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 2006  febbraio 17 Venerdì calendario

CIANCIMINO Massimo

CIANCIMINO Massimo Palermo 16 febbraio 1963. Figlio di Vito. Il 21 aprile 2011 fu arrestato con l’accusa di aver calunniato l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Da tre anni rovesciava «[...] le sue accuse, a singhiozzo o tutte d’un fiato, sotto forma di memorie personali e testamenti paterni, colpendo generali e ministri, vecchi capi della polizia, procuratori che l’hanno inquisito e giudici che l’hanno giudicato. Ripassando i nomi che ha trascinato per le più diverse vicende nel suo delirio c’è praticamente lo stato maggiore che in Italia, negli ultimi anni, ha fatto la lotta alla mafia. Per la polizia il prefetto Gianni De Gennaro. Per l’Arma dei carabinieri il generale Mario Mori. Per la magistratura il procuratore nazionale Pietro Grasso, il procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone, il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari. Nei suoi verbali questi personaggi compaiono come protagonisti di trattative o addirittura come complici di boss, qualcuno viene indicato come sponsor di Berlusconi e protettore di Cosa Nostra, qualcun altro come insabbiatore di inchieste. [...]» (Attilio Bolzoni, "la Repubblica” 22/4/2011) • «[...] figlio del celebre sindaco mafioso di Palermo [...] Il padre è stato maestro di Provenzano e fu condannato prima di morire nel 2002. Il figlio non sfugge al destino di famiglia: anche lui è indagato [...] insieme ai fratelli per intestazione fittizia di beni. Per la Procura di Palermo ha nascosto il tesoro di don Vito intestandolo a Gianni Lapis, un professore universitario palermitano. Ciancimino junior oggi è un uomo del jet set: frequenta politici, organizza incontri tra monsignori e autorità cinesi, e vertici con i dirigenti di Gazprom [...] Ma il pallino di Ciancimino junior è il gas. Sostiene di avere siglato una “intesa di massima” con i russi di Gazprom per portarne mezzo miliardo di metri cubi in Italia. Quell’accordo è saltato [...] “Senza l’inchiesta della Procura di Palermo, la società per cui lavoravo avrebbe costruito un gasdotto alternativo a quello attuale, risolvendo i problemi dell’Italia [...] Non c’è nessun tesoro. Mio padre mi avrà pure lasciato qualcosa, ma i 120 milioni di euro ricavati dalla vendita della società del professor Lapis, la Gas Spa, sono dei soci e non certo miei. Io volevo solo aiutare il professor Lapis a reinvestirli nell’Est. Sono solo un mediatore, ma rivendico il merito di avere portato a Lapis affari importanti come il nuovo gasdotto fino a Gorizia, il rapporto con la famiglia del presidente del Kazhakistan, dove si trovano i giacimenti, Nazarbaev, gli accordi con i vertici della Gazprom e persino le entrature con il governo cinese [...] Per contattare la Cina e il Kazhakistan mi sono affidato al professor Ottavio Angotti, che è molto stimato in quei paesi ed è vicino alla figlia dell’ex presidente Deng Xiao Ping. Per entrare nell’ex Patto di Varsavia mi sono affidato a Romano Tronci, che seguiva gli affari del Pci in quella regione. Non a caso è stato trovato un biglietto di ringraziamento della Fondazione Putin a casa mia [...] Mettiamo che questa società, come dicono i pentiti, sia stata in parte di mio padre e ora mia. E ammettiamo pure che fosse ‘nelle mani di Provenzano’. Ma allora perché nessuno va a vedere chi sono gli altri soci? Lo sapete che una quota importante era della nuora di un magistrato della Procura nazionale antimafia e delle sue sorelle? Lo sapete che la Gas Spa è stata favorita, lecitamente, nella sua crescita dal prefetto di Palermo? [...] Alla fine degli anni Novanta il prefetto di Palermo ha annullato la gara vinta da un’altra società in odor di mafia. In applicazione della legge, gli appalti per decine di milioni di euro sono finiti così alla Gas Spa. D’altro canto, l’amministratrice era fino al 2005 la moglie, ora separata, del figlio di un magistrato antimafia. Anche Lapis è figlio di un generale della Finanza. Come si può ipotizzare che Provenzano abbia aiutato la Gas Spa? La verità è che questa inchiesta parte fuori tempo massimo. Dovevano contestare a mio padre le sue ricchezze quando era vivo. A Roma abitava a piazza di Spagna e girava in Mercedes, eppure hanno aspettato la sua morte per iniziare le indagini [...] Falcone non se la prendeva con i familiari e prosciolse i miei fratelli. Ventitré anni dopo indagano me e hanno inizialmente sequestrato pure l’orologio di mia madre. Il tutto dopo una strana pausa. Per dieci anni, dopo il ’92, quando mio padre e io partecipammo alla trattativa tra Stato e mafia per fermare le stragi, nessuno ci ha più chiesto una lira. Dopo la morte di mio padre, lo Stato si ricorda di me. Io sto pagando per quella trattativa [...] Io non ho partecipato alla fase finale della trattativa tra Mori e mio padre. Questo segreto se lo è portato nella tomba. Certamente nessuno ha spiegato perché mio padre aveva le piantine della zona del covo di Riina. Quanto alla mancata perquisizione, un tempo le famiglie si lasciavano fuori. Se c’è stato un accordo per consegnare Riina, probabilmente hanno dato il tempo ai familiari di lasciare con dignità la casa. Recentemente Totò Riina, dalla sua gabbia ha urlato: ‘Chiedetelo al generale Mori e a Massimo Ciancimino perché sono in galera’. Il pentito Giovanni Brusca ha raccontato che Riina mi ha condannato a morte. L’ho saputo per caso, quando i pm di Palermo hanno depositato quel verbale per accusarmi. Lo Stato dimentica facilmente, la mafia no. Invece di proteggermi, mi hanno indagato. Così mi hanno bloccato gli affari del gas, facendo felici gli amici di Berlusconi [...] avevo fissato per il professor Lapis l’appuntamento con il premier della Slovenia e con i vertici di Gazprom. L’accordo di massima era già firmato. Prevedeva la costruzione di un secondo gasdotto, alternativo a quello esistente, per trasportare gas russo fino a Gorizia. Ci volevano due anni per costruirlo. Nel frattempo, avremmo utilizzato il tubo esistente. Il precontratto prevedeva l’importazione di mezzo miliardo di metri cubi all’anno, ma tutto è saltato per l’inchiesta [...] Papà incontrava tante persone, anche onorevoli e ministri, sempre seduto sul suo letto, in pigiama. Quando è caduto in disgrazia ha scritto tutto in un memoriale. Qualcuno dice che quello è il vero tesoro che mi ha lasciato”» (Marco Lillo, “L’espresso” 23/2/2006).