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 2002  luglio 02 Martedì calendario

Gli evaporati giapponesi sperano di arricchirsi giocando a flipper, La Stampa, martedì 2 luglio 2002 Tokyo

Gli evaporati giapponesi sperano di arricchirsi giocando a flipper, La Stampa, martedì 2 luglio 2002 Tokyo. C’è un ufficio, nel grattacielo pensato da Tange Kenzo per ospitare l’amministrazione di Tokyo, molto frequentato da donne dal passo affrettato e mariti inquieti. Vi si tiene il registro degli scomparsi. Non dei suicidi, che è ancora più lungo (40 mila l’anno, record del mondo). Degli Yohatsu. Letteralmente: gli Evaporati. Desaparecidos; per loro scelta, però. Gente che ha fatto perdere le tracce; cosa non impossibile nel paese più fittamente popolato, dove l’imperatore non ha carta di identità e molti sudditi possono prescinderne per avere un lavoro e una vita. E non c’è un ”Chi l’ha visto?” che possa rintracciare 10 mila persone. C’è un grande santuario scintoista, vicino al palazzo imperiale. Per esservi ammessi occorre sottostare alle seguenti incombenze: visionare un video delle guerre di conquista, giapponesi con sciabola all’assalto di truppe cinesi, cannoniere in azione contro i russi, cariche a cavallo in Corea, aerei in picchiata contro portaerei Usa; versare un’offerta di mille yen, 10 euro, dietro rilascio di una ricevuta; recitare una lunga preghiera in ginocchio; passare sotto un arco con scritta inneggiante ”ai soldati che hanno costruito il Giappone moderno”. Due milioni e mezzo di morti. Reclute e criminali di guerra. Una gigantesca Redipuglia invisibile: il rituale non dà accesso alle urne con le ceneri; i giapponesi che vengono allo Yasukuni sempre più numerosi a reimpossessarsi di un passato e di un’identità nazionale si trovano davanti a uno specchio, segno della divinità. C’è a Shinjuku, il quartiere postmoderno di Tokyo che ha sostituito la modernità invecchiata della Ginza, un angolo di luci e frastuono, Kabuchiko. uno dei ”luoghi di piaceri”, dove un tempo si trovavano case da té e geishe educate alla musica, alla conversazione e all’amore. Ora vi è un locale ”japanese only” costruito come un vagone della metropolitana, dove prostitute vestite da ragazzine, con le trecce, la gonna corta e le calze bianche, si offrono alle mani dei clienti, e una grande sala di pachinko, i flipper giapponesi. Qui centinaia di uomini fissano in trance le palline di metallo che scendono lungo percorsi rumorosi e imprevedibili. Scopo del gioco è indirizzarle in un foro. Le palline danno diritto a un premio, che per legge non può essere in denaro; ma nel vicolo a fianco c’è una bottega che le converte in yen. Non esiste un sistema per vincere; tutto pare legato al caso; eppure fioriscono i manuali per sbancare il pachinko e vivere felici. Il Giappone dei Mondiali è una scatola bellissima e vuota. Come il Tokyo International Forum, capolavoro dell’architettura moderna, geniale invenzione dell’architetto sudamericano Rafael Vinoly, che ha costruito un’arca di vetro e metallo, senza pensare a cosa metterci dentro. Come l’immenso palazzo imperiale, dove due matriarche depresse, l’imperatrice Michiko e la principessa Masako, e una bambina vivacissima, l’erede Ayko, si fanno metafora del popolo che sono chiamate a simboleggiare. Vuoti i taxi che si accumulano la notte in file interminabili al punto che il passante si stanca di risalirle, salta sul primo che trova, e il tassista non lo fa scendere, si guarda attorno come un cospiratore, e se pensa di non essere notato dai colleghi schizza via. Vuoto il Pokemon Center, monumento a una moda ormai sfiorita, affollato solo di occidentali alla ricerca delle magliette di Bulbasaur. Vuoto il reparto gioielli di Mitsukoshi, il primo grande magazzino di Tokyo, pieno solo di commesse in vana attesa. Ci sono però pietre di grande valore. Perché il Giappone è ancora il paese più ricco del mondo. Le banche capitalizzano quel che basta per comprare una media potenza europea. L’economia in recessione da 13 anni dà segni di ripresa, la Borsa è salita del 30 per cento in tre mesi, il pil del primo trimestre è cresciuto dell’1,4, il mercato dell’auto è ripartito. Ma com’è noto si può essere ricchi e infelici. Svuotare le fabbriche e i musei, e riempire le bische e i templi del nazionalismo. La crisi del paese pare più morale che economica. Il Giappone è di cattivo umore. Non è solo il dato estremo dei suicidi e degli Evaporati a indicarlo. la loro età: non come un tempo adolescenti e anziani, ma uomini tra i 40 