Panorama 16/02/2006, pagg.53-54 Massimo Boffa, 16 febbraio 2006
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x Dell’Arti da parte di Boffa: L’articolo che gentilmente pubblicherete si intitolava originariamente "Ecco l’uomo che ha incendiato l’Islam". Credo che sia migliore di quello con cui alla fine è uscito
Ecco l’uomo che ha acceso la miccia. Panorama 16 febbraio 2006. Quando lo fece impiccare, nel 1966, il rais egiziano Gamal Abdel Nasser pensava di essersi liberato, una volta per tutte, di un fastidioso propagandista che minava la legittimità del suo regime. E non poteva certo immaginare che i libri di quell’uomo, dall’apparenza mite, avrebbero, negli anni a venire, incendiato l’Islam, trasformando quello che era essenzialmente un credo religioso nella più radicale ideologia politica contemporanea. Se si dovesse infatti indicare l’autore che, più di ogni altro, ha rivoluzionato la moderna cultura musulmana, al punto da diventare il principale ispiratore di tutte le formazioni della jihad, da Al Qaeda fino a Hamas, non vi è alcun dubbio che si tratti proprio di quel Sayyid Qutb (1906-1966) che quarant’anni fa pendeva dalla forca e di cui ora ricorre il centenario della nascita. Qutb è poco noto al grande pubblico occidentale, ma gli specialisti sanno bene quanto il suo ruolo sia stato centrale. Il numero due di Al Qaeda, l’egiziano Ayman al-Zawahiri, che si considera discepolo di Qutb, nel suo libro Cavalieri sotto la bandiera del Profeta (2001) segnala il contributo decisivo dato alla jihad islamica dal suo connazionale. I discorsi e i testi di Osama Bin Laden sono organizzati intorno a concetti dottrinali che sono stati per la prima volta elaborati proprio da Qutb, circostanza peraltro sottolineata anche nel rapporto finale della commissione d’inchiesta americana incaricata di indagare sui fatti dell’11 settembre 2001. E perfino l’idea dell’ayatollah Ruhollah Khomeini dell’America come Grande Satana (dove Satana è anche il Grande Seduttore) difficilmente può essere compresa a fondo senza un riferimento all’opera del «martire» egiziano. in Egitto, dunque, che tutto ha avuto inizio. Lo ricorda, fra l’altro, un libro appena pubblicato dalla Laterza (scritto, è vero, vent’anni fa, ma che non ha perduto nulla della sua freschezza), Il profeta e il faraonedello studioso francese Gilles Kepel, dedicato al movimento dei Fratelli musulmani, di cui Qutb fu uno dei principali ideologi. Qutb non aveva nulla dell’uomo d’azione. Era un tipico letterato: scriveva poesie, romanzi, racconti, testi di critica letteraria, commenti al Corano. E si guadagnava da vivere come modesto funzionario del ministero dell’Educazione. La grande svolta della sua esistenza è legata a un viaggio di studi negli Stati Uniti, dal 1948 al 1950, presso l’Università del Colorado, da cui tornò trasformato e, soprattutto, disgustato del modo di vita americano. Questo Tocqueville alla rovescia scoprì infatti attorno a sé un mondo «immorale», all’avanguardia nella tecnologia e nella produttività, ma «primitivo» nei comportamenti. Era impressionato dall’«eccitamento animale» con cui gli americani si appassionavano allo sport, dal languore della musica jazz, dalla frivolezza del cinema hollywoodiano. La loro religiosità gli appariva inautentica, relegata com’era alla sfera privata. Ma soprattutto era indignato dal modo in cui le donne americane vivevano liberamente e senza pudori la propria sessualità. Ne trasse la conclusione che uno dei pericoli maggiori di fronte a cui si trovavano le società musulmane era l’imitazione di quel modello di vita. Tanto più insidioso in quanto terribilmente seducente.
