Concita De Gregorio la Repubblica, 01/02/2002, 1 febbraio 2002
La Rosa piace a tutti, Freccero no, la Repubblica, venerdì 1 febbraio 2002 Roma. A scanso di equivoci: la Rai di Zaccaria chiude i conti in pareggio, l’azienda passa di mano sana
La Rosa piace a tutti, Freccero no, la Repubblica, venerdì 1 febbraio 2002 Roma. A scanso di equivoci: la Rai di Zaccaria chiude i conti in pareggio, l’azienda passa di mano sana. Chi conosce le cose Rai e non ha ambizione di potere, ma semplicemente tiene i registri, mostra le carte e ne parla a futura memoria. In effetti da qualche settimana nei pressi della Commissione di vigilanza e nelle anticamere di An e Forza Italia si sente dire il contrario: in azienda c’è un buco coperto alla meno peggio, di diverse centinaia di miliardi. La tecnica è nota, nei corridoi della politica la chiamano tecnica-Tremonti: intanto denunciare una voragine nei conti, ignorare le smentite, poi farsi paladini del risanamento. Berlusconi da una decina di giorni rilascia interviste in cui spiega che la Rai sarà privatizzata. Ieri l’ultima: «La privatizzeremo, non sappiamo ancora quando e come. Venderemo due reti». In margine, poi: «Bisognerà vedere in che stato la troviamo». Stato economico, perché il resto - la qualità, il prodotto, i palinsesti - è sotto gli occhi di tutti. Uno stato così così, ma questa è un’altra storia. Chi fa di conto, dunque, sfoglia i bilanci, mostra le carte e va a ritroso negli anni: il grosso risanamento - ricorda l’anziano dirigente - fu quello di Demattè e Locatelli. Moratti uscì lasciandola in ordine, ma con un indebitamento alto: circa 800 miliardi, molti meno comunque dei 1400 che aveva lasciato Agnes nel ’90, c’era stata la guerra delle star e l’indebitamento per Saxa Rubra. Oggi - giusto ieri il consiglio ha chiuso i conti - la Rai ha 100 miliardi di indebitamento su un fatturato di cinquemila miliardi, uno-due miliardi di attivo ed un utile stabile. Sarebbe andata anche meglio non fosse che l’Iri, il ministero del Tesoro, azionista, ha fatto discretamente sapere ai consiglieri che non era necessario chiudere benissimo: bastava chiudere benino. Così magari faranno meglio i prossimi. Anche perché il 2002 si annuncia difficile, per ben figurare il prossimo cda avrà bisogno di ruote di scorta: mancheranno gli 800 miliardi della vendita di RayWay che Maurizio Gasparri ha bocciato, i Mondiali di calcio sono costati 150 miliardi, la pubblicità è in un calo drammatico da cui solo Mediaset si salva. Un esempio concreto, un po’ tecnico ma utile a capire: il cda di ieri poteva presentare un budget per il 2002 migliore di quello che ha presentato, se per esempio avesse distribuito i costi di film e fiction su cinque anni (è il criterio di ammortamento Mediaset, e di tutte le aziende tv d’Europa) e non su tre. Su tre anni un film da 15 miliardi ne costa 5 all’anno, su cinque anni solo 3. La proposta non è passata, appunto, per un’obiezione dei sindaci revisori. La mano dell’azionista. è anche da qui che passano le grandi manovre per la presa di potere alla Rai. Dai conti, dalle nomine. Una mattina a mensa, a Saxa Rubra. Colloquio a un tavolo Tg1. Redattore: «Bisogna capire se passa la linea di occupazione morbida o la linea dura», caporedattore: «Prima bisognerebbe capire se Casini farà di testa sua, o se ascolterà le indicazioni di Berlusconi e degli altri». Ecco, è questo il punto. è questa una delle ragioni del nervosismo nell’Ulivo e nel Polo. Luciano Violante lo ha detto chiaro, dopo le nomine alla Convenzione europea, nomine che Casini ha fatto «di testa sua»: «Bisogna evitare che anche per la Rai si ripetano episodi di cesarismo», ha detto. Perché su Pera il Polo almeno fa più affidamento, ma se Casini farà «di testa sua» i fogli e i foglietti che Berlusconi ha riposto nelle mani di Letta potrebbero essere - non tutti, qualcuno - da buttare. Il consiglio si rinnova