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 2002  luglio 24 Mercoledì calendario

L’imbianchino sepolto sotto un rompicapo: nell’800 escogitò per la sua lapide un cruciverba, sperando d’ingannare Satana, la Repubblica, mercoledì 24 luglio 2002 John Renie era un imbianchino gallese dell’inizio dell’Ottocento (1799-1832)

L’imbianchino sepolto sotto un rompicapo: nell’800 escogitò per la sua lapide un cruciverba, sperando d’ingannare Satana, la Repubblica, mercoledì 24 luglio 2002 John Renie era un imbianchino gallese dell’inizio dell’Ottocento (1799-1832). La mente di un gallese, si dice, ha un suo funzionamento peculiare. Sicuramente lo ha la lingua: l’inglese parlato dai gallesi è difficilissimo da capire, e c’è chi sostiene che facciano fatica a intendersi persino fra loro. Del resto doveva essere gallese quel calciatore, Ian Rush, che giunto alla Juventus, dopo un colloquio con Gianni Agnelli, rispose alla domanda di un giornalista: «Cosa penso di Gianni Agnelli? Penso che parla l’inglese meglio di me». Intossicato dai materiali usati per verniciare i muri, John Renie sapeva di dover morire, e aveva pensato di ingannare il demonio progettando una tomba in forma di rompicapo verbale. Per risolverlo, ci sono voluti 170 anni: la soluzione, cui è arrivato un gruppo di ricercatori inglesi, ieri è stata pubblicata sul ”Times”. La pietra tombale riporta un casellario di diciannove caselle per quindici, riempito di lettere apparentemente senza senso. L’idea di Renie, infatti, era quella di nascondere il proprio nome in modo che Satana non riuscisse a leggerlo immediatamente e, spazientito come un ladro d’auto alle prese con un antifurto tenace, andasse a prendere l’anima di un vicino di tomba. Purtroppo per Renie il demonio è un esperto in certe cose. Tutti i palindromi della tradizione medievali vengono chiamati «versi del diavolo», e persino il fatto che ”Roma” al contrario si leggesse come ”Amor” (bifronte recentemente rivendicato dal nostro premier e ministro degli Esteri come un merito della capitale) in passato era considerato come un attributo segreto, di origine esoterica. E non è ascoltando all’indietro i dischi rock che pazienti prelati trovano messaggi satanici nascosti? Nel casellario, partendo dalla lettera centrale che è una H, sta scritta la semplice frase «Here lies John Renie»: qui giace John Renie. Solo che sta scritta in modo da poter essere letta una quantità sbalorditiva di volte: andando a destra, poi piegando in basso o verso l’alto, oppure - sempre partendo dalla H centrale - procedendo verso sinistra e piegando ancora... Un labirinto verbale in 285 caselle, in cui si smarrisce non il filo di Arianna ma quello del discorso. Uniformi le pareti dei labirinti (anche di quelli di siepi, come nello Shining kubrickiano), uniformi le lettere che si ripetono e si rispecchiano senza rivelare il segreto della loro direzione. Il diavolo ci avrà giocato, come con l’anima del protagonista di Shining (e con la scritta Red Rum, stanza rossa, che rispecchiata diventa Murder, omicidio). Si calcola che la frase risultante si possa leggere in 45.760 modi diversi (non uno dei quali era stato finora trovato dai non acuti visitatori del cimitero di Saint Mary, Monmouth, dove è sepolto l’imbianchino). La lapide di John Renie è più visionaria della scrittura di Jack Torrance nel salone dell’Overlook Hotel di Shining. Interpretato da un forsennato e ghignante Jack Nicholson, Torrance riempiva fogli e fogli dattilografando lo stesso proverbio: «Il mattino ha l’oro in bocca»: lo scriveva in lungo e in largo per il foglio, scalando e aggiungendo fino a formare quadrati, triangoli, cascate, grovigli di «Il mattino ha l’oro in bocca». Follia e invasamento, diagnostica il narratore. Uno come padre Giovanni Pozzi, il filologo scomparso solo il 20 luglio, autore del magistrale studio su La parola dipinta, avrebbe forse sbadigliato: esperimenti verbo-visivi, non dei più interessanti. C’è un precedente in una stele egiziana di qualche secolo antecedente Cristo. Un secolo dopo Renie, l’enigmista americano Sam Loyd preparò un’edizione illustrata di Alice nel Paese delle Meraviglie: in un’illustrazione c’è un gioco molto simile a quello di Renie. E nella Parola dipinta, il capolavoro di padre Pozzi, carmi figurati e meandri verbali dal Medioevo al Barocco cantano le lodi di Dio. E se fosse un gioco? Quella che un altro prete enigmista, don Anacleto Bendazzi, chiamava una ”lepida lapide”? Di certo, se la storia dell’imbianchino in qualche modo fosse il modo con cui l’autore della Parola dipinta prende congedo nei giorni della sua dipartita terrena, non ci stupiremmo più di tanto. Stefano Bartezzaghi