Varie, 17 febbraio 2006
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Weir Johnny
• Coatesville (Stati Uniti) 2 luglio 1984. Pattinatore su ghiaccio • «Se vuoi vincere sui pattini devi essere russo. Johnny Weir lo sa e si allena con una felpa divisa in due dalla scritta CCCP. [...] Ha studiato la storia degli zar, ha il miglior coreografo in circolazione, Tatiana Tarasova, il donnone che decide e tocca solo atleti da medaglia e sopra il trolley Louis Vuitton con cui viaggia, luccicano le lettere R.U.S. Russia, parola che emana lo spirito dei grandi. [...] si è costruito un passato su misura, radici diverse da quelle d’origine, Dna artistico che non esiste a Newark, nel Delaware e quindi lo ricostruisce in una San Pietroburgo virtuale, disegnata nel suo cervello Scrive in cirillico e impara la lingua del ghiaccio, ”piano piano, conosco poche frasi ma mi eccita da morire quando riesco ad esprimermi in russo. Plushenko è la Russia di oggi, rivoluzionata, io sono quella del passato, appartengo all’era di Baryshnikov”. E anche se la Nbc si ostina a titolare ”Johnny be good” è strano vedere gli Usa fare il tifo per un ragazzo ribattezzato ”diva”. Fa la prima donna lamentosa, non gli va il villaggio e invece di trasferirsi in un camper come Miller o affittare un appartamento come Plushenko, passa le ore libere a ripulire la palazzina in cui è stato confinato. Ha un chihuahua di nome Vanya (Johnny in russo) e un guanto rosso di nome Camilla. come quello luccicante di Michael Jackson, vive di vita propria. Weir si fascia spesso la mano di rosso, la muove e la fa ondeggiare per aria, ci parla. stato tre volte campione americano e in realtà dovrebbe pensare solo a fregarli, i suoi amati russi. dal primo posto di Brian Boitano, 1988, che gli Usa non vincono la gara maschile. Da allora è dominio sovietico [...] Gli Stati Uniti tifano per Johnny, gli perdonano le stravaganze e non lo capiscono perché non somiglia a un campione. Non è muscolare, non è Apolo Ohno con la bandana in testa e la voglia di vendetta in mezzo ai denti e non è Chad Hedrick con l’accento strascicato dagli okay e la voglia di spaccare il mondo. Non è Bode Miller, non ha il sorriso di traverso e l’ammiccare ruffiano, non fa l’occhiolino, se mai incassa la testa dentro le spalle e nasconde le smorfie vezzose dietro la mano guantata. Si trucca pure, lo fanno tutti nel pattinaggio di figura, ma Weir accentua, si rasa le sopracciglia e si impomata i capelli. Lo applaudono. [...] è uno strano soggetto, un americano imbevuto di imperi d’altri tempi. Con il pastrano lungo e impellicciato, Camilla sulla mano e il trolley Vuitton al seguito, pieno di Russia» (’La Stampa” 17/2/2006).