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 2002  febbraio 04 Lunedì calendario

I teorici del trash hanno creato una comunità di mostri, La Repubblica, lunedì 4 febbraio 2002 Vedere la signora e la signorina Marchi tradotte al gabbio, a parte il normale malessere che accompagna sempre questo genere di disgrazie, dovrebbe suscitare in parecchi italiani anche una pena speciale

I teorici del trash hanno creato una comunità di mostri, La Repubblica, lunedì 4 febbraio 2002 Vedere la signora e la signorina Marchi tradotte al gabbio, a parte il normale malessere che accompagna sempre questo genere di disgrazie, dovrebbe suscitare in parecchi italiani anche una pena speciale. Diciamo: un rimorso intellettuale. Due decenni - circa - di magnificazione del trash non possono certo costituire, per le povere Marchi, un’attenuante spendibile. Ma dovrebbero costituire per la comunità mediatica nel suo complesso, e per molti intellettuali e giornalisti, almeno una ragione di seria riflessione. Quando veniva invitata nei meglio show nazionali, e salutata come un’eroina del popolo, non è che la signora Marchi facesse e vendesse cose differenti da quelle che l’hanno dannata. Ma era la punta di diamante di un genere, il trash televisivo e non, che pareva lo spiritoso contrappunto alla tediosa kultur dei Sessanta e Settanta. Che per essere tediosa, magari lo era anche, con tutte le sue dolenzie cantautorali e d’essai, con tutta la sua faticosa prosopopea ”alta”. Il che non toglie che il ”basso”, come ribaltamento retorico, restava e resta esattamente ciò che era ed è: bruttezza, volgarità e ignoranza. è sgradevole dirlo così: bruttezza, volgarità e ignoranza. Ma aiuta, magari, a diradare le nebbie di un compiacimento intellettuale che ha assolto per anni le più vecchie e trite insorgenze del gusto corrivo-popolare, magari spacciandole per rivolta liberatoria contro un’etichetta culturale barbogia e moralista. Il ciarlatano, il guitto, l’imbonitore, il cantante sgolato, la soubrette sgallettata, l’attore scoreggione erano e sono, in realtà, cascami ottocenteschi, freaks da tendone itinerante, figure subalterne. Tenere e patetiche finché circolavano nei substrati dell’immaginario, nelle periferie dello spettacolo, nelle terze visioni. Ma rovinose (e poi rovinatesi, come è toccato a VM) se promosse in prima visione e in prima serata, fotografate sulle copertine cult, elette a esempio di spontaneità e addirittura di ”novità”: come se fosse nuovo il triste discrimine classista che consegna ai pochi colti le chiavi della conoscenza e del gusto, e appioppa alla massa bruta l’eterno specchio della propria goffaggine, e soggezione, e minorità. Che cosa c’è di divertente in una massaia di paese che diventa famosissima e miliardaria gabbando massaie meno astute di lei? Chederselo adesso è facile. Ma esserselo chiesto allora, sarebbe stato così difficile? Da Giuseppe Di Vittorio che chiedeva ai suoi cafoni di studiare l’italiano e mettersi il cappello in testa come fanno i signori, ai viveur cinici della postsinistra che trovano delizioso l’odore di tinello e di deriva umana che esala dal trash (poi, tanto, a casa loro leggono ottimi libri), corre l’infinita distanza che separa la solidarietà con il popolo dallo spregio profondo, però travestito da complicità modaiola. è un popolo zimbello quello che la televisione ci ha mostrato quasi sempre negli ultimi vent’anni, un popolo-scimmia da far parlare e cantare e ballare per farci ridere, in fin dei conti per continuare a sentirci superiori - noi che leggiamo i libri. L’umiliazione che suscita, oggi, vedere nei reality show povere persone che si rinfacciano urlando poveri peccati d’amore, o si assestano il reggipetto smoccolando come le concorrenti del Grande Fratello, è la diretta emanazione dello sdoganamento ipocrita di figure come la signora Marchi, e di tutte le altre macchiette caciarone e avvilenti che un malinteso antisnobismo ha promosso a campionatura del Gusto Popolare. Operazione snobbissima, l’esaltazione del trash ha in realtà confermato ”la gente” nella sua mediocrità coatta, facendole credere che il famoso assunto di don Milani (il padrone è padrone perché conosce duemila parole, tu sei servo perché ne conosci solo cinquecento) non fosse superabile cercando di imparare le millecinquecento parole mancanti, ma urlando a squarciagola le cinquecento già note. La caduta di Vanna Marchi è troppo poco (anche se non per lei, poveraccia) per farne un episodio davvero simbolico. Perfino per diventare simboli si deve studiare da simboli, fare fatica, imparare dai più forti e dai più bravi. Ma la scorciatoia imboccata da VM, quella le è stata servita su un piatto d’argento da televisionari, palinsestisti, esteti dell’audience sgomitante, teorici della volgarità ”intelligente”. Quel tanto di allegramente derisorio che c’è nell’esposizione di ogni genere di trash, viene percepito dai protagonisti del trash come un consenso travolgente. L’equivoco del trash è stata la benzina che ha fatto credere alla signora di avercela fatta, di essere davvero brava e ammirevole, esemplare nel suo genere. Ha creduto che stessimo applaudendo una star, mentre applaudivamo un fenomeno da baraccone. Sono stati applausi crudeli di un’epoca crudele, speriamo finisca presto. Michele Serra