Giancarlo Laurenzi La Stampa, 02/08/2002, 2 agosto 2002
L’Erede si è mangiato la Fiorentina, La Stampa, venerdì 2 agosto 2002 I guai a volte ritornano, e se ritornano hanno gli anticorpi con lo scudo spaziale, diventando sciagure dall’effetto domino
L’Erede si è mangiato la Fiorentina, La Stampa, venerdì 2 agosto 2002 I guai a volte ritornano, e se ritornano hanno gli anticorpi con lo scudo spaziale, diventando sciagure dall’effetto domino. Quando nel ’90 Mario Cecchi Gori (papà di Vittorio e marito di Valeria, ex factotum di Dino De Laurentiis, produttore de Il Sorpasso di Risi, arrestato nell’83 per aver aiutato Rizzoli e Tassan Din a esportare capitali all’estero), acquistò la Fiorentina dai Pontello, fu osannato in piazza Savonarola dagli stessi lupi mannari che fino alla notte progettavano di trasformare gli Uffizi e Palazzo Pitti in un unico, avvolgente rogo per vendicare la cessione di Baggio all’odiata Juventus. I Pontello erano emigranti di ritorno dall’Australia e a Firenze s’erano distinti per aver costruito un carcere con le grate alte la metà del necessario, come se anziché una prigione fosse la dimora dei sette nani. Cecchi Gori senior morì tre anni dopo nel suo ufficio romano, portandosi una mano sul cuore che lo stava tradendo. Al tormentato ed esuberante figlio lasciò la Fiorentina e il 50 per cento della ”Penta Film”, la società di produzione multimediale che nel primo anno di vita aveva fatturato 250 miliardi, per l’altra metà nelle mani di Silvio Berlusconi, di cui Cecchi Gori prese le difese quando fu accusato di aver provocato la crisi del cinema italiano. « vero il contrario: è grazie alla fine del monopolio tv che cresce il valore dei nostri film». Camminando a due metri da terra, Cecchi Gori sfruttò l’onda lunga, strappando uno scranno da senatore nelle Politiche ’94, collegio di Firenze (Nord), complice il recupero della quota proporzionale. Eletto nelle file del Patto per l’Italia, decise di spostarsi verso sinistra, dal centro nel quale galleggiava secondo programma. Per Berlusconi - allora acerbo premier - fu il peggiore dei tradimenti. Cecchi Gori alzò le spalle per poi voltarle al Polo, e quando l’anno scorso si candidò ad Acireale, fu spazzato via nonostante avesse comprato per 3 miliardi e mezzo la locale squadra di calcio 5 giorni prima della domenica elettorale. Appena un anno fa, a Firenze la rivolta di piazza sembrava ineluttabile, assai peggiore dell’era Baggio: il sindaco Dominici s’appellò alle forze trascendenti perché i tifosi non stappassero le molotov. Il cielo lo ascoltò: la Fiorentina fu salvata miracolosamente dal fallimento mettendo all’asta l’unica argenteria che il padrone non aveva impegnato. La società viola aveva bisogno di 100? L’offerta s’allungava a 110. Si mossero Tanzi e la Parmalat, salvagenti a tracolla mentre Cecchi Gori annaspava al largo: 140 miliardi per Toldo e Rui Costa. D’accordo le parti, saltarono gli affari perché i giocatori si opposero ai trasferimenti, reclamando destinazioni più ambiziose, metropoli come giardini di casa. Così Rui Costa finì al Milan per 85 miliardi (soffiato nottetempo alla Lazio dopo una misteriosa telefonata di Berlusconi), Toldo all’Inter di Moratti per 55 (che continuava la collezione di figurine), mentre Batistuta, l’unica icona della città che accordava uomini e donne (più di Benigni, molto più di Pieraccioni), festeggiava lo scudetto con Totti e Capello, lasciato 12 mesi prima alla Roma in cambio dei 70 miliardi subito trafugati e finiti nelle casse della Finmavi, la cianotica finanziaria di famiglia. Quanto a Chiesa, sarebbe passato alla Lazio nella sessione mercantile autunnale, se non si fosse