Stenio Solinas il Giornale, 26/06/2002, 26 giugno 2002
George Simenon, ebbro di sole e di calore, si lasciava volentieri stordire dalla porquerollite, il Giornale, mercoledì 26 giugno 2002 Il Mas du Langoustier è l’albergo di lusso di Porquerolles
George Simenon, ebbro di sole e di calore, si lasciava volentieri stordire dalla porquerollite, il Giornale, mercoledì 26 giugno 2002 Il Mas du Langoustier è l’albergo di lusso di Porquerolles. Sorge su un’insenatura che domina due spiagge, di rena bianca e di rena nera, e sopra i resti di quella che nell’Ottocento fu una fabbrica di soda, esempio di quel positivismo scientista che inquinava nel nome del progresso. Il Mas è una creazione di François-Joseph e Sylvia Fournier, gli ultimi proprietari dell’isola: se ne occupò all’inizio il fratello di Sylvia, Walter Johnston Lavis. Dalla Costa Azzurra tirò su un po’ di baldracche e le sistemò nelle camere, poi andò nella piazza del paese e fra una partita di bocce e una di petanque raccontò all’amico George Simenon il suo progetto di una casa chiusa in quell’angolo di tropici del Mediterraneo. Il giorno dopo lo scrittore era al Mas e ci rimase fino a quando Madame Fournier, allertata dalle voci fece un’ispezione, capì che le signorine non erano di buona famiglia e in vacanza, ma popolane e in servizio e le rispedì a casa. Lelia è una delle sette figlie dei Fournier. Sta in una villa meravigliosa all’imboccatura del porto, un ritratto di Marie Laurencin alle pareti, tappezzeria Aubusson, mobili Luigi XVI, il buon gusto che ti viene da una vita di lusso. «Non ho mai avuto un arredatore, c’era il gusto di mia madre e io ho imparato guardando lei». Ai tempi dell’albergo-bordello era ancora una bambina, ma dell’autore di Maigret ha un ricordo solare da ragazzina di tredici anni. «Andavamo a giocare a palla a volo da lui, o a tirare la sciabica la sera, era cortese, allegro. Quando mi operai di appendicite mi regalò un suo romanzo, Maigret e il cane giallo, con una dedica charmante». Alla incredibile storia della sua famiglia ha dedicato un libro, Un isle en cadeau de mariage, un’isola come dono di nozze. La comprò suo padre, un belga che aveva fatto fortuna in Messico grazie a una miniera d’oro. François Fournier aveva 55 anni, due divorzi alle spalle, una montagna di denaro, il desiderio di una famiglia e la necessità di radicarsi. Sylvia ne aveva trenta di meno, era figlia di un medico, aveva una bella voce e velleità artistiche. Gli diede sette figli. Michéle Dard è la memoria di Simenon a Porquerolles. Ha raccolto foto, testimonianze, rintracciato le orme dell’isola e dei suoi protagonisti nei romanzi, sogna una mostra che leghi i due nomi. Di casa lo scrittore stava in una sorta di torre saracena decorata in stile tahitiano. Aveva una barca, imparò a pescare, grandi bouillabaisses sulla spiaggia, rosé dell’isola a innaffiare il tutto. «Ebbro di sole e di calore», si definirà. Non gli sfuggiva una cameriera, una servetta, una pensionante. Nei romanzi che ambienta sull’isola la ”porquerollite” è come un gorgo che inghiotte chi vi si avventura. la luce abbacinante, il languore e lo stordimento dei sensi, il lasciarsi cullare dal ritmo delle onde, il lasciarsi andare dietro il ritmo di un bicchiere. In Cour d’Assises Petit Robert, che è lo straniero di Camus senza l’esistenzialismo che lo marchia, delinquente di mezza tacca che fugge da un delitto che non ha commesso, sbarca a Porquerolles contro ogni logica: è un’isola, non ci si può nascondere, non se ne può andare, è facilmente rintracciabile. Eppure, in quei pomeriggi della contr’ora, in quelle partite interminabili, in quei corteggiamenti brutalmente scherzosi ma inconcludenti perde le coordinate, avverte il vuoto che lo circonda, non sa più chi è. Si farà arrestare docilmente. Dalla plage d’Argent alla baie de la Courtade la malia di un’isola senza macchine dove la natura incombe un po’ minacciosa doveva essere in quegli anni assoluta. Oggi che Porquerolles ha 400 abitanti e 10mila turisti al giorno nel periodo estivo, quell’incanto si è attenuato ma non è scomparso. La ricettività è contingentata e con l’ultimo