Geminello Alvi Corriere della Sera, 01/02/2002, 1 febbraio 2002
Le 35 ore ovvero la conferma che il fine del capitalismo è l’ozio, Corriere della Sera, venerdì 1 febbraio 2002 Di quanto avviene in Francia con le 35 ore si è discusso in questi anni male
Le 35 ore ovvero la conferma che il fine del capitalismo è l’ozio, Corriere della Sera, venerdì 1 febbraio 2002 Di quanto avviene in Francia con le 35 ore si è discusso in questi anni male. Come di qualcosa ch’era meglio comunque non nominare troppo. Dispiaceva agli industriali; ma innervosiva pure una sinistra impacciata di fare il suo mestiere, ancora non paga di aver lasciato calare la quota dei redditi da lavoro a favore delle rendite e dei profitti. Alla litigiosa élite dei Ds bastava esibire i propri contorti eccessi di zelo per un mercato rivelatosi anzitutto in forma di scarpine alla moda. Peccato. Perché quanto è avvenuto e avviene oltre le Alpi confonde sia i bertinottiani, per i quali le 35 ore sono la trovata più indubitabile per elevare l’occupazione, sia gli industriali, terrorizzati dall’aumento del costo del lavoro. La Francia conferma piuttosto quanto dottrinari e pavidi ogni volta trascurano: che la realtà supera sempre l’immaginazione. Le 35 ore hanno generato qualcosa di diverso, invece che peggio o meglio di prima. La misura ha coinvolto quasi la metà della forza lavoro, circa due terzi delle imprese con più di 20 occupati, generando il maggiore aumento del tempo libero dal 1936: tra 11 e 16 giorni di vacanze in più l’anno. L’ambito venerdì al mese festivo ha fatto calare gli acquisti al sabato e impennato i grafici degli acquisti di camper e di vacanze brevi. Un’altra riconferma che il fine del capitalismo è, purché si consumi, l’ozio per il maggior numero, non lo sfruttamento come predicava Marx. Si lavora per produrre il superfluo e lo svago, senza del quale non v’è lavoro: ecco la contraddizione capitalistica che Marx proprio non si attendeva. Ma a cui i più si sono ormai abituati. Tanto che pure per la destra francese, qualora vincesse le elezioni, sarebbe improbo tornare indietro. Altra evidenza: s’intensifica il lavoro. E i sindacati lamentano appunto che le imprese abbiano tagliato le soste e aumentato la flessibilità, preteso insomma un aumento della produttività. In effetti in una ricerca del ministero del Lavoro francese il 63 per cento degli intervistati si dice stressato dalle 35 ore, e il 67 per cento lamenta d’avere troppo da fare in troppo poco tempo. Non basta: gli industriali hanno usato le 35 ore per imporre una certa moderazione salariale. In un terzo dei casi i salari non si sono elevati; per l’8 per cento degli occupati sono addirittura calati. Altro vantaggio gli sgravi. Quindi è irrilevante che la Confindustria francese non abbia accettato che parte degli oneri pubblici siano coperti con l’avanzo della previdenza sociale o che la Corte Costituzionale le abbia dato ragione. invece notevole che le grandi imprese abbiano mutato in meglio quanto pareva dover sortire solo il peggio. Ma si moderino i tifosi italiani dell’esperimento: l’incremento dell’occupazione in Francia pare obbedire più alle fasi del ciclo economico che alle 35 ore. L’unico sicuro incremento sarà quello degli statali. Si parla, nella sola sanità, di almeno 30-50 mila occupati da qui a tre anni. Aumenterà l’occupazione dove si lavora peggio, e con un onere maggiore per lo Stato. Un esito meno sovietico è invece che la legge aumenterà la diversità tra i lavoratori. I quadri si sono depressi giacché, senza il loro di più di lavoro settimanale, i lavoratori restavano mal diretti. Ecco la necessità d’estendere il tetto di straordinari loro concesso. Altri tetti, alla fine, anche per le imprese con meno di 20 occupati; una dilazione per quelle con meno di 11. Che varietà d’esiti opposti a quelli pretesi o temuti ne sortirà. Non poteva essere altrimenti per una trovata che quel pazzoide di Trockij scrisse nel programma della Quarta Internazionale e chiamò allora scala mobile delle ore di lavoro. Geminello Alvi