Sivlia Bizio, la Repubblica 20/11/2005, 20 novembre 2005
Si chiamavano «sgabelli», o anche «dame sedute». Avevano diritto a uno sgabello (o a un pliant, che aveva quasi lo stesso valore) quando c’ era «cerchio» dalla regina: il gioco, cioè, tra le otto e le dieci di sera
Si chiamavano «sgabelli», o anche «dame sedute». Avevano diritto a uno sgabello (o a un pliant, che aveva quasi lo stesso valore) quando c’ era «cerchio» dalla regina: il gioco, cioè, tra le otto e le dieci di sera. Tutti gli altri, uomini e dame «non sedute», restavano in piedi. Una sera del 1670 che appunto si giocava dalla regina, il duca di Guiche, l’ eroe fanfarone e più che galante con le donne nonostante la reputazione di impotenza, mentre era in piedi nella folla, sentì che la mano di una dama seduta era occupata in un luogo, che lui copriva con il cappello. Vedendo che la sua amica volgeva la testa, Guiche sollevò maliziosamente il copricapo. Primi Visconti, l’ avventuriero italiano entrato nel 1673 alla corte di Versailles grazie alla sua fama d’ indovino, lo racconta; e si stupisce che i cardinali stessero in piedi, spintonati in quella ressa. Ai tempi di Mazzarino, i cardinali erano gli unici uomini col diritto allo sgabello, perché il cardinalministro aveva preso l’ abitudine di sedere davanti alla regina mentre faceva la toilette. Ma era un abuso; e all’ arrivo del re, i cardinali dovevano non solo alzarsi, ma far scomparire il seggiolino pieghevole. Ormai le principesse del sangue - cioè discendenti dirette di Ugo Capeto: le Condé e le Conti, il ramo cadetto - per non dover riaccompagnare alla porta i cardinali, si facevano trovare a letto. (Il reggente invece riaccompagnava sempre alla porta, ma nel farlo ripeteva piano: «Io lo devo, io lo devo», come gli costasse sforzo). Il «letto di riposo» era bensì un espediente, ma pienamente protocollare. Quando Luigi XIII era andato a trovare a Tarascona Richelieu malato, era stato apprestato, accanto alla chaise-longue del cardinalministro, un letto su cui il re si sdraiò; e così stesi parlarono a lungo. Era l’ uso; lo stesso cerimoniale fu rispettato da Luigi XIV, quando onorò di una visita il maresciallo de Villars - il debosciatissimo generale - che era allettato. Sul letto della regina non poteva stendersi che il re, racconta d’ Argenson, il capo della polizia, detto l’ Asino per distinguerlo dal fratello, detto la Scimmia: un giorno che l’ adorata nipotina del re, la duchessa di Borgogna, si sentì male nella camera da letto della Maintenon, l’ amante del re fece sistemare in fretta dei cuscini sul sofà. «Questo dimostra» argomentava d’ Argenson, «che il re la aveva certamente sposata». L’ etichetta sotto Luigi XIV conobbe una nuova codificazione, formalizzata attorno al 1682, al trasferimento della corte a Versailles. Paradossalmente Versailles - nonostante la ripresa della tradizione di eleganza della corte dei Valois, e la spettacolare magnificenza dopo la «rusticità» della corte di Henri IV - era considerata, dal punto di vista dell’ etichetta, «una casa di campagna». Il barone di Breteuil, «introduttore degli ambasciatori» e gran cerimoniere della macchina di Versailles, aveva avuto ad esempio problemi, nel 1703, col mantello degli ambasciatori di Venezia. Era così rigido, con i suoi ricami di pietre preziose, che era impossibile farvi passare la tracolla della spada che veniva porta dal re nell’ udienza di congedo. Breteuil ebbe perciò l’ idea di fissare l’ udienza a Versailles, che, come casa di campagna, esonerava l’ ambasciatore Alvise Pisani dal presentarsi in abito da cerimonia. Ma certo Versailles, la più splendida corte d’ Europa, consentì al re Sole di usare l’ etichetta e la spettacolarizzazione della vita di corte come strumento politico. Tra i più ambiti privilegi della corte di Versailles era il «per». Era, il per, la prerogativa di avere la propria sistemazione a corte - stanza o sottoscala - segnalata col gesso dal maresciallo d’ alloggio col nome preceduto da «pour»: pour Monseigneur le Dauphin, pour Monsieur le Prince. Il per non comportava alloggi più comodi, perché le sistemazioni erano casuali e «mescolate», duchi, cardinali e principi stranieri senza distinzione. La temibile principessa Orsini, onnipotente in Spagna per l’ influenza esercitata sulla regina adolescente, lavorò mesi per ottenerlo. Creando riti e privilegi bizzarri, ammantandoli però di prestigio e di patina storica, il re distraeva l’ aristocrazia, e la incardinava a corte, a lasciargli tutto l’ agio per governare con ministri e intendenti perlopiù borghesi. E’ il genio di Luigi XIV, aver conferito autorità a riti che non traevano la legittimità dalla tradizione - dal tempo. Il giustacuore a brevetto - un gilè blu a ramages argento che garantiva a quaranta cortigiani l’ invito alle cacce al castello di Marly - fu sollecitato con passione da Bussy-Rabutin, che vedeva la futilità del privilegio, ma voleva abituare il sovrano a «rendergli servigi più grandi». Tra le grandi e le piccole entrate - rituali di accesso alla stanza del sovrano al risveglio e al coucher, fissate nelle forme essenziali fin dall’ epoca di Henri II - una delle più care e ambite era il «brevetto d’ affari». Per assistere al petit coucher del sovrano bisognava avere la carica di gentiluomini della camera, ma un brevetto apposito abilitava a ritirare i resti organici del re dalla chaise percée, la seggetta, su cui riceveva; poteva costare anche sessantamila scudi, perché consentiva di parlare al re in privato. Con gli stranieri, nascevano continuamente problemi d’ etichetta. La Principessa Palatina, che era cognata del re Sole, preparava nel 1699 un viaggio a Bar per rivedere la figlia. La figlia aveva sposato un Lorena, che si considerava di stirpe reale, e di fronte alla suocera pretendeva una sedia coi braccioli. Il Delfino era disposto a concedere uno sgabello con schienale; ma non bastava. Monsieur, il fratello del re, e marito della Palatina, propose di usare un’ astuzia del re d’ Inghilterra, e di retrocedere tutti allo sgabello. Ma il re Sole intanto si era irritato, e, ignorando l’ atroce disperazione della Palatina, annullò il viaggio. L’ ambasciata di Persia del 1705 creò mille disagi a Breteuil, perché Mehamet Reza era determinato a non alzarsi sulle sue gambe davanti a nessun infedele, e Breteuil era costretto a presentarsi in incognito e senza preavviso nel momento in cui, per fare le preghiere, il legato doveva levarsi gli abiti dorati e stava in piedi, le braccia aperte ancora mezzo infilate nella sopravveste. L’ «incognito» consisteva in una sciarpa nera che rendeva invisibili e anonimi. Lo usò Sofia di Hannover in viaggio in Francia nel 1699 «per evitare il passo», cioè le complicate regole di precedenza, e il duca di Modena nel 1704 per ridurre le spese del viaggio in Francia. Luigi XIV fu costretto a sua volta a moderare l’ accoglienza, e a mettergli a disposizione per esempio solo sei carrozze, tre di lutto - il principe era vedovo - e tre dorate.