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 2002  luglio 19 Venerdì calendario

A Monte Caprino non si può più fare l’amore, diario, 19 luglio 2002 Ci sono storie sotterranee nel mondo, poco visibili ai più, che per bigotteria nessuno scriverà mai, consegnandole all’oblio

A Monte Caprino non si può più fare l’amore, diario, 19 luglio 2002 Ci sono storie sotterranee nel mondo, poco visibili ai più, che per bigotteria nessuno scriverà mai, consegnandole all’oblio. Cosa sia stata, forse per secoli, la perfetta simbiosi tra rovine romane, vegetazione urbana spontanea e froci - meglio questa cruda parola dialettale per la storia cui voglio accennare - nelle notti romane, in quella zona che va da Monte Caprino al Colosseo, al Circo Massimo, l’ho intuito nei primi anni Sessanta, quando la passione per l’archeologia e la storia romana, e il ruinismo romantico al chiaro di luna, me la fecero scoprire per caso. Sotto arconi romani, tra colonne spezzate e lapidi, in scenari da grandioso incubo piranesiane ombre s’aggiravano a migliaia, lemuri della notte che si scambiavano sguardi di desiderio e d’intesa, corpi si annodavano nei più fantastici groppi e combinazioni, notturne metamorfosi ovidiane. E in pieno giorno, tra i fitti cespugli d’oleandro del Circo Massimo e fragranze di timo e salvia selvatici, con solo un tantino in più di discrezione, per non sconvolgere mamme incaute che conducevano er pupo a far pipì tra quelle fronde, accadeva lo stesso. E gli incontri che si facevano! Il meglio di cinema, teatro e letteratura di quegli anni, che fu - ma lo capimmo dopo - un’età dell’oro - no, no, per carità, non faccio nomi! O come nella tassonomia sociale di Addio Tabarin, «avvocati, deputati e qualche senator». Tra questi, ai più seriosi e timorati, se all’urlo sottofiato delle vedette - «La polizia!» - facevano a tempo a tirarsi su i pantaloni, restava sempre l’ultima risorsa di dire: «Ma io ero qui per un’inchiesta sociologica»; o, in alternativa: «Ero qui per documentarmi per il mio prossimo film sui ragazzi di vita (indoramento lirico pasoliniano del poco poetico marchette, ndr)». Luoghi mitici dello scambio sociale ed economico, dove l’incontro con il grande reggista poteva spalancarti il sogno dorato der cinema; e se ti prendeva a protezione potevi anche fatte ’na gultura, e magari ’a moto. E ragazzi scesi a Roma dal circumvicino contado pieno di processioni e madonne, che ancora si godeva un suo protratto Medioevo, si ritrovavano qualche lira - le vecchie care lire, care e poche - p’annà a ballà ’a sera dopo ch’a ragazza. Cifre esigue. Un mio amico tirchissimo, fanatico habitué, era detto Milletrè. Non per riferimento al mozartiano catalogo, ma solo perché alla richiesta «Milleccinque!», lui soggiungeva trafelato: «Nun se potrebbe fa’ milletré?!». Or dov’è il suon di quella Roma? Scomparso. Perché le ultime Giunte capitoline di sinistra, per impedire questo sconcio hanno cintato e protetto con cancelli elettronici la zona archeologica, preoccupate che un poco visibile mercato dei corpi - ma a volte, spesso, lo si faceva anche per amore - possa danneggiare il mercato delle rovine e della storia disneyficata; e, con scarsissima coscienza ambientale, hanno drasticamente estirpato e potato cespugli e fronde, togliendo ogni ambiente vitale a gatti, sorche e froci. Non ci resta che la sauna. Che orrore! Luca Fontana