Sandro Veronesi Corriere della Sera, 02/07/2002, 2 luglio 2002
Siamo tutti multitasking, Corriere della Sera, martedì 2 luglio 2002 «La più grande differenza tra le persone è la qualità dell’attenzione
Siamo tutti multitasking, Corriere della Sera, martedì 2 luglio 2002 «La più grande differenza tra le persone è la qualità dell’attenzione. E dato che la qualità dell’attenzione è una delle poche cose che un essere umano può effettivamente controllare, allora sarà meglio che la controlli, dico io». Sono parole pronunciate da un personaggio del romanzo Il Dolce Domani, di Russell Banks: romanzo veramente formidabile, del quale consiglio a tutti la lettura, che stempera la pura tragedia iniziale (uno scuolabus che finisce in una cava, uccidendo quattordici bambini) in una sostanza sorprendentemente vitale e dolce, per l’appunto, che nessuno crede mai possa trovarsi così a portata di mano. Una sostanza che Banks rilascia praticamente a ogni pagina, sotto forma di riflessioni o osservazioni di una semplicità e di una profondità folgoranti; seguendo lo spunto fornito da ognuna di esse si finisce sempre di fronte a questioni fondamentali, e io vorrei qui affrontare quella posta dalla citazione iniziale, a proposito dell’attenzione. Poiché è innegabile che quella dell’attenzione, o meglio, come dice il personaggio di Banks, della qualità dell’attenzione, sia una questione fondamentale della nostra civiltà. Osserviamo le persone per strada. Ognuna sta facendo qualcosa e allora poniamoci questa domanda: è sufficientemente attenta a quello che fa? Osserviamo meglio: ehi, ma queste persone non stanno mai facendo una cosa sola, ne stanno facendo più d’una contemporaneamente. Guidano la macchina e ascoltano la radio, portano a spasso un bambino e parlano al cellulare, camminano sul marciapiede e chiacchierano con qualcuno, o guardano le vetrine... Fateci caso: è veramente raro trovare una persona che stia facendo una cosa sola. Da questa constatazione ha origine la risposta allarmante che si deve dare alla nostra domanda. è possibile che la qualità dell’attenzione sia alta, ed effettivamente controllata, se si fanno più cose contemporaneamente? No, non c’è niente da fare, non è possibile. C’è un concetto molto attraente alla base di questa, chiamiamola così, filosofia della distrazione; un concetto che ha definitivamente preso piede e colonizzato le nostre menti col diffondersi dei personal computer: il multi tasking. Cioè l’impegno multiplo, simultaneo. Osservare un ragazzino sveglio che naviga su Internet è in questo senso illuminante: non sta mai fermo col mouse, non spreca nemmeno un secondo e balza sempre da una funzione all’altra, da un’azione all’altra, dando veramente l’idea di un essere umano con le macchine a tutta forza, capace di controllare molte cose nello stesso momento. Questa icona è talmente seducente che non ci si chiede mai quanta attenzione, di fatto, egli sia in grado di prestare a tutto ciò che fa. Così come non ci chiediamo mai la stessa cosa mentre stiamo guidando in autostrada e fumiamo e ascoltiamo la musica nello stereo e pensiamo ai fatti nostri. Ormai siamo convinti che queste cose si debbano fare tutte insieme e, siccome il farle tutte insieme finisce per darci una sensazione di pienezza, non riusciamo nemmeno concepire un modo diverso, diacronico, di farle. Guidare e prestare attenzione alla strada, alle altre macchine, al panorama; poi fermarsi a fumare e prestare attenzione al sapore del tabacco, della nicotina e delle centinaia di altre sostanze che assumiamo tramite la sigaretta; poi mettere un nastro e prestare attenzione alla musica, alle parole, alla opera, in fin dei conti, che stiamo ascoltando; e infine abbandonarsi ai nostri pensieri ed esaurirli, prima di ripartire di nuovo attenti alla strada. Nessuno fa così, ma si potrebbe benissimo fare così. Per secoli, in effetti, si è fatto così. Nei villaggi africani o in qualunque zona del mondo cosiddetta sottosviluppata si fa ancora così. Laddove non è ancora arrivata la tecnologia né l’industria che condiziona gli uomini ad accumularla nei loro spazi vitali, si fa ancora una sola cosa alla volta; e non ci vuole molto a capire che la qualità dell’attenzione di chi faccia una cosa sola alla volta è decisamente più alta di chi ne faccia quattro o cinque contemporaneamente. Di nuovo, dunque, ci si trova di fronte alla parola impronunciabile del nostro tempo, quella contro la quale tutti combattono, perché ormai è diventata sinonimo di sconfitta: riduzione. Come una lucida e libera analisi delle condizioni in cui si trova il nostro pianeta imporrebbe ai Paesi ricchi di ridurre i consumi invece di aumentarli, così una semplice riflessione sulla qualità della nostra attenzione (dalla quale dipende a volte la nostra vita e quella dei nostri figli) imporrebbe di ridurre la quantità delle cose fatte. Ma niente, il verbo ridurre non ha più cittadinanza nell’Occidente, dove si preferisce rischiare lo schianto (l’Argentina o per l’appunto gli scuolabus che finiscono fuori strada) piuttosto che osare la trasgressione massima di tornare a concepirlo. E allora ecco che facciamo, e consumiamo, in un unico istante della nostra vita ciò che, in un’altra civiltà, verrebbe fatto e consumato da quattro, cinque, a volte perfino dieci persone diverse; e sparpagliamo attorno a noi un’attenzione sempre scadente, minima, pressoché meccanica. Per non sprecare tempo ci affidiamo al multitasking, ma il nostro controllo su ciò che facciamo è insufficiente: se anche basta a non farci sbagliare, non ci permette mai di andare a fondo del nostro fare, come se nessuna cosa valesse la pena d’essere fatta, se dovesse essere fatta da sola. Poi però sbaviamo appena spunta un cinese o un indiano o un bambino a dirci che l’unico tempo che esiste è il presente e che il dono più prezioso è la semplicità, e ci sentiamo colpevoli, impuri, intossicati. E allora ci risiamo, è la stessa conclusione di sempre ma bisogna ripeterla, di nuovo, ancora una volta, fino alla nausea: nel nostro modello di vita c’è qualcosa che non va. Sandro Veronesi