http://www.energybulletin.net/12125.html. Krassimir Petrov, The Proposed Iranian Oil Bourse, Energy Bullettin, 18/1/2006., 18 gennaio 2006
Krassimir Petrov, LA BORSA IRANIANA DEL PETROLIO I. L’ECONOMIA IMPERIALE Uno Stato-nazione tassa i propri cittadini, mentre un impero tassa gli altri Stati-nazione
Krassimir Petrov, LA BORSA IRANIANA DEL PETROLIO I. L’ECONOMIA IMPERIALE Uno Stato-nazione tassa i propri cittadini, mentre un impero tassa gli altri Stati-nazione. La storia degli imperi, da quello greco a quello romano e da quello ottomano a quello britannico, insegna che il fondamento economico di ogni impero consiste nella tassazione di altre nazioni. La capacità imperiale di tassare si è sempre fondata su un’economia più forte ed efficiente e, di conseguenza, anche su un apparato militare più forte ed efficiente. Una parte delle tasse raccolte dagli Stati soggetti serviva per migliorare il tenore di vita dell’impero; il resto veniva impiegato per rafforzare il predominio militare necessario per imporre le tasse medesime. Storicamente, la tassazione degli Stati soggetti ha previsto numerose forme di pagamento – normalmente oro e argento (dove questi minerali erano considerati forme di denaro), ma anche schiavi, soldati, raccolti agricoli, bestiame o altri prodotti agricoli e naturali; insomma qualsiasi bene economico che l’impero richiedesse e che lo Stato soggetto fosse in grado di fornire. Storicamente, la tassazione imperiale è sempre stata diretta: lo Stato soggetto consegnava i beni economici direttamente all’impero. Ma nel XXI secolo, per la prima volta nella storia, l’America ha iniziato a tassare il mondo in modo indiretto, per mezzo dell’inflazione. A differenza di tutti gli imperi che l’hanno preceduta, non ha imposto il pagamento diretto di tasse, ma ha distribuito la propria valuta a corso forzoso, il dollaro americano, alle altre nazioni in cambio di beni con il voluto risultato di inflazionare e svalutare quei dollari e poter così ripagare in seguito ogni dollaro con una quantità minore di beni economici (la differenza rappresentando quindi il valore della tassa imperiale). Ecco come è avvenuto. All’inizio del XX secolo, l’economia statunitense ha cominciato a dominare l’economia mondiale. Il dollaro americano era agganciato all’oro, e quindi il suo valore non aumentava e non scendeva, ma rimaneva sempre uguale a quello dell’oro. La Grande Depressione, con il precedente periodo di inflazione dal 1921 al 1929 e il successivo aumento esponenziale del deficit governativo, aveva fatto aumentare in modo sostanziale la quantità di moneta in circolazione e reso quindi impossibile continuare a mantenere il dollaro agganciato all’oro. Questo, nel 1932, costrinse Roosevelt a sganciare il dollaro dall’oro. Fino a questo punto, gli Stati Uniti potevano anche dominare l’economia mondiale, ma, da un punto di vista economico, non erano ancora diventati un impero. Il valore fisso del dollaro non permetteva all’America di trarre benefici economici dagli altri paesi rifornendoli di dollari convertibili con l’oro. Dal punto di vista economico, l’impero americano è nato soltanto con gli accordi di Bretton Woods, firmati nel 1945. Il dollaro americano non divenne completamente convertibile con l’oro, ma fu reso convertibile con l’oro soltanto per i governi stranieri. Questo ha fatto imporre il dollaro come la valuta pregiata di tutto il mondo. Ed è stato possibile perché durante la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti avevano rifornito i propri alleati di parecchie risorse, richiedendo pagamenti in oro e accumulando quindi notevoli quantità della riserva mondiale di oro. Non sarebbe stato possibile creare un impero se, dopo gli accordi di Bretton Woods, la riserva di dollari fosse rimasta