La Repubblica 19/02/2006, pag.1-3 Filippo Ceccarelli, 19 febbraio 2006
Quel tele-spaccone padano che tifa castrazione e riti celtici. La Repubblica 19 febbraio 2006. In quel misterioso reticolo di senso, simboli, segni, specchi, maschere e futilità che è l´immaginario politico e giornalistico dell´Italia del 2006, fino a ieri Calderoli era, o meglio figurava come lo Spaccone
Quel tele-spaccone padano che tifa castrazione e riti celtici. La Repubblica 19 febbraio 2006. In quel misterioso reticolo di senso, simboli, segni, specchi, maschere e futilità che è l´immaginario politico e giornalistico dell´Italia del 2006, fino a ieri Calderoli era, o meglio figurava come lo Spaccone. Il tipico personaggio del gradasso, un ministro borioso, ma anche un po´ millantatore, comunque adeguato ai tempi e ai canoni del corrente esibizionismo, quindi più che incline alle guarnizioni e ai travestimenti. Questo spiega il tele strip-tease con lo sfoggio della maglietta satirica anti-islamica. Ma già nel novembre 2003 Calderoli si era distinto al Senato per la più annunciata ed eccessiva ostensione del crocifisso sul bavero della giacca: «Per ricordare a tutti che il popolo non si fa certo intimidire» eccetera. Mentre ancora nel febbraio del 2005, a Verona, aveva parlato in un comizio con una toga da magistrato indosso: «Se non ti metti questa - aveva spiegato in palese polemica con la classe giudiziaria - nessuno ti ascolta». Ce n´è abbastanza per ritenere che tale prospettiva fosse, fin da allora, il suo vero incubo. Nell´odierno deserto progettuale e in una vita pubblica sempre più regressiva il mancato ascolto e l´invisibilità mediatica corrispondono alla morte. Per un paio d´anni Calderoli ha cercato perciò di salvarsi a furia di spacconate, nel senso più autentico e sfolgorante della parola: «Vedete, io tratto in amicizia e con il sorriso - ha confidato tre mesi orsono a un crocchio di giornalisti - poi però al mio interlocutore dico: "Se non fai così ti spacco un braccio"». A quel punto il più malizioso e ottimista dei giornalisti l´ha interrotto: ministro, ma a chi l´ha fatto? «A tutti» ha risposto Calderoli, ridendo. Su una smisurata attitudine al riso fanno giustizia, come si sa, antichi e severi proverbi. Ebbene: non c´è foto, quasi, non c´è intervista o sequenza televisiva, non c´è vignetta satirica, addirittura, in cui l´ex ministro non rida. E quando non ride o sorride, le rare volte in cui non riesce a nascondere una qualche remota forma di serietà, Calderoli esprime un incontenibile appagamento di se stesso. Con il che si potrebbe anche considerare l´uomo politico padano come un kamikaze e un martire della videopolitica, vittima sacrificale del primo piano. Ma adesso il guaio è che le vittime sono altre, sono tante e soprattutto sono vere. E fa ancora più male pensarle in relazione alla scenetta della maglietta, a quell´egocentrico e spaventoso cortocircuito di ilarità e soddisfazione andato in onda sul tg1. Quasi cinquantenne, bergamasco, dentista specializzato in chirurgia maxillo-facciale, unito in rito celtico con la regista e opinionista di Markette Sabina Negri, socio onorario dell´anti-romano "Nerone fan´s club", nonché allevatore di belve circensi (aveva una tigre in giardino, ora due lupi, uno dei quali però recentemente gli ha addentato una coscia). Promosso «saggio» in prossimità del seminario nella baita di Lorenzago, Calderoli deve il suo ruolo politico e la sua sciaguratissima audience alla grave malattia di Bossi, che ha aperto un vuoto di leadership nella Lega, e all´insipienza istituzionale di Berlusconi, che se l´è preso nel governo senza minimamente rendersi conto del potenziale devastante che si chiamava addosso. Fino a quel momento, in effetti, oltre che per le nozze celtiche con tanto di bracciali, idromele e costumi da sartoria teatrale, il personaggio si era conquistato una circoscritta notorietà per aver bruciacchiato un tricolore, insultato i «terroni» in un indimenticabile congresso, proposto la nascita di una chiesa padana, invocato la castrazione a sangue per i pedofili e contestato una statua, a suo giudizio insindacabilmente «anatomica» e falliforme, che il presidente del Senato Pera aveva voluto innalzare a tutti i costi nel salone Garibaldi di Palazzo Madama. Era già un curriculum di tutto rispetto. Ma nell´era della fiction, una volta ministro, Calderoli ha cercato di incrementarlo con la più incredibile progettualità identitaria e folklorizzante. Il tocco magico, vero e proprio scarto della norma, sono state le scarpe portate senza calzini. Ma sarebbe qui ingiusto dimenticare l´esame d´italiano per gli extracomunitari, il trasferimento del Senato a Milano, l´istituzione della taglia e della pena di morte, la scomunica per i credenti che appoggiano i pcs, l´uscita dall´euro e la relativa entrata in vigore di una nuova moneta, il "calderolo". Per non dire della nuova Costituzione. Siccome però poi il potere è davvero una brutta bestia, e non solo perché morde i vanitosi, ma gli allegroni li acceca pure, il ministro ha cominciato pericolosamente ad avvicinarsi alla politica estera. Questione delicata, quella dell´Islam. Ecco, Calderoli ha subito messo le carte in tavola: «Sarebbe troppo gratificante definirla una civiltà». Quindi ha chiesto la chiusura di un paio di moschee; dopo la strage di Londra ha preteso di dichiarare lo stato di guerra, prima di chiamare Papa Ratzinger alla crociata, come San Pio V a Lepanto. Nel frattempo Berlusconi guardava dall´altra parte. E per una volta la proprietà e la ribalta televisiva, concessa in prestito agli alleati come Calderoli, si rivela la peggiore scelta possibile. Filippo Ceccarelli