slacciato un tendine dopo sei giorni di campionato, inutilizzabile fino alla primavera seguente. Rastrellato il contante, a bilancio la cifra, il tracollo fu rinviato. Il tribunale archiviò l’istanza fallimentare, stendendo moquette sopra il buco di 316 miliardi certificati nel giugno 2001 dai sindaci revisori. Il presidente del collegio di quei sindaci aveva un cognome che era un programma. Si chiamava Sanità, e spiegò con una matita dove fosse il problema: «Incassiamo 23 miliardi, di stipendi se ne spendono 120». Cecchi Gori confessò agli amici di sentirsi soffocare dal ridimensionamento onnicomprensivo: presidente di una squadra allo sbando; orfano delle due Tmc (dove per anni dilapidò milioni di dollari) che Pellicioli e Colaninno gli soffiarono con scaltrezza dopo essere entrati come soci Seat; la holding di casa alle prese con il prestito studiato dalla Merrill Lynch: 475 miliardi di obbligazioni collocate sul mercato da ripagare con gli incassi dei film che nel frattempo singhiozzano (produzioni a rilento perché non arrivano le paghe degli operai) a vantaggio della Medusa dell’ex amico Berlusconi; il matrimonio fallito con Rita, la conturbante croata che battezzò la sua carriera di celluloide come l’amante di un grottesco Attila, interpretato dall’Abatantuono ante litteram; la cocaina trovata in casa dagli agenti infiltrati. Di vero, la Fiorentina ha sempre avuto carenze di acquirenti, considerando le cifre richieste dall’effimero padrone (intorno ai 450 miliardi). Sciolta come un iceberg all’equatore la lista dei papabili: da Tootoonchi a Preziosi, da Cavalli a Fratini, fino a una cordata trainata dall’ex ministro Barucci e a un’altra sponsorizzata dall’ex amministratore delegato Luna. I debiti, saldati vendendo le ultime collezioni: a novembre scorso per pagare l’Irpef arretrata, Cecchi Gori alienò per 40 miliardi alla Medusa i diritti su alcuni film, pochi giorni prima era scattata la messa in mora del club da parte dei giocatori, neppure un mese dopo fu indagato in Sicilia per voto di scambio. La squadra, nel frattempo, cambiava tecnico (da Mancini a Bianchi), unica costante le batoste, fino alla retrocessione in serie B (la seconda della sua gestione dopo quella del ’93 con quattro allenatori diversi), con tre giornate d’anticipo sulla fine del campionato. Lì, la gente, è esplosa: 30 mila persone in piazza nella fiaccolata anti Cecchi Gori (che da presidente si era dimesso nel luglio precedente), il tribunale - che un anno prima aveva aperto l’istruttoria fallimentare - nominò Enrico Fazzini amministratore giudiziario. Il peggio, dietro l’angolo: l’asta per l’acquisto del 51 per cento delle azioni andata deserta giovedì, e il piano finanziario disegnato da Tatò (ultima àncora lanciata da Berlusconi) e Barucci finito in coriandoli perché Cecchi Gori si rifiuta di vendere la multisala Adriano di piazza Cavour e palazzo Borghese, a Roma. « strozzinaggio», avrebbe confessato in un momento di disperazione a Valeria Marini, (al momento) fedele compagna. Ha continuato a mandare messaggi di speranza, gli hanno creduto fino a quando non è arrivato davvero il bonifico richiesto di 22 milioni di euro. Non è stata l’attesa salvezza, ma la giugulare recisa. I soldi piovevano da una banca colombiana, firmati da un nome mai esistito. Un gesto patetico, il vorticoso rincorrersi tra paradisi fiscali e scatole cinesi alla ricerca di un bluff che allungasse l’agonia. «L’ultima pazzia? Andare in panchina. Prima o poi lo farò», disse un giorno dal suo yacht sorseggiando nettare. Una pazzia, ora, sarebbe tornare a Firenze. Ché i gendarmi s’agiterebbero in prima fila nella caccia all’uomo. Giancarlo Laurenzi