limitata ed entro i limiti della disponibilità di oro, in modo da garantire una completa convertibilità tra dollaro e oro. Tuttavia, la politica del bastone e della carota adottata negli anni sessanta si può già definire imperiale; la riserva di dollari è stata costantemente aumentata per finanziare la guerra del Vietnam e la Grande Società di Lyndon Johnson. La maggior parte di questi dollati è stata distribuita a paesi stranieri in cambio di beni economici, senza la prospettiva di riacquistarli al medesimo valore. L’aumento dei patrimoni in dollari nei paesi stranieri, attraverso un costante deficit commerciale degli Stati Uniti, è stato l’equivalente di una tassa: la classica tassa sull’inflazione che un paese impone ai propri cittadini è diventata la tassa che gli Stati Uniti hanno imposto al resto del mondo. Quando, nel 1970-1971, i paesi stranieri hanno richiesto pagamenti in oro per i loro dollari, il governo statunitense, il 15 agosto 1971, ha deciso di non rispettare i termini di pagamento. Sebbene la storia ufficiale parli del ”taglio radicale del legame tra il dollaro e l’oro”, in realtà il rifiuto di pagare i debiti in oro è stata una dichiarazione di bancarotta da parte del governo statunitense. In sostanza, gli Stati Uniti si sono proclamati un impero. Avevano estratto un’enorme quantità di beni economici da tutto il resto del mondo, senza l’intenzione o la capacità di restituirli, e il mondo non aveva la forza di reagire: il mondo era tassato e non poteva farci nulla. Da questo momento in poi, per sostenere l’impero americano e continuare a tassare il resto del mondo, gli Stati Uniti hanno dovuto costringere il mondo ad accettare dollari sempre più svalutati in cambio di beni economici e a costruire le proprie riserve con questa moneta svalutata. Hanno però dovuto dare al mondo una valida ragione per farlo. E questa ragione è stata trovata nel petrolio. Nel 1972-1973, quando era ormai chiaro che non sarebbe stato in grado di riacquistare con oro i propri dollari, il governo statunitense stipulò un patto di ferro con l’Arabia Saudita per sostenere il potere della Casa di Saud in cambio della sua promessa di accettare soltanto dollari americani per il proprio petrolio. Gli altri paesi dell’OPEC avrebbero dovuto accodarsi e accettare anch’essi soltanto dollari. E poiché era costretto a comprare il petrolio dai paesi arabi, il mondo intero aveva validi motivi per tenere riserve di dollari. Analogamente, poiché il mondo aveva bisogno di quantità sempre maggiori di petrolio, anche a prezzi sempre più elevati, la richiesta mondiale di dollari sarebbe costantemente aumentata. Anche se non si potevano più scambiare con l’oro, ora i dollari potevano essere scambiati con il petrolio. Il fondamento economico di questo accordo consisteva appunto nel fatto che ora il dollaro veniva sostenuto dal petrolio. Finchè la situazione è rimasta immutata, il mondo ha dovuto accumulare crescenti quantità di dollari, perché gli servivano per comprare il petrolio. E finchè il dollaro fosse rimasto la sola valuta accettabile per l’acquisto di petrolio, il suo dominio sarebbe stato assicurato e l’impero americano avrebbe potuto continuare a tassare il resto del mondo. Ma se, per qualsiasi ragione, il dollaro avesse perso l’appoggio del petrolio, l’impero americano avrebbe cessato di esistere. Così, la sopravvivenza dell’impero ha imposto che il petrolio fosse acquistabile soltanto con i dollari. E ha anche imposto che le riserve petrolifere fossero distribuite tra vari Stati sovrani non abbastanza forti, politicamente o militarmente, per richiedere il pagamento del loro petrolio in altre valute. Se qualcuno provava a chiedere un’altra forma di pagamento, bisognava fargli cambiare subito idea, o con pressioni politiche o con