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 2002  febbraio 06 Mercoledì calendario

L’Italia aspetta Perry Mason, La Stampa, mercoledì 6 febbraio 2002 Si fa presto a dire Perry Mason

L’Italia aspetta Perry Mason, La Stampa, mercoledì 6 febbraio 2002 Si fa presto a dire Perry Mason. Ma nella realtà, come funziona da noi il meccanismo delle indagini difensive che la famiglia Lorenzi ha affidato nei giorni scorsi all’avvocato Carlo Federico Grosso? «Si comincia ora a verificare la possibilità di acquisire notizie attraverso interrogatori, direttamente o tramite collaboratori per vedere se sia possibile utilizzarle. Ma...». Fulvio Gianaria, 54 anni, avvocato da 30, con Alberto Mittone, lui pure penalista, in Omicidi in città ha raccontato dieci storie torinesi di colpevoli e innocenti: e sulla efficacia immediata della riforma, ha i suoi dubbi. Perché? «Prima di tutto, è un’attività costosa». Il che significa che ancora una volta sono i poveracci i più indifesi? «Diciamo che una prognosi ragionevole è che, forse, solo qualche assistito può permettersi quel genere di difesa». Ma Perry Mason, o nel concreto, per esempio, Alan M. Dershowitz, quello che ha difeso Claus von Bulow, Patricia Hearst O.J.Simpson, Mike Tyson? «Negli Stati Uniti patteggia circa il 90 per cento degli imputati: magari lo fanno perché non hanno i soldi per pagarsi i dibattimenti. Questa è la realtà della giustizia americana». E da noi come funziona? «Il giorno in cui, per esempio a Cogne, dovesse esserci un imputato, il difensore può girare per il paese alla ricerca di persone che abbiano visto o sentito; avvalersi di consulenti; lavorare sul materiale sequestrato; chiedere l’autorizzazione che questo lo faccia un suo consulente; costruire anche una valutazione di tipo tecnico sulla base di quegli elementi. E in tal caso deve ovviamente chiedere che gli venga messo a disposizione lo stesso materiale sul quale lavora il consulente del Pm. Insomma, si verifica una vera e propria mutazione nell’impegno dell’avvocato». In che senso? «Che fino a ieri poteva e doveva essere uno che ovviamente rispettava la legge, ma tenere un comportamento, come dire?, totalmente fazioso nell’interesse dell’assistito. La riflessione che si fa ora è che se un avvocato lavora con le indagini difensive questo lo pone in una funzione vagamente assimilabile a quella del pubblico ministero, nel senso che anche il Pm fa le stesse cose. Dunque, il vero nodo è questo: se, supponiamo, dall’interrogatorio di una persona nel corso di indagini difensive raccoglie tre cose utili e una molto nociva, è francamente discutibile che possa usarne soltanto una parte. Anzi, è scorretto. Allora, forse, dovrà rinunciare totalmente all’utilizzo di ciò che ha raccolto». Ma se s’imbatte, per esempio, nell’arma di un delitto riconducibile al suo cliente, che cosa fa? La fa sparire? «No di certo, non la può occultare: la lascia dov’è. Ma non è obbligato a darla. Se la trovi da sé l’accusa». [...] Come fanno i penalisti americani? «Il fatto è che negli Stati Uniti la cultura, in questo senso, è già consolidata, quindi la deontologia è chiara come lo sono i limiti entro cui deve muoversi un avvocato. Un problema autentico è che abbiamo ancora le idee abbastanza confuse: dopo più di un anno s’ignora l’esatto numero dei processi in cui sono state fatte le indagini difensive e in quale tipo, insomma, manca un monitoraggio preciso. Ho la sensazione che per il momento sia uno strumento non usatissimo ed è difficile dire se sia poco usato solo perché ne abbiamo scarsa dimestichezza». Vincenzo Tessandori