Varie, 17 febbraio 2006
VECA
VECA Salvatore Roma 31 ottobre 1943. Filosofo del diritto • «Il mestiere del filosofo è sempre stato difficile, talvolta drammatico: Socrate ce lo insegna. Adesso, poi, in un mondo così complicato, dopo la cosiddetta fine delle ideologie e gli spettri di vecchie e nuove guerre, ci vuole ancor più coraggio a decidersi di ”filosofare” intorno agli interrogativi, grandi e piccoli, che si ripresentano, pur senza mai trovare risposte definitive. Per averne una conferma, suggestiva e illuminante, basta prendere a esempio l’opera di uno dei nostri maggiori filosofi viventi, Salvatore Veca, che riflette – e soprattutto, ci invita a riflettere – su quelle che, anni or sono, aveva chiamato ”le mosse della ragione”, suggerendoci di respingere le posizioni intolleranti, per coltivare le virtù del pluralismo, soprattutto quando si tratta di affrontare temi vitali, come quelli che chiamano in causa i rapporti fra cultura e impegno civile o – in modo ancora più stimolante – gli intrecci fra etica e politica. Naturalmente, la filosofia non ha mai ”un argomento conclusivo o irresistibile”, ma è tanto più fertile quanto più aiuta a renderci consapevoli che anche di fronte alle maggiori ”questioni di vita” (un’immagine cara in Veca) piuttosto che ricorrere alle false medicine dell’assoluto, serve il grano sapienziale Dell’incertezza, per richiamare il titolo di un altro suo libro, uscito nel 1997. [...] più d’una delle riflessioni a proposito ”dell’incertezza” tornano ne [...] Le cose della vita (Rizzoli-Bur, 2006), che si propone – con chiarezza didascalica – di offrire anche a chi non è uno specialista ”gli attrezzi del mestiere di vivere”. Un compito arduo, che Veca affronta sotto la forma di conversazioni, partendo da argomenti intriganti per chiunque cerca qualche senso in questa complicata avventura con i nostri simili. Intendiamoci: Veca non è un buonista ingenuo. Anzi, di fronte ai ”fatti di crudeltà e ingiustizia” di cui quotidianamente siamo testimoni, è pronto a ricordarci che ”la grande macchina del male” continua a incombere. E tuttavia, se non vogliamo rinchiuderci in un pessimismo sterile, ecco il suo invito a guardare un po’ meglio ai grandi fatti, o alle grandi passioni, che incontriamo. Per esempio, chi di noi al giorno d’oggi non sente il bisogno di rivendicare quello che si chiama ”il diritto alla felicità?”. Eppure, se vogliamo tener conto dell’agire individuale e collettivo (indispensabile per un autentico vivere democratico), occorre conciliare la felicità privata e la più ardua felicità pubblica. Un obiettivo, questo, che coinvolge l’esigenza di tenere conto di un’altra esigenza primaria, quella dello sviluppo e della ”promozione umana”. Ecco perché Veca insiste a farci capire quanto importante è ”prendere sul serio le persone”, anziché limitarci a ”usare le persone”, come facciamo spesso. Non solo: la disponibilità verso gli altri diventa un fattore di quella preziosa ”etica della sollecitudine”, che Veca ci propone per aiutare chi soffre, chi è solo, chi è anziano, chi è malato: chiunque, insomma, incarna uno di quei ”volti del dolore”, in cui ci imbattiamo quasi quotidianamente e che sollecitano il bisogno di giustizia, per costruire insieme ”un futuro semplicemente meno inaccettabile e ingiusto del presente”. [...]» (Arturo Colombo, ”Corriere della Sera” 22/10/2006).