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 2006  febbraio 17 Venerdì calendario

L’Italia e i Nobel, intrighi a Stoccolma. Corriere della Sera 17 febbraio 2006. Che succede lassù, nelle segrete stanze di Stoccolma dove si decidono i premi Nobel per la letteratura? Molte informazioni sui retroscena può darle Enrico Tiozzo, voce autorevole della cultura italiana in Svezia, ben introdotto nei circoli ristretti dell’Accademia, tra i pochi ad avere accesso ai suoi archivi

L’Italia e i Nobel, intrighi a Stoccolma. Corriere della Sera 17 febbraio 2006. Che succede lassù, nelle segrete stanze di Stoccolma dove si decidono i premi Nobel per la letteratura? Molte informazioni sui retroscena può darle Enrico Tiozzo, voce autorevole della cultura italiana in Svezia, ben introdotto nei circoli ristretti dell’Accademia, tra i pochi ad avere accesso ai suoi archivi. Tiozzo osserva: «Il nostro Paese sta sbagliando tutto, sia in campo culturale che politico. L’immagine dell’Italia a Stoccolma è, a dir poco, deformata e paradossale». Un esempio? «Lars Forssell, potente membro della commissione, ma anche figura di assoluto prestigio come poeta, commediografo e uomo di teatro, mi confidò nel ’91: spero di far assegnare il Nobel a Totò». Forssell, oltre che di Totò, era ammiratore di Dario Fo. La decisione di premiare quest’ultimo - secondo Tiozzo - «ha rappresentato anche un modo, da parte dell’Accademia, di mettere a tacere la diatriba ormai decennale, molto dietrologica, sui presenti illeciti legati al mancato riconoscimento a Mario Luzi». In che senso? «Visto che la polemica si scatenava puntualmente ogni anno sui giornali italiani, in concomitanza con l’assegnazione del Nobel, si è pensato che l’unico modo di uscirne fosse premiare un altro candidato italiano». Uno scandalo, come hanno sostenuto in molti, la scelta di Dario Fo invece di altri candidati? «Piuttosto la prova implicita del fatto che la letteratura italiana - intesa come romanzo e poesia - non aveva in realtà figure degne del Nobel, e che se si voleva onorare la nostra cultura era necessario rivolgersi al cinema o al teatro. L’Italia come Paese di attori e giullari è un’immagine che piace ai membri dell’Accademia e agli svedesi in generale». Tiozzo, che lavora da quasi quarant’anni nel mondo universitario svedese (attualmente è ordinario di italiano a Göteborg), è amico personale di quasi tutti i membri della commissione ristretta che, anno dopo anno, seleziona le candidature al Nobel riducendole da trecento a cinque, vaglia e soppesa le prescelte, infine le sottopone al plenum di quindici accademici perché si proceda alla votazione decisiva. E si assume le sue responsabilità nel lanciare l’allarme. La prima, sconfortante conclusione è questa: l’Italia è di solito fuori dai giochi perché non presenta candidature, salvo poche eccezioni. Un po’ per ignoranza del regolamento (le proposte devono raggiungere l’Accademia entro il 1° febbraio di ogni anno e provenire da rappresentanti di istituzioni culturali autorevoli sul genere dei Lincei, professori universitari di lingue e letterature, scrittori già premiati, dirigenti di associazioni tipo i Pen Club). Un po’ per mancanza d’iniziativa o per fatalismo eccessivo, dovuto alla convinzione sbagliata che in ogni caso le domande non verrebbero prese in considerazione (mentre la meticolosità scandinava impone di conservare sempre tutto, persino le lettere anonime o illeggibili provenienti da Paesi sconosciuti, per la gioia dei posteri e futuri ricercatori). E infine, si direbbe, per miopia o clientelismo letterario. I candidati italiani sono stati una ventina in tutto nell’arco dei primi cinquantaquattro anni, e la maggioranza di questi decisamente poco conosciuta (qualche nome: Angelo de Gubernatis, Salvatore Farina, Dora Melegari, Roberto Bracco), mentre