traghetto della sera l’isola torna a svuotarsi. Rimangono i locali, gli ospiti del pugno di alberghi disponibili, quelli delle barche, la dimensione di un borgo in una cornice di odori e di profumi. La porquerollite esiste ancora. William Luret è l’autore di L’homme de Porquerolles (Lattès), ovvero la storia romanzata dell’ultimo signore dell’isola, di quello che la rese sufficiente dal punto di vista dei servizi, impiantò i vigneti, creò gli alloggi per i nuovi lavoranti, eresse i primi alberghi per un turismo che si voleva di élite ma solo perché era per pochi. Su Fournier la porquerollite non ebbe effetto: ne aveva viste troppe, aveva fatto la fame a Parigi, era morto di freddo in Canada, aveva lavorato all’apertura del canale di Panama, nelle miniere degli Stati Uniti e del Messico, nessun gorgo lo avrebbe mai tirato giù. Al contrario, l’isola stimolò in lui quelle qualità di costruttore, di ideatore, di organizzatore che il lavoro gli aveva permesso solo a tratti di esprimere. Fece di Porquerolles il suo regno, vi lasciò la sua impronta. In fondo è una questione di carattere. Alla sirena della porquerollite Simenon si sottrae lavorando come un dannato, bevendo come un forsennato, amando come un disperato. Dallo sprofondare in un’incoscienza panica, nel gorgo di un desiderio sempre assopito e sempre presente, in quel tramonto perenne dove la speranza di cambiare radicalmente vita, abitudini, affetti, si scontra con la stanchezza, la paura, l’accidia, lo salva una salute di ferro e l’assoluta consapevolezza del proprio talento. Però sa che il pericolo è in agguato, e l’unico modo per esorcizzarlo è raccontarlo. Le cercles de Mahé è uno dei più bei Simenon di sempre ed è un peccato non sia stato ancora tradotto. la storia di un medico di provincia la cui vita è sempre stata decisa dagli altri, la madre, le convenzioni sociali, le tradizioni famigliari. Per caso una vancanza con moglie e figli piccoli lo porta a Porquerolles e qui la vita lo afferra per la gola, lo stordisce con i colori e con i profumi, lo inebria con la intravista nudità dei corpi, lo solletica nella vanità dei gesti, dei comportamenti, degli incontri. Mahé sogna, sogna l’evasione dalla prigione della rispettabilità, sogna il ritorno alla natura e alla semplicità, l’estasi dei sensi, la scioltezza nei movimenti e nei comportamenti, la trasgressione come piacere e non come colpa, la fine di ogni impegno, ritegno, decoro. Una ragazzina, orfana di madre, lo attrae. Ha l’aria indifesa, vorrebbe averla ma non osa, spinge il nipote ad amoreggiare con lei, vive, come sempre, per interposta persona, è sempre qualcun altro a muovere i fili della sua recita. Poi sua madre muore e Mahé per la prima volta si sente libero e si scopre solo. Pianifica il suo trasferimento a Porquerolles, nuovo medico condotto di un’isola di poche anime, la moglie piange ma non osa opporsi. Sa dove la ragazzina è andata ad abitare, la pedina, vorrebbe incontrarla, il destino glielo nega una prima volta, la paura del nuovo, di quello che potrebbe succedere, impedisce che ce ne sia una seconda. Confrontato con la vita, messo di fronte alla squillante forza bruta di quel sole, quel mare, quelle rocce, quegli istinti animali che i luoghi circoscritti e isolati acuiscono, Mahé barcolla: il suo passato lo disgusta, il suo futuro lo atterrisce. Si lascerà affogare, preso dal gorgo della vita e trascinato sul fondo a morirne. Il libro è del 1946 e la vita della Porquerolles fra le due guerre è descritta perfettamente, un angolo di Tropici del Mediterraneo dove il battello arriva una volta al giorno, si chiama Cormorano ed è di proprietà del padrone dell’isola, dove tuti pescano, tutti bevono, tutti giocano, tutti sparlano, non tutti amano ma nessuno ha fretta, nessuno insegue un’affermazione, un obiettivo. Oggi ne restano ancora gli echi, fuori stagione, quando l’estate comincia o sta per finire, sul porto libero dall’assedio dei traghetti e delle troppe barche, nei bar che si allungano sulla strada che porta alla piazza e alla sua chiesa, nel fresco dei boschi che la sovrastano, nella trasparenza dell’acqua che la circonda. Semplicità, dunque. Ma