e i 55, gli anni in cui si perde il lavoro. la sublimazione letteraria che se ne fa: il suicidio è il tema ispiratore della nuova narrativa di Tokyo, e in particolare del caso letterario del momento, Il gioco della libera morte di Masahiko Shimada (in uscita da Einaudi a cura di Pio D’Emilia). Tesi del romanzo è che il suicidio, da sempre meccanismo regolatore della società giapponese nelle forme rituali dell’harakiri o in quelle eroiche dei kamikaze, sia divenuto la pena comminata a chi è di troppo. Il protagonista, Kita, è un impiegato quarantenne sottoposto a un processo kafkiano e condannato a sparire entro una settimana. Shimada racconta gli ultimi giorni del protagonista in una capitale affollata di nuove figure di giapponesi, che i giorni del Mondiale hanno rivelato al mondo. Non c’erano barboni, una volta. Perché il paese era in qualche modo integrato, pochi e clandestini gli immigrati, forte il senso del decoro. I senzacasa si nascondevano, o venivano tenuti nascosti: celebre la retata che fece sparire le baracche di cartone dalla stazione di Shinjuku (2 milioni di passeggeri al giorno, la più affollata del mondo). Ora i barboni vivono tra la gente: non hanno più vergogna, e sono troppi per non essere notati. La loro casa è il parco Ueno, tra i bambini che vanno allo zoo e i religiosi che accendono le lanterne al santuario Tosho-gu. Le loro barbe non sono fluenti, ma sottili e a punta, come certi ritratti di Confucio. Si trovano anche in alcuni negozi poco frequentati, come appunto il Pokemon Center: anche i barboni hanno qualcuno cui regalare Bulbasaur. Altra categoria emergente sono i giovani anti-giapponesi. Il distacco con la generazione precedente è impressionante. Nessuno ha i capelli neri, quasi tutti li tingono, di biondo, di rosso e ora, per festeggiare la vittoria del Brasile, di verde. Bevono vino, viaggiano in Europa ma rigorosamente non in gruppo, hanno fidanzati americani, votano contro il partito liberaldemocratico al potere da sempre, parlano francese e si appassionano al calcio. Personaggio di riferimento è Nakata, che non è come abbiamo creduto un ribelle gauchiste, ma il figlio di un maestro di golf che alle Toyota e al saké preferisce le Ferrari e il Sassicaia. Il fenomeno non è ovviamente nuovo, ma i Mondiali l’hanno messo in evidenza e fatto crescere. Il premier capellone Koizumi vi faceva affidamento per tirare su il morale del paese. L’eliminazione precoce del Giappone e i successi dei disprezzati coreani non hanno giovato. venuto invece un duro colpo al controllo sociale, ai meccanismi per cui non ci si bacia per strada e si denuncia al capufficio il collega che è andato a prendere un caffé, alla rigidità di un sistema in cui l’autorepressione genera perversioni come quelle della finta metropolitana di Kabuchiko. I tifosi del Mondiale si sono radunati ogni sera nella piazza di Shinjuku, una delle poche in una città in cui ci si sfiora ma non ci si incontra, e si sono divertiti a fare le boccacce alla polizia. Anche così si esprime l’estraneità a un sistema politico che la crisi rischia di travolgere. Koizumi, ciuffo alla Richard Gere e stile informale, doveva essere la carta della modernizzazione dei liberaldemocratici. Ha fallito. Precipitato nei sondaggi, ha diviso il partito, ne ha espulso l’ex ministro degli Esteri Tanaka, figlia del leader storico, è accusato di non aver difeso il suo rivale, Suzuki, arrestato per tangenti. Ha pensato di uscirne con un’ambiziosa riforma economica, resa necessaria da un debito pubblico arrivato quasi al 140 per cento del pil, che i grandi vecchi gli hanno bloccato: altri tagli e nuovi licenziamenti sarebbero stati un colpo mortale per il governo. L’ultima tranche della privatizzazione delle ferrovie servirà a prepensionare decine di migliaia di ferrovieri. Questo mentre i ristoranti, al quarantesimo piano dei grattacieli, da 150 euro a testa sono prenotati da una settimana: i consumi diminuiscono, non i prezzi, regolati da un’élite che non ha alcuna intenzione di evaporare. Anche l’impiegato Kaka del romanzo alla fine decidere di ribellarsi alla condanna. Ombre senza destino percorrono la Tokyo dello Tsu-yu, la lunga pioggia che dura da sei giorni. Tra queste ce n’è una che si fa chiamare Hagen Roi, Croce Uncinata, e ha battezzato i figli Ermenegilda e Sigfrido. Il suo vero nome è Delfo Zorzi, nella vita precedente secondo la giustizia italiana si è macchiato della strage di piazza Fontana, e ora evapora tra le villette dell’elegante quartiere di Aoyama. Aldo Cazzullo