celebrità indiscutibili come d’Annunzio, Pascoli, Verga, Capuana, De Roberto, Pavese, Vittorini, Gadda e tantissime altre non hanno mai avuto l’onore di una segnalazione. La denuncia di Enrico Tiozzo riguarda anche la mancanza di una politica culturale italiana a Stoccolma. «La cosa più riprovevole - afferma - è che in tutta la Svezia non esista una sola cattedra universitaria di letteratura italiana. Su questo punto è particolarmente grave il disinteresse dei nostri ministeri competenti, come gli Esteri e l’Università, che direttamente o attraverso l’ambasciata e l’Istituto di cultura potrebbero far pressione sulle autorità svedesi e sulle singole università affinché creassero cattedre di letteratura italiana». Si sfiora il grottesco, dal momento che «l’Italia spende più denaro e appoggia maggiormente, senza contropartita, l’insegnamento dello svedese nelle università italiane di quanto faccia con l’italiano negli atenei svedesi». I frutti di questa politica autolesionistica si vedono, eccome. Gli accademici del Nobel, nonostante la tradizionale ammirazione per i canali di Venezia e la pizza di Napoli, non conoscono l’italiano e stentano addirittura a trovare consulenti in grado di informarli sulla produzione dei nostri scrittori più significativi. «Si rivolgono ai cosiddetti periti occasionali - rivela Tiozzo - con una vaga infarinatura sulla nostra letteratura, di fonte per lo più giornalistica. Non c’è da meravigliarsi se le candidature non vengono prese sul serio e, come nel caso di Bacchelli, alla fine abbandonate». Come è potuto avvenire, allora, che per sei volte durante il secolo scorso i nostri campioni letterari siano riusciti ad annullare l’handicap, l’assenza di sponsor nazionali, e a vincere? La spiegazione c’è, ed è sorprendente. «Tutto è dipeso da una circostanza fortunata - rivela Tiozzo - e cioè dalla presenza in commissione per un periodo eccezionalmente lungo, il sessantennio dal ’21 all’81, di Anders sterling, grande estimatore della letteratura italiana e traduttore in svedese delle liriche di Quasimodo e Montale». Un classico, italico colpo di fortuna, insomma. «Fu per sua iniziativa che questi ultimi due poeti (altrimenti inaccessibili agli accademici svedesi), ma anche i due premiati precedenti, la Deledda e Pirandello, riuscirono a spuntarla. Senza sterling, l’Italia delle lettere insignita del Nobel sarebbe rimasta ferma a Carducci». E la politica, quanto conta oggi nella scelta? Non è sempre più evidente - lo si è visto recentemente con la Jelinek e Pinter - uno spostamento a sinistra dei giurati? «In realtà - ammette Tiozzo - la politica è sempre stata importante per il Nobel. Oltre al famoso esempio di Borges, mai premiato, c’è quello del tedesco Böll che dovette aspettare ventisette anni dopo la fine della guerra per poterlo ricevere. Un tempo gli ostacoli erano diversi: Carducci, ad esempio, dovette superare quello dell’anticlericalismo, allora considerato una colpa. Oggi l’ Accademia di Svezia - continua Tiozzo - ha assunto una generica connotazione di sinistra, fatta di pacifismo, atti umanitari, integrazione razziale, rifiuto di ogni forma di violenza, solidarietà ad ogni costo. E dunque è pressoché impossibile oggi, per uno scrittore che nella sua opera sia andato in una direzione opposta o sia legato chiaramente alla destra, avere il premio. Un criterio etico-politico che, nel caso di Fo, ha avuto il suo peso». I giochi sembrano destinati a complicarsi sempre più nei prossimi anni. «Però non disperiamo - rassicura Tiozzo -. vero che i nomi dei favoriti sono ufficialmente segreti, però le indiscrezioni non sono vietate. Tra i candidati, da alcuni anni, ci sono Bonaviri, Magris e Tabucchi. Il primo, come mi hanno segnalato alcuni amici di cui non posso fare i nomi, si può dire che è arrivato in dirittura finale». Dario Fertilio