Il Sole 24 Ore 18/02/2006, pag.1-8 Stefano Salis, 18 febbraio 2006
Tra i tesori dell’Ambrosiana spunta un Boccaccio osé. Il Sole 24 Ore 18 febbraio 2006. La fortuna aiuta gli audaci, si dice
Tra i tesori dell’Ambrosiana spunta un Boccaccio osé. Il Sole 24 Ore 18 febbraio 2006. La fortuna aiuta gli audaci, si dice. Ma anche i filologi, capaci di ritrovamenti insperati quanto clamorosi. Come quello annunciato ieri alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Non si tratta solo di fortuna, ovviamente. Per queste scoperte ci vogliono occhi che le sappiano vedere: e questa storia lo dimostra ampiamente. Dai ricchi fondi della biblioteca milanese è saltato fuori nientemeno che un manoscritto completamente autografo di Giovanni Boccaccio. E già così la notizia sarebbe ghiotta. Diventa gustosa quando si viene a sapere che il manoscritto in questione trasmette i celebri e osceni Epigrammi di Marziale (poeta latino morto intorno al 104 d.C.). Ma non solo: Boccaccio non si limitò a copiare i versi del poeta latino. A margine, infatti, annotava le proprie emozioni con delle postille piuttosto vivaci (a un certo punto esclama: "Che questo poeta sia maledetto", tale è l’oscenità del testo) e faceva dei piccoli disegni, come sua abitudine. In questo codice si contano quattro eleganti schizzi, uno dei quali raffigura il poeta Seneca. A compiere la scoperta un giovane studioso della Cattolica, Marco Petoletti (33 anni), che sta eseguendo ricerche personali sulla tradizione dei classici latini presenti all’Ambrosiana. Il filologo si è imbattuto nel manoscritto una settimana fa: dapprima la grafia (un’elegante e precisa minuscola) lo ha insospettito. Assomigliava fortemente all’altro manoscritto di Boccaccio (1313-1375) custodito all’Ambrosiana (un commento di San Tommaso all’Etica di Aristotele, firmato alla fine con l’epigrafe "Ioannes de Certaldo scripsit feliciter"). Ma questo indizio non basta. Scatta allora "l’indagine poliziesca". Ed ecco che lo soccorrono le ultime tre parole del penultimo foglio, un sistema che Boccaccio usava quando doveva catalogare i suoi manoscritti. "Toxica saeva gerit" (ultime parole di un verso che suona come un’invettiva contro il denaro: autore Giovanni di Salisbury, accluso da Boccaccio in appendice). Coincidono con quelle che ha sotto gli occhi. la prova definitiva. Quel manoscritto dell’Ambrosiana è uno di quelli che fu affidato da Boccaccio al frate Martino da Signa perché lo cedesse (dopo la sua morte) alla biblioteca degli agostiniani di S. Spirito a Firenze dove, appunto, finì la biblioteca privata dell’autore del Decameron. Il giallo è risolto. Boccaccio copiò il Marziale, molto probabilmente, al monastero di Montecassino, durante il suo soggiorno campano del 1362-63. Anzi. Fu Boccaccio a "scoprire" Marziale: dopo di lui, gli umanisti fecero a gara a ricopiarsi il licenzioso poeta. Ma il ritrovamento milanese sposterà in maniera decisiva le nostre conoscenze sulla tradizione manoscritta di Marziale e aiuterà a conoscere meglio le abitudini di Boccaccio. Altri suoi disegnini si ritrovano, per esempio, nel codice del Decameron di Berlino studiato da Vittore Branca. anche possibile che il codice sia stato ceduto per un certo tempo da Boccaccio a Petrarca. L’autore di Certaldo economicamente non se la passava benissimo e copiava manoscritti anche su commissione e spesso li prestava all’amico poeta. La curiosità della scoperta, come ha sottolineato il prefetto dell’Ambrosiana, mons. Gianfranco Ravasi, è "che il manoscritto fa parte della collezione originale della Biblioteca". Ossia: era lì fin dalla fondazione (nel 1609), comprato, per conto del cardinale Federico Borromeo, da un certo "signor Domenico". Ci sono voluti 400 anni per "riconoscere" il Boccaccio e l’occhio esperto di un assegnista di ricerca della Cattolica. Un suo illustre "predecessore", Angelo Mai che trovò in un palinsesto il De Republica di Cicerone, fu, poi, nominato cardinale e lodato da Leopardi. Nel caso dello studioso milanese, della scuola di Giuseppe Billanovich, ci saranno pubblicazioni (la prima su "Italia medioevale e umanistica") e, verosimilmente, la carriera accademica. "Il manoscritto era anche stato restaurato nel 2000, ma nessuno si è mai accorto che era di pugno di Boccaccio. Un colpo di fortuna così non capita tutti i giorni". Falsa modestia: oltre la fortuna, ci vuole perizia e acume. La vicenda lascia uno stimolante interrogativo: quante altre sorprese può riservare una biblioteca vasta e per molti versi ancora inesplorata come l’Ambrosiana? Il prefetto Ravasi si congeda dal pubblico con un sorriso sornione. Stefano Salis