nel fine settimana fra il 9 e il 10 febbraio. C’è una piccola possibilità che la decisione slitti al 20: se la leggina sul conflitto d’interessi sarà discussa in Prima commissione, se non si troverà prima un accordo con la Lega. Al momento è la Lega il problema. Nel foglietto principale, il primo di quelli scritti da Berlusconi, quello sul consiglio di amministrazione, di posti per la Lega non c’è traccia. Il premier ha promesso a Bossi la guida delle testate regionali (per Roberto Nepote, oggi vicedirettore di RaiTre) e le testate regionali. La tecnica, come per i ministeri, è la moltiplicazione: il Gr unico fino ad oggi diretto da Paolo Ruffini torna a dividersi in tre, così da liberare posti per due direttori in più. Le grandi manovre, i corteggiamenti e le promesse, sono però ovviamente per reti e testate: la posta principale. Nell’organigramma del premier a Clemente Mimun va il Tg1, e pazienza se la forte componente cattolica della redazione protesta, sostenuta da An, e propone Fabrizio Del Noce. Alla Rete Uno Claudio Donat Cattin, uomo di Vespa e di Dc, o Carlo Rossella se non entrasse in consiglio. Al Tg2 Mauro Mazza, An, e ad An anche la Rete Due: Massimo Magliaro o Pasquale d’Alessandro. Freccero il più lontano possibile, a Serra Creativa o all’Ideazione dei programmi, una struttura nuova, un po’ come il ministero di Pisanu. Santoro come il fumo negli occhi: tutt’al più continuerà a fare il suo programma. Alla sinistra può restare il complesso Tre, rete per il dc di sinistra Giuseppe Cereda, tg per il mite Antonio Di Bella. Ma non è detto, ci sarebbe da trovare un posto da direttore anche per Anna La Rosa, che piace a tutti perché - ebbe a dire un ministro comunista - «non fa male a nessuno». Piace ad An e a Bersani, a Dell’Utri e a Diliberto, tutti hanno speso almeno una telefonata per lei: un po’ come la Marianna della Rai e del paese, La Rosa incarna con esattezza la dimensione dell’informazione pubblica e il suo legame con la politica. Restano la Radio, dove ci sarà posto per uomini che si sono spesi tanto per la causa: Belpietro, a cui Berlusconi offre la radio da mesi ma lui nicchia, pensava meglio, se dev’essere radio preferisce ”il Giornale”. Piero Vigorelli, Oliviero Beha, Daniele Vimercati, ma potranno restare persino, se lo vorranno, Paolo Ruffini ridimensionato a un gr e Sergio Valzania a una rete. Marcello Veneziani a Rai educational, promessa solenne, e qui finisce il progetto Berlusconi. Giusto un’incognita su Giovanni Minoli, tradizione socialista e moglie Bernabei, che ha amicizie trasversali - da Carra a Cossiga - e potrebbe ambire alla Rete Due: il problema è che Berlusconi lo vorrebbe mettere in quota all’opposizione, e l’opposizione alla maggioranza. Questo il progetto del premier, fitto di parentesi e subordinate. L’Ulivo oppone richieste cosiddette ”di garanzia”: una rete e un tg all’opposizione, ma che sia RaiDue e Tg2. Possibilità di successo, scarse: i candidati per la rete sono Fabio Fazio, per il tg Giulio Borrelli. Non sono gli unici ovviamente. L’incertezza, sotto il cielo dell’Ulivo, è massima. I veti incrociati fra alleati raggiungono livelli di sofisticazione visti solo al momento delle candidature nei collegi. Spiega per esempio un deputato ds in commissione di Vigilanza Rai che Marcello del Bosco e Vincenzo Vita si elidono a vicenda, come candidati per il consiglio di amministrazione: «Uno è troppo dalemiano, l’altro troppo veltroniano. E poi Del Bosco lo vuole anche Berlusconi, e non ci faremo certo indicare i nostri candidati dal governo». Ecco, le preoccupazioni sono queste. Del resto, ci sono otto segretari di partito al lavoro: Mastella non vorrà certo avere ombra da Parisi, né Castagnetti da Boselli. D’Alema sta studiando come rifondare l’Ulivo, dalla Rai si chiama fuori. Veltroni è in Brasile, nelle favelas. Per il 9 ha promesso che torna. Concita De Gregorio