La Repubblica 02/02/2006, pag.1-35 Stefano Bartezzaghi, 2 febbraio 2006
Telegramma morto. Stop. La Repubblica 2 febbraio 2006. «Madre morta. Funerali domani. Distinti saluti»
Telegramma morto. Stop. La Repubblica 2 febbraio 2006. «Madre morta. Funerali domani. Distinti saluti». Con il testo di questo impressionante telegramma si apre Lo straniero di Albert Camus, una delle più alte, e tetre, vette letterarie del Novecento. Volenteroso messaggero di lutti, e poi di felicitazioni, condoglianze, avvertimenti, notizie, convocazioni ufficiali, il telegramma oggi ci annuncia la scomparsa di se stesso. Ma in realtà il telegramma non è morto il 27 gennaio di quest´anno, quando la Western Union ha sospeso il suo servizio che durava da più di un secolo e mezzo. Non è davvero morto quel giorno, perché avrà ancora una sua forse stentata sopravvivenza, finché le altre compagnie non prenderanno la stessa fatale decisione della Western Union, che è stato il primo e il principale gestore dei telegrammi americani e adesso è un colosso del money transfer, il trasferimento di denaro da un continente all´altro. Ma il telegramma non è morto quel giorno, anche perché era già morto: già da decenni non esistono più telegrafisti che battono il dito, seguendo il ritmo forsennato dei punti e delle linee inventati da Samuel Morse poco prima della fondazione della Western Union. E mentre la tecnologia aboliva l´alfabeto Morse, introduceva le novità comunicative del telex, e poi del fax e dell´e-mail. Da quanto tempo non inviamo un telegramma? Il telegramma aveva promesso la massima celerità e la massima diffusione quando non si sapeva ancora quanto ci sarebbe servita. Il telegrafo fu presto ovunque, come si vede nei più desolati paesaggi dei western e nei desertici cartoons di Wile E. Coyote. Il telegrafo aveva una funzione di avamposto geografico: quando nel 1906 Roald Amundsen trovò finalmente il "passaggio a nord-ovest" ne diede notizia con un telegramma dall´Alaska. E Bruce Chatwin mandò le sue dimissioni dal giornale per cui aveva fino ad allora lavorato con un telegramma il cui testo diceva: «Sono in Patagonia». L´entrata degli Stati Uniti nelle due guerre mondiali è stata segnata da due telegrammi. Il primo, che gli storici chiamano "telegramma Zimmermann" dal nome del mittente, fu intercettato dagli inglesi: il ministro degli esteri tedesco proponeva ai messicani un´alleanza antiamericana. Gli Usa si convinsero a entrare in guerra anche per quello. Non lo stesso esito arrise invece al telegramma con cui nel 1941 l´ambasciatore americano in Giappone metteva in guardia sulla possibilità di un attacco contro Pearl Harbour: fu tragicamente ignorato. Mesti telegrammi storici, in Italia: Umberto I si congratula con il generale Bava Beccaris per la sua strage a Milano; il generale Cavallini preannuncia a Mussolini l´incarico di governo, durante la Marcia su Roma («Sua Maestà il Re mi incarica di pregarla di recarsi a Roma desiderando conferire con Lei. Ossequi. Generale Cittadini»). Alla sua rapidità e alla capillarità della sua distribuzione il telegramma vide aggiungersi un´altra virtù, che fu decisiva nel farlo resistere alla diffusione del telefono: l´ufficialità. Così, nel dopoguerra, si ricordano soprattutto telegrammi celebrativi, forniti di valore legale. Grande autore di telegrammi fu il presidente Saragat, che qualcuno chiamava addirittura "Peppe il Telegrafista": fra i suoi innumerevoli telegrammi si ricordano quelli che sono entrati nella storia delle strategia della tensione, incoraggiando gli inquirenti a seguire la pista anarchica. Un infortunio che toccò anche a Sandro Pertini, il cui entusiasmo per l´indagine padovana contro le relazioni fra Autonomia Operaia e Brigate Rosse fu espresso da un telegramma forse troppo tempestivo. Al telegramma sopravvivrà probabilmente lo "stile telegrafico": la parola costa, quindi via articoli, preposizioni e congiunzioni, sostituite dall´onnipresente "stop". Uno stile a cui si fece presto l´abitudine, ma che all´inizio parve rivoluzionario: e gli archivi conservano carteggi telegrafici fra Mussolini e Marinetti, futuristicamente entusiasta di queste parole libere di volare in aria («Dieci romanzieri italiani et fascisti devotamente salutano il Duce meraviglioso...»). E qualche sapore di avanguardia letteraria conserverà il telegrafista Giovanni cantato da Enzo Iannacci: «Per le sue mani passò mondo, mondo che lo rese urgente, /crittografico, rapido, cifrato, / passò prezzo caffè passò matrimonio Edoardo ottavo oggi duