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 2005  agosto 11 Giovedì calendario

E Geronzi? Vanity Fair, 11 agosto 2005 Mica occorreva aspettare le intercettazioni telefoniche sui baci in fronte, le mogli, le figlie e i vari don Gigi, per sapere che intorno al governatore della Banca d’Italia brulica una camarilla di amiconi in affari e in politica, spesso devoti ma altrettanto spesso di levatura mediocre rispetto agli standard di un mercato competitivo

E Geronzi? Vanity Fair, 11 agosto 2005 Mica occorreva aspettare le intercettazioni telefoniche sui baci in fronte, le mogli, le figlie e i vari don Gigi, per sapere che intorno al governatore della Banca d’Italia brulica una camarilla di amiconi in affari e in politica, spesso devoti ma altrettanto spesso di levatura mediocre rispetto agli standard di un mercato competitivo. Semmai la divulgazione a orologeria di quelle intercettazioni andrebbe denunciata come l’ennesimo colpo proibito dentro una guerra di potere resa selvaggia dall’assenza di regole. Si tratta di conversazioni per nulla sorprendenti: anche i sassi in Italia sapevano che il governatore Antonio Fazio intrattiene da anni un rapporto confidenziale con Gianpiero Fiorani della Popolare di Lodi (ora Popolare Italiana), e che entrambi non disdegnano la confidenza di finanzieri tipo Chicco Gnutti e Stefano Ricucci. Peraltro la repentina caduta in disgrazia di Fazio, sopravvissuto stoicamente agli assalti di Tremonti e della Confindustria di D’Amato nel 2004, ha inizio guarda caso dall’incrinarsi di un altro dei suoi famosi rapporti preferenziali, in barba al suo ruolo di arbitro: stiamo parlando del banchiere cattolico romano per eccellenza, il navigatissimo Cesare Geronzi di Capitalia, risorto dagli scandali Cirio e Parmalat per entrare nei salotti buoni dell’establishment (Rcs, Mediobanca, Pirelli). Niente di nuovo sotto il sole. Contro gli eccessi di discrezionalità e i favoritismi di Fazio si mormora almeno dal 1999, quando bloccò le fusioni bancarie Unicredit-Comit e San Paolo-Capitalia. Troppo facile scoprirli oggi. Col senno di poi dovrebbe stupirci piuttosto l’ampiezza della cortina di protezione disposta intorno al potere del governatore, quasi che il prestigio dell’istituzione ne facesse una sorta di intoccabile sottratto al diritto di critica. Ricordo la prima volta che, all’inizio del 2002, organizzai con Bruno Tabacci e Salvatore Bragantini una trasmissione televisiva per discutere l’eccesso di poteri attribuiti a Bankitalia e l’antistorico mandato a vita di cui gode chi la guida. A poche ore dalla diretta mi fu caldamente raccomandata la presenza in studio non solo di un paio di giornalisti-difensori del governatore, ma addirittura di un ministro della Difesa: sì, proprio Antonio Martino, in teoria liberista della scuola di Chicago, che invece venne lì un po’ imbarazzato a fare la parte del custode dei poteri di Fazio. E pure il mio compare Giuliano Ferrara ci teneva a dichiarare in pubblico, tra il serio e il faceto: sia ben chiaro che questa è solo una trovata di Gad Lerner. Adesso, che si dimetta o che resista nonostante il discredito, sparare su Antonio Fazio è diventato facile, anche da parte di chi l’ha ossequiato fino a ieri. A segnalare per primo il cambio di stagione, con editoriali al curaro in cui anticipava la sostanza delle intercettazioni telefoniche, è stato la primavera scorsa un giornalista notoriamente amico di Cesare Geronzi: il direttore di Milano Finanza, Paolo Panerai. Venivamo a sapere così che nella battaglia per la conquista di Antonveneta e della Bnl si era rotto l’asse portante della finanza meglio introdotta nel Palazzo romano e in Vaticano. I lettori avranno notato che fin qui non si è parlato di economia reale, ma solo di potere. Non fingiamo di stupirci di ciò che sappiamo benissimo: dai tempi del Gattopardo in Italia certi poteri, depositari di segreti e di crediti inesigibili, sopravvivono anche agli scandali. Per esempio la banca della capitale – che ha finanziato i partiti politici di maggioranza e d’opposizione, le aziende del premier, le squadre di calcio veicolo di consenso popolare - in qualche modo è obbligatorio sieda al tavolo di quelli che contano, liberandosi dei compari più discussi per ritornare d’un tratto presentabile. Tanto più che, con tutti i suoi segreti nella pancia, oggi ha trovato pure chi sa gestirla meglio di prima. Quando veniva indagato per i suoi rapporti con Cragnotti e Tanzi, Cesare Geronzi dichiarò a Repubblica: attenti, sparano a me («il passero») ma mirano a Fazio («il piccione»). Ora il piccione è impallinato mentre il passero gode del rispetto generale. In assenza di regole, ciò è tipico dei meccanismi autoprotettivi di un sistema debole, che trova solo nella speculazione i suoi pezzi di ricambio. Un sistema afflitto dai debiti e dalla scarsa crescita, perciò sempre in cerca di un nuovo patto di potere. Adesso gli occhi sono puntati sul nuovo fondo d’investimento destinato a risanare le aziende in crisi e co-finanziato dal capo del governo (Berlusconi) e dal principale editore di giornali (De Benedetti), con la presenza a titolo personale del presidente degli industriali (Montezemolo). Certo non sarà facile per le banche dire di no a una simile compagnia. Gad Lerner