo, elemento che non attiene alla politologia ma aiuta. Per una più retta comprensione di quella frase, va altresì aggiunto che il nulla come pensiero politico ha una sua logica e una sua grandezza. Nell’Italia terminale della Prima Repubblica qualsiasi scelta (ideologica, di programma, di alleanze, di strategie, di tattiche) avrebbe comportato per l’allora Movimento Sociale la necessità di un ripensamento critico su se stesso, un sicuro, ulteriore ridimensionamento elettorale a breve termine, un incerto futuro in ripresa a lungo. Scegliendo di non scegliere, scegliendo cioè il nulla, Fini si atttestò su una linea funeraria: celebrava le esequie del partito, ma ritardava il più possibile il momento del trapasso. Poi arrivò Tangentopoli e un Msi escluso da tutti i giochi si ritrovò improvvisamente in gioco. Nei due schieramenti che andavano formandosi, il nulla finiano invece che un handicap si rivelò un elemento vincente: permise un’alleanza con soggetti non propriamente omogenei (l’anti italianità della Lega, il capitalismo all’americana di Forza Italia, residui e spezzoni democristiani), favorì, in un partito orgoglioso quanto sterile in termini di leadership, una concezione gregaria nei confronti del partner più potente della coalizione. Il capolavoro del nulla fu infine Fiuggi. Così come l’eredità fascista era stata l’unica identità a cui Fini aveva ancorato un Msi ridotto a lumicino, in un’ottica da fuoco fatuo che lentamente si spegne, il tributo antifascista fu visto come la sola via d’uscita dal rischio della ghettizzazione sempre, della non accettazione ancora. Cosa questo dovesse significare in termini politici, che tipo di partito, quali valori incarnare, quale elettorato inseguire, che ruolo avere in un sistema di alleanze, che tipo di Italia ipotizzare, venne considerato secondario. L’importante era togliersi la pregiudiziale nera. Al resto si sarebbe, semmai, pensato dopo. Così, non pensando, il nulla politico celebrò un nuovo soggetto e costruì il proprio trionfo. Successivamente cominciarono i guai, arrivò il ribaltone, si persero le elezioni, Berlusconi sembrò finire alle corde, pressato anche dal potere giudiziario. Fini commisse allora il suo primo e unico errore, aiutato in questo da una classe dirigente che essendo fatta, bene o male, di professionisti della politica, guardava comunque con superiorità ai dilettanti di Forza Italia, visti sì come elettoralmente più forti, ma valutati come politicamente incapaci. L’errore di Fini fu di pensare. Pensare politicamente, si intende. Ritenne cioè che dal numero due della coalizione potesse divenire numero uno, o quanto meno smarcarsi; che An potesse agire indipendentemente, che nuove strategie potessero essere intraprese. Fu il tempo della Coccinella e dell’Elefantino. Si sa come finì. Da allora Fini è tornato al nulla da cui era partito e che conoscce come le sue tasche. Segue la scia, si accoda, sfrutta e cavalca i temi che l’alleato più potente sceglie e/o rilancia. Così facendo ha riportato il suo partito al governo, gli ha dato dei ministri, una ricca messe di sindaci, assessori, presidenti di Regione. Un decennio di nullismo interrotto solo da qualche barrito lascia però sul terreno alcuni elementi su cui varrebbe la pena soffermarsi. Innanzitutto, un partito senza identità e senza prospettive autonome, non più identificabile, sottostimato in termini di potere politico reale (ministeri secondari, una vicepresidenza più di apparenza che di sostanza, eccetera). In secondo luogo, una sensazione di debolezza, di bisogno, comunque, di una tutela altrui, complicata dalla sconcertante ingenuità e/o pochezza di cui la sua classe dirigente e di governo dà conto ogni qual volta si avventura in dichiarazioni o in atti pubblici. In terzo, un complesso di inferiorità culturale che si estrinseca o in puro e semplice becerismo intellettuale, o in supina accettazione della cultura altrui, vista come legittimante della propria recente democraticità. In ultimo, una leadership più interessata al proprio immediato tornaconto, nel senso nobile del termine, che non al patrimonio di una forza politica in quanto tale. Il risultato finale del nulla politico consiste nell’annullarsi in qualcosa di più grande e questo spiega perché l’orizzonte di An sia destinato a stingersi nell’azzurro di Forza Italia fino a scomparire. Da Mussolini a De Gasperi, ultima tappa conosciuta di un citazionismo usa e getta, il periplo appare concluso e l’approdo è legittimamente centrista, para e post democristiano, popolare e qualunquista, un grande contenitore dove c’è posto per tutto e per niente, ma non per radicalismi o identità forti. Svuotata di ogni contenuto, la parola destra si rivela un’etichetta inutile e inservibile, buona tutt’al più per le correnti interne e fino a quando esisterà il partito. l’apoteosi del nulla, insomma, la politica fatta dagli altri ma in cui c’è spazio anche per te... Stenio Solinas