Tornato in Egitto, aderì, nel 1951, al movimento dei Fratelli musulmani, creato nel 1928 da Hassan al-Banna per contrastare i processi di laicizzazione. Poi, in rapida successione, arrivarono il colpo di stato di Nasser (1952), campione di un nazionalismo arabo di ispirazione socialista, e la repressione del movimento islamico (1954) che spedì Qutb in prigione fino quasi alla fine dei suoi giorni. dunque dietro ai muri di una cella che egli scrisse gran parte della sua opera militante, soprattutto quel Pietre miliari( 1964) che è diventato il libro di riferimento di ogni jihadista colto. Il testo si apre dichiarando il fallimento delle ideologie moderne, sia individualiste sia collettiviste, e indicando nell’Islam la sola via di salvezza per il mondo. Ma l’Islam, dice Qutb, è in pericolo. La «umma», la comunità di tutti i musulmani, non esiste più: in Turchia il califfato è stato abolito da Kemal Atatürk e negli altri paesi musulmani la religione è divenuta un fenomeno di pura devozione privata. Quei paesi, dunque, si dichiarano islamici ma non lo sono, poiché in essi non regna la legge di Dio, la sharia. Quei paesi sono «jahilia» (termine con cui nel Corano vengono indicate le genti arabe prima dell’avvento del Profeta), pagani, peccaminosi. questo il punto che all’epoca fece più scandalo, poiché scomunicava i leader nazionalisti del mondo arabo, primo tra tutti Nasser, che pure conservavano un rispetto formale nei confronti della religione dei loro popoli. Da questa constatazione Qutb faceva seguire la necessità, per i «veri musulmani», di organizzarsi in un’avanguardia che non si limitasse alla predicazione ma passasse all’azione. E che si impegnasse in una guerra sacra, la jihad, per creare una società «autenticamente islamica» e restaurare il califfato, combattendo non solo contro il «nemico lontano», gli infedeli, ma anche contro il «nemico vicino», cioè i regimi fintamente musulmani. L’Islam di Qutb è un sistema totale, che non sopporta distinzioni tra privato e pubblico, tra religione e politica. In questo senso ha certo ragione Paul Berman (il giovane studioso americano che nel libro Terrore e liberalismo, Einaudi, ha cercato di convincere la sinistra del suo paese della bontà della guerra contro Al Qaeda e contro Saddam Hussein) a segnalare le analogie tra il pensiero di Qutb e le ideologie totalitarie europee, di destra e di sinistra. Hanno infatti in comune un medesimo radicalismo nichilista. Ma Berman pecca di superficialità quando assimila il «totalitarismo islamista» di Qutb all’ideologia del Baath iracheno: il nazionalista Saddam è uno di quei leader che Qutb non avrebbe esitato a scomunicare. Le idee estreme possono incendiare il mondo, ma devono trovare materiale infiammabile. E uno dei pregi del libro di Kepel sta proprio nel mostrare come, negli anni successivi alla morte di Qutb, il suo messaggio si sia incarnato nelle scelte di vita di piccoli gruppi di giovani dalla fede ardente. Che hanno fatto proselitismo nelle università, scalzandovi l’egemonia marxista, che hanno sfidato il potere con azioni esemplari, affrontando anche il patibolo, fino alla più spettacolare delle loro imprese: l’assassinio di Anwar al-Sadat, nel 1981. E poi si fa presto a dire proselitismo. Verrebbe da suggerire di leggere il saggio di Kepel insieme a un romanzo ( Neve del turco Oram Pamuk, Einaudi), che è un tentativo riuscito di penetrare la psicologia della scelta islamica da parte di figli che si ribellano ai padri, di ragazze che indossano il velo e voltano le spalle alla famiglia. Uno psicodramma che riporta alla memoria i Demonidi Fëdor Dostoevskij. E che ci insegna che non se ne uscirà tanto facilmente.
Massimo Boffa