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 2005  settembre 18 Domenica calendario

I caratteristi: facce, voci e tanto talento una vita in secondo piano, La Repubblica, 18 settembre 2005 NEW YORK In uno dei momenti più drammatici di Viale del Tramonto, la protagonista Norma Desmond costringe il giovane amante ad assistere alla proiezione di un suo vecchio film, e, per sfogare il moto d’ ira nei confronti di un successo che da troppo tempo le ha voltato le spalle, commenta con disprezzo la necessità del dialogo per aiutare degli attori senza talento e personalità

I caratteristi: facce, voci e tanto talento una vita in secondo piano, La Repubblica, 18 settembre 2005 NEW YORK In uno dei momenti più drammatici di Viale del Tramonto, la protagonista Norma Desmond costringe il giovane amante ad assistere alla proiezione di un suo vecchio film, e, per sfogare il moto d’ ira nei confronti di un successo che da troppo tempo le ha voltato le spalle, commenta con disprezzo la necessità del dialogo per aiutare degli attori senza talento e personalità. La sua conclusione è tragica, perentoria e piena di rabbia: «Noi avevamo le facce!». La battuta di Norma Desmond, pronunciata di fronte ad un film di un’ epoca scomparsa, potrebbe applicarsi perfettamente alla storia gloriosa dei caratteristi italiani, e alla riflessione sul declino di una categoria che ha contribuito in maniera determinante a render grande il nostro cinema. Una splendida retrospettiva, ideata da Carlo Verdone e Mario Sesti all’ interno del Festival Terra di Siena, in scena dal 26 settembre al 2 ottobre, consente di ripercorrerne le tappe principali attraverso la proiezione di una selezione di film diversissimi sia sul piano delle ambizioni che del genere (si va da Paisa ai Pompieri di Viggiu, da I Vitelloni a La famiglia passaguai), ed un convegno intitolato ai "Non Protagonisti", al quale parteciperanno Franca Valeri, Tiberio Murgia e Giacomo Furia. A questa nuova puntata di una ammirevole riscoperta analitica del cinema classico italiano è stato attribuito un segno particolare di celebrazione anche con la scelta del luogo: la retrospettiva avverrà infatti all’ interno del Museo Santa Maria della Scala, istituzione deputata per preziosissimi allestimenti pittorici. L’ idea di attribuire alla settima arte la dignità e l’ importanza della pittura non è certo nuova, ma ciò che in questa iniziativa appare inedito e meritorio, è la volontà di celebrare i cosiddetti ruoli "minori" o da comprimario, facendo risaltare come la grandezza di un’ opera cinematografica sia raggiungibile soltanto con la perfezione di ogni elemento, e come il cinema sia sempre e imprescindibilmente un’ arte collettiva. Rivedendo le pellicole proposte nella retrospettiva, focalizzata nel periodo tra gli anni quaranta e gli anni sessanta, ci si imbatte in una serie di facce memorabili, ognuna delle quali meriterebbe un film a parte. Ma la ricchezza non si limita alla straordinaria espressività dei volti (basti pensare a Leopoldo Trieste o a Mario e Memmo Carotenuto) o alla capacità di far parte di una coralità sapendosene nello stesso tempo distinguere: oltre al talento misconosciuto di interpreti che spesso hanno fatto parte di un film con una singola battuta, non si può sottovalutare la ricchezza di una inflessione che era quasi sempre dialettale, e che non solo coloriva la scena in cui costoro comparivano, ma la rendeva immediatamente autentica, e specchio di un’ Italia che in quegli anni cercava la propria rinascita e la propria definizione. Rivedendo questi interpreti all’ opera con primattori grandi e popolarissimi come Totò e Aldo Fabrizi, si nota immediatamente come non ce ne sia uno che non sia cosciente di essere al servizio di un progetto, e riesca tuttavia a ritagliare splendidamente il proprio ruolo, non come atto di conquista, ma di orgogliosa partecipazione. Risulta facilmente comprensibile come registi diversissimi quali Fellini, Monicelli, De Sica, Risi e persino Rossellini (ma la retrospettiva celebra giustamente anche il lavoro di Steno, Mattioli, Simonelli e Corbucci) abbiano individuato nel talento e nella fisicità di questi interpreti un tesoro inestimabile, dal quale estrarre delle perle che spesso non avevano bisogno neanche di esser troppo lavorate. Segno tangibile di questo approccio di servizio è anche un’ utilizzazione che paradossalmente negava una delle caratteristiche più significative come l’ espressione dialettale: è la sorte del napoletano Capannelle, che nei Soliti Ignoti diviene romagnolo, del sardo Tibero Murgia, che ha interpretato perennemente il ruolo del siciliano, o dell’ infinito numero di attori reinventati da Fellini sino alla caratterizzazione grottesca e trasognata: da questo punto di vista un film come Amarcord è una vera e propria antologia, a cominciare dai protagonisti maschili Armando Brancia e Bruno Zanin. Si deve al genio di Germi, che più di ogni altro ha saputo sfruttare la potenzialità musicale dei non protagonisti, l’ aver dimostrato come un caratterista potesse reggere meravigliosamente il ruolo da protagonista, e la sua intuizione di affidare a Saro Urzì il ruolo di Don Vincenzo Ascalone in quel capolavoro della commedia all’ italiana che è Sedotta e abbandonata venne premiata con la Palma d’ oro per l’ attore a Cannes come migliore interprete. Erano anni in cui primattori di teatro come Gastone Moschin e Franca Valeri prestavano ripetutamente il proprio volto al cinema per ruoli di contorno, e la constatazione di questa coralità lavorativa che era il presupposto per il raggiungimento di un risultato artistico aggiunge un altro elemento a chi sostiene che la fine della stagione dei grandi caratteristi coincida con l’ inizio del declino del periodo aureo del cinema italiano. Ritorna ancora una volta in mente Norma Desmond, che in risposta a chi le dice «lei è stata grande» risponde «io sono grande, è il cinema che è diventato piccolo», o la massima attribuita ad Alfred Hitchcock, il quale sosteneva «non esistono piccoli e grandi ruoli, ma piccoli e grandi attori». Antonio Monda