anche mondanità. Certo, non quella della Costa Azzurra, di Cap Ferrat e Cap d’Antibes, di Saint Tropez, olii solari e ”ferri da stiro”, tanga, piedi nudi e tacchi a spillo, petti villosi e seni rifatti, soldi, l’odore dei soldi, la rabbia senza l’orgoglio di chi non ce li ha. La Porquerolle’s Cup data dal 1726 anche se allora non si chiamava così e nacque come una sfida militare, un capitano francese, Monsieur de Montlaur, contro un corsaro barbaresco, Chaban-Reis che lo aveva catturato. Chi faceva per primo il giro dell’isola, non importa se da ponente o da levante, avrebbe avuto la vittoria, libertà o prigionia in ballo per uno solo dei contendenti. Vinse il francese... Quando Napoleone riprese possesso dell’isola dopo l’occupazione inglese, trovò che questi, nella fissazione sportiva che li caratterizzava come nazione, di quella esibizione di destrezza avevano nel tempo fatto una competizione vera e propria, con tanto di coppe e regolamenti. Porquerolles’ Cup l’avevano chiamata. Lui le lasciò il nome e dopo duecento e passa anni è ancora lì, a ogni pentecoste. L’isola si veste allora di un’allure diversa, gli yacht, gli skipper, i tender, la cornice e la vernice della marineria, il cutter, lo slop a fianco delle barche da pesca, delle reti e dei pescatori, i ristoranti che alla sera si riempiono di clienti più esigenti e dove il rosé cede il passo allo champagne, il turista si ritrova a fianco della mantenuta di lusso, della neoricca, della straricca, della ex ricca, della nobile decaduta e del borghese decadente. Mondanità, dunque. Simenon non l’amava. A lui piaceva il lusso, che è un’altra cosa, ma quel milieu di buone maniere e passioni nascoste, di forme senza contenuto, di finzioni, recite, finti blasoni, finti nobili, spesso finti conti in banca non era il suo. L’aveva frequentato, certo, aveva rischiato di incanaglirvisi, un tavolo fisso da Maxim’s, i pomeriggi sulla terrazza del Fouquet, lo snobismo di chi si sente arrivato, poi aveva detto basta. In Il mio amico Maigret è l’altra Porquerolles a farla da padrone, non quella della porquerollite come malattia esistenziale e suprema, ma quella della porquerollite come malattia morale, la debauche e lo spleen, il lasciarsi andare non per stanchezza ma scelta, l’ultimo rifugio dei falliti, dei truffatori, dei reietti della società. C’è la nobile inglese alcolizzata che se la fa con un più giovane mascalzone francese, sedicente antiquario che la serve e la sfrutta, c’è il giovane artista olandese e maledetto in fuga dalla famiglia, c’è la ragazza che rimarrà vittima del suo fascino, c’è insomma quel contorno decadente e decaduto, un po’ dandy e un po’ carogna di cui Simenon aveva conoscenza di prima mano. In questa cornice, Maigret si muove all’inizio come un pesce fuor d’acqua. tutto troppo, troppo caldo, troppo forte, i colori, gli odori, i sapori, troppo alla luce del sole perché sotto non ci sia altro, perché la verità non stia altrove. E anche lui si rende conto che basta un niente perché la porquerollite lo porti con sé, una ex prostituta che gli si spoglia davanti, un bianco freddo di troppo al bancone del bar, una partita di pesca in quel mare di cristallo... Dovrà fare uno sforzo per non lasciarsi andare e par di vedere il suo autore, anni dopo, dall’Arizona dove lo sta scrivendo, rievocare i suoi Tropici nel Mediterraneo e chiedersi, con una punta di sorpresa, come sia riuscito a sopravvivere al richiamo del lasciarsi andare. Vent’anni dopo, quando Jean Luc Godard penserà ad uno scenario dove ambientare Pierrot le fou, la storia di Ferdinand Griffon professore che si fa rapinatore per disprezzo della borghesia da cui proviene, è a Porquerolles che la troverà, fra il Fort de la Repentance e quello di Mèdes, davanti alla baie de Notre-Dame. qui che Jean Paul Belmondo, il volto dipinto di blu, si cinge il capo di candelotti di dinamite gialli e rossi e si fa espodere intanto che una voce fuori campo legge i versi di Rimbaud. qui che Anne Karina va su e giù per la spiaggia mormorando «cosa posso fare, non so che fare». La porquerollite è divenuta un vizio intellettuale. Stenio Solinas