mezzi militari. Questo è avvenuto nel 2000, quando Saddam Hussein ha osato chiedere euro in cambio del suo petrolio. All’inizio la sua richiesta non è stata presa sul serio, poi è stata semplicemente trascurata; ma quando è apparso sempre più chiaro che Saddam stava facendo sul serio, si è iniziata un’azione di pressione politica per fargli cambiare idea. Quando poi altri paesi, come l’Iran, hanno voluto essere pagati in valute diverse, come l’euro o lo yen, per il dollaro il pericolo è diventato realtà e si è resa necessaria un’operazione punitiva. L’obiettivo dell’operazione Shock-and-Awe sferrata da Bush in Iraq non erano le capacità nucleari di Saddam Hussein, la difesa dei diritti umani, la difusione della democrazia e nemmeno l’appropriazione dei giacimenti petroliferi. Era la difesa del dollaro, e quindi dell’impero americano. Era necessario stabilire un esempio sul fatto che chiunque avesse richiesto pagamenti in valute diverse dal dollaro americano sarebbe stato punito. Molti hanno accusato Bush di avere scatenato la guerra in Iraq per accaparrarsi i giacimenti petroliferi iracheni. Questi critici, tuttavia, non sono in grado di spiegare perché Bush dovrebbe desiderare di conquistare questi giacimenti – gli basterebbe semplicemente stampare altri dollari e usarli per comprare tutto il petrolio di cui ha bisogno. Deve avere avuto altri motivi per invadere l’Iraq. La storia ci insegna che un impero si impegna in guerra per una di queste due ragioni: 1) difendere se stesso o 2) trarre vantaggi dalla guerra; in caso contrario, come ha dimostrato Paul Kennedy nel suo brillante saggio The Rise and Fall of the Great Powers, una sovrestensione militare prosciuga le sue risorse economiche e ne causa il collasso. Da un punto di visto economico, se un impero decide di sctenare una guerra, i suoi benefici devono superare i costi militari e sociali. I benefici che si possono trarre dai giacimenti petroliferi iracheni non valgono certo i costi militari di lungo termine. Bush deve avere invaso l’Iraq per difendere il suo impero. E, infatti, ecco cosa è accaduto: due mesi dopo l’invasione americana dell’Iraq, il programma Oil-for-Food è stato interrotto, i conti in euro dell’Iraq sono stati nuovamente convertiti in dollari e il petrolio ha ripreso ad essere venduto in dollari. La supremazia globale del dollaro è stata riaffermata. Bush è sceso da un caccia supersonico per festeggiare la vittoria e proclamare che la missione era stata compiuta: difendere il dollaro, e quindi l’impero americano. II. LA BORSA IRANIANA DEL PETROLIO Il governo iraniano ha finalmente sviluppato la suprema arma ”nucleare” con la quale potrebbe rapidamente distruggere il sistema finanziario sul quale poggia l’impero americano. Quest’arma è la borsa iraniana del petrolio, la cui apertura è prevista per il marzo 2006. Si baserà su un meccanismo commerciale euro-petrolio che implica ovviamente il pagamento del petrolio in euro. In termini economici, questo pone all’egemonia del dollaro una minaccia molto più grave di quella rappresentata da Saddam, perché permetterebbe a chiunque fosse disposto a comprare o vendere petrolio in euro di fare trnsazioni dirette, scavalacando a piè pari i vincoli posti dal dollaro. Se la prospettiva è questa, è probabile che quasi tutti vorranno adottare questo sistema: Gli europei non dovranno più comprare e tenere dollari per poter pagare il petrolio, ma potranno usare la propria moneta. L’adozione dell’euro per le transazioni di petrolio darà alla valuta europea lo status di valuta pregiata per costituire riserve, il che beneficierà gli europei a spese degli americani. I cinesi e i giapponesi adotteranno prontamente il nuovo sistema perché gli permetterà di ridurre drasticamente le loro enormi riserve di dollari e di diversificarle con l’acquisizione di euro, proteggendosi così dal deprezzamento del dollaro. Una parte dei loro dollari continueranno a tenerla; di un’altra parte potrebbero decidere di sbarazzarsi immediatamente; e un’altra parte ancora potrebbero usarla per futuri pagamenti senza tuttavia ricostuire la riserva di dollari ma incrementando invece quella in euro. I russi hanno concreti interessi economici nell’adozione dell’euro: la maggior parte dei loro commerci si svolge con i paesi europei, con i paesi produttori di petrolio nonché con la Cina e il Giappone. L’adozione dell’euro agevolerà immediatamente i primi due blocchi e col tempo servirà a facilitare anche il commercio con la Cina e il Giappone. Inoltre, i russi, a quanto sembra, detestano l’idea di dover mantenere riserve di dollari in corso di svalutazione, perché hanno recentemente trovato la loro nuova religione nell’oro. I russi hanno infine ridato vita al proprio nazionalismo: se l’adozione dell’euro avrà l’effetto di una coltellata agli americani, i russi lo adotteranno senz’altro e resteranno a guardare compiaciuti gli americani sanguinare. I paesi esportatori di petrolio adotteranno immediatamente l’euro come strumento per diversificare le proprio riserve, piene di montagne di dollari che si stanno svalutando. Esattamente come nel caso dei russi, anche il loro commercio si svolge in gran parte con i paesi europei, perciò preferiranno la moneta europea sia per la sua stabilità sia per evitare rischi finanziari, per non parlare del loro jihad contro il nemico infedele. Per quanto riguarda l’Europa, gli inglesi si troveranno incastrati tra l’incudine e il martello. Hanno sempre avuto una relazione strategica con gli Stati Uniti, ma sono anche rimasti agganciati all’Europa. Finora, hanno avuto validi motivi per rimanere al fianco del vincitore. Tuttavia, quando vedranno vacillare il loro antico alleato, continueranno a stargli saldamente al fianco o gli daranno il colpo di grazia? Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che i due più importanti mercati mondiali del petrolio sono il NYMEX di New York e il l’International Petroleum Exchange (IPE) di Londra, sebbene anche quest’ultimo sia in sostanza di proprietà americana. Sembra quindi più probabile che gli inglesi dovranno rimanere sulla nave che affonda, perché altrimenti si sparerebbero nei loro stessi piedi danneggiando gli interessi dell’IPE. A questo proposito è opportuno notare che, malgrado tutta la retorica che si è sentita sulle ragioni per conservare la sterlina, il vero motivo per cui gli inglesi non hanno adottato l’euro devono essere state le pressioni americane: infatti, se fosse passato all’euro, l’IPE avrebbe colpito a morte il dollaro e quindi anche gli americani. In ogni caso, indipendentemente dalla decisione che prenderanno gli inglesi, se la borsa iraniana del petrolio riuscisse ad affermarsi, gli interessi che contano (ossia quelli degli europei, dei cinesi, dei giapponesi, dei russi e degli arabi) adotteranno molto volentieri l’euro, decretando così la fine del dollaro. Gli americani non possono permettere che questo accada e, se necessario, metteranno in campo un’ampia serie di strategie per impedirlo o almeno ostacolarlo: sabotare la borsa, cosa che si potrebbe fare infettando con un virus la sua rete informatica o con un attacco mirato sulle infrastrutture principali. Il colpo di Stato è senza dubbio la migliore strategia di lungo termine che gli americani possano adottare. Anche la negoziazione di un accordo vincolante è una buona soluzione per gli americani. Naturalmente, un colpo di stato è la strategia preferita perché garantirebbe la rinuncia al progetto della borsa ed eliminerebbe ogni minaccia agli interessi americani. Tuttavia, se il tentativo di sabotaggio o di colpo di Stato fallisce, il negoziato diventa l’opzione più fattibile. Ottenere l’approvazione di una risoluzione di guerra da parte dell’Onu appare molto difficile, se si tiene conto degli interessi specifici degli altri membri del Consiglio di Sicurezza. L’intensa retorica sullo sviluppo di armi nucleari in Iran serve a preparare questo tipo di azione. Un attacco nucleare unilaterale: questa è una scelta strategica terribile per tutte le ragioni associate con la strategia successiva, la Guerra Unilaterale Totale. Gli americani useranno probabilmente Israele per far svolgere il lavoro sporco. Guerra Unilaterale Totale: questa è ovviamente la scelta strategica peggiore. Innanzitutto, le risorse militari americane sono già state ridotte da due guerre. In secondo luogo, gli americani perderebbero l’appoggio di altre potenti nazioni. Terzo, i paesi con grandi riserve di dollari potrebbero decidere di fare una silenziosa ritorsione sbarazzandosi delle proprie montagne di dollari, impedendo così agli Stati Uniti di continuare a finanziare le loro ambizioni militari. Infine, l’Iran mantiene alleanze strategiche con altre potenti nazioni che potrebbero essere coinvolte in una guerra; a quanto risulta, l’Iran ha stabilito alleanze di questo tipo con la Cina, l’India e la Russia (il gruppo è noto con il nome di Shanghai Cooperative Group) e un patto separato con la Siria. Quale che sia la scelta strategica, da un punto di vista strettamente economico, se la borsa iraniana del petrolio riuscisse ad affermarsi sarebbe immediatamente adotttata dalle più importanti potenze economiche e causerebbe la fine del dollaro. Il crollo del dollaro farebbe aumentare vertiginosamente l’inflazione americana e costringerebbe gli Usa ad alzare i tassi di interesse. A questo punto, la Federal Bank si troverebbe schiacciata tra Scilla e Cariddi, tra deflazione e iperinflazione, e sarebbe costretta o a ricorrere alla sua ”classica medicina”, ossia la deflazione (alzando i tassi di interesse e provocando una grave depressione economica e una implosione dei mercati azionari, fino a un completo collasso finanziario) oppure, in via alternativa, a seguire la via di Weimar, ossia l’inflazione (stabilizzando i titoli, facendo alzare in volo gli elicotteri e annegando il sistema finanziario nella liquidità, salvando così numerosi fondi speculativi LTCM e iperinflazionando l’economia). La teoria marginalistica del capitale, del credito e dei business cycles ci insegna che non esiste nessuna zona intermedia fra Scilla e Cariddi. Prima o poi, il sistema monetario deve prendere una direzione, e questo costringerà la Fed a fare una scelta. Senza dubbio, il capo della Fed, Ben Bernanke, autorevole studioso della Grande Depressione e appassionato pilota di Black Hawk, sceglierà l’inflazione. Bernanke, per quanto abbia dimenticato la Grande Depressione dell’America di Rothbard, ha imparato la lezione della Grande Depressione e conosce perfettamente la forza annichilente della deflazione. Il Maestro gli ha insegnato la panacea per ogni tipo di problema finanziario: inflazionare, che venga l’inferno o il diluvio. Ha persino insegnato ai giapponesi il suo ingegnioso e peculiare modo di combattere la trappola della liquidità deflazionaria. Esattamente come il suo mentore, ha sognato di dare battaglia all’Inverno di Kondratieff. Per evitare la deflazione, ricorrerà alla stampa, richiamerà tutti gli elicotteri dalle ottocento basi militari americane oltreoceano e, se necessario, monetizzerà qualsiasi cosa gli capiti sotto tiro. La sua opera finale sarà la distruzione iperinflazionaria della valuta americana. E dalle sue ceneri sorgerà la prossima valuta mondiale di riserva: quel barbaro relitto chiamato oro. (trad. Aldo Piccato)