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 2002  agosto 02 Venerdì calendario

Il medico dei poveri che cura gratis anche i ricchi, Corriere della Sera, venerdì 2 agosto 2002 I discorsi su quel marchingegno generatore di debiti e non poche insanie ch’è in Italia la spesa sanitaria sono sempre più contorti e noiosi

Il medico dei poveri che cura gratis anche i ricchi, Corriere della Sera, venerdì 2 agosto 2002 I discorsi su quel marchingegno generatore di debiti e non poche insanie ch’è in Italia la spesa sanitaria sono sempre più contorti e noiosi. Tra demagogie del diritto alla salute, debiti grotteschi delle regioni, manager Asl tanto più inetti quanto più vantati, ormai si è smarrito ogni centro del discorso. E allora, per capire quanto nella sanità sia o no sano, forse giova la storia di un assai mite indiano. Quel dottor Venkataswamy, che durante la riunione incrociava le dita storte come foglie rinsecchite e ottantenne ascoltava, calmo. Aveva i capelli corti e bianchi ed uno di quei visi d’indiani che cogli anni diventano sempre più occidentali. Era febbricitante, gonfio in viso, eppure attento all’americano, professore venuto apposta dalla Università di Harvard che intanto parlava. Appunto circa il come accordare bassi costi con qualità e profitti nel settore sanitario. Costui argomentava: «La migliore opportunità di business in India è vendere ai poveri». Ma allora il vecchio dottore lo interruppe. «I consulenti parlano dei poveri. Nessuno lo fa ad Aravind. Povero è termine volgare. Chiamerebbe Cristo un uomo povero? Pensare a certe persone come poveri, ti acceca rispetto alle maniere delle tue povertà. E in Occidente ce ne sono molte, dell’anima e dello spirito». Govindappa Venkataswamy nasce in una famiglia di contadini nel 1918. La mattina doveva portare al pascolo i bufali, otto chilometri fino a scuola dove non c’erano penne e neppure quaderni o carta. Come gli altri bambini, raccoglieva la sabbia e, spargendola sul pavimento, con le dita ci scriveva sopra. Il padre credeva in Dio e in una coscienza più alta; e l’educò alla lealtà. Nel 1938 si diplomò in chimica e nella seconda guerra mondiale venne arruolato nell’Indian Army Medical Corp. Ma nel 1948 un’artrite reumatoide lo immobilizzò per due anni in ospedale. Iniziano pene di salute che non lo lasceranno più. Tende ai più alti ideali, ma è inetto a muoversi. Il dissidio lo dilania. Ma nel Sud dell’India poco lontano si è ritirato un grande saggio: Sri Aurobindo. Da lui impara un fine. Gli uomini avrebbero raggiunto un più alto grado di evoluzione e si sarebbe creata una mente più elevata. Ma anche il corpo avrebbe dovuto essere perciò perfezionato. La vita di ogni giorno doveva diventare divina luce. La luce. Ecco la scelta di consacrarsi a curare i ciechi. La sua salute migliora e iniziano gli allenamenti per tenere in mano un bisturi, e incurvati gli attrezzi, operare cataratte una dopo l’altra, malgrado i dolori. Ma nel 1976 viene pensionato per limiti d’età dal reparto di oftalmologia dell’ospedale statale di Madurai che dirigeva. Sa che lo Stato indiano non può farcela a curare da solo i circa diciassette milioni di malati di cataratta. Crea allora il Govel Trust, col fratello Srinivasan e la clinica, chiamata Aravind dal nome di Aurobindo. Forma un team di giovani e parenti conquistati uno dopo l’altro, che rinunciano ad altri mestieri. La sua clinica oculistica apre nello stesso 1976 con undici letti ed una sala operatoria. In pochi anni è già un ospedale, con trecento letti e sette camere operatorie che visita 758 pazienti al giorno, con 87 operazioni giornaliere in media. Quasi doppi i risultati dei campi mobili nei villaggi. Solo nel 1996 sono stati creati 927 campi, nei quali decine di migliaia pazienti vengono operati gratuitamente. Nell’ospedale che ha fondato a Madurai ogni giorno arrivano quattrocento ciechi, attesi nella gran sala d’aspetto dai loro accompagnatori che attendono di riportarli a casa, nei villaggi lontani centinaia di miglia. I pazienti ”free” hanno cibo, stanza e cure pagate dall’ospedale. Gli altri pagano un dollaro per la visita, 3 dollari per il letto, 120 dollari l’operazione. La regola è di non domandare a nessuno se sia ricco o povero. «Talora diamo gratis l’operazione a delle persone ricche. Non gestisco un’impresa, opero agli occhi». In effetti dal 1976 ha dato la vista a un milione di persone. E l’ospedale è in attivo malgrado il fatto che quasi il 70 per cento dei pazienti paghi niente o quasi niente. L’ospedale non dipende peraltro dalle donazioni. Ecco perché la Michigan Business School ci studia sopra da anni. Ad Aravind una cataratta costa 10 dollari, negli Usa 1.650. Evitiamo il confronto con una Asl italiana. Il dottor Venkataswami fa un’economia all’antica: risparmio, modestia, servizio. Già nel 1998 sono stati visitati nei suoi ospedali più di un milione di pazienti e operate 183mila cataratte, ma lui seguita a vivere della sua pensione. Gli ospedali non gli rendono una rupia, tanto meno accettano doni governativi. Quanto vi è di più lontano da come in Italia funziona il non profit, o la sanità delle Asl. Ma da noi c’è un pensiero stanco d’ideologie e tornaconti, che ha rovinato la mente di milioni di persone. Nel cuore di questo vecchio invece c’è un pensiero della vita superiore. Come può essere quello di chi si vede un bel mattino bloccato all’ingresso del primo ospedale che ha fondato da un infermiere, il quale non lo riconosce e gli dice: «Siediti vecchio. Stai bloccando le entrate». E Venkataswamy si siede, resta lì, finché non passa un dottore che gli chiede cosa fa seduto in ricezione. E lui: «Mi hanno detto che non posso entrare, così sto aspettando». Le infermiere dell’ospedale sono ragazze di campagna per la prima volta in città. Sono semplici e devote, ma non badano al dottor Venkataswami, ottantenne malsicuro, inclinato su una parete. Allora la nipote e un chirurgo gli vanno incontro per aiutarlo, ma lui spiega: «Non puoi aiutarmi, sto reggendo il muro». Nel 1998 anche l’’Herald Tribune” con un’intervista si occupa di lui e del suo ospedale che ha tre altre sedi nel Tamil Nadu. Anche quel giornale è impressionato soprattutto dal fatto che i vari ospedali siano in attivo. Abbassano i costi unitari con volumi immensi di operazioni ed uno staff che lavora dodici ore al giorno e sei giorni a settimana. «Il mio modello è McDonald’s», spiega Venkataswami. Che intanto produce su licenza anche lenti intraoculari. Ma non ci sono liste, né appuntamenti nei suoi ospedali. Le domeniche sono riservate per i campi mobili. Alcune imprese sponsorizzano i bus per i malati. Siamo oltre tutti i nostri schemi di non profit e sanità, come capisce anche un giornalista che su internet racconta l’operazione agli occhi di un bambino, un cieco di tre anni. Vede attorno al bambinetto cinque persone che si affannano per guarirlo. Se ne commuove, e scoppia a piangere: s’accorge che sul monitor quel piccolo occhio pare divenuto il globo lucente e blu della terra, che galleggiava in una nuvola bianca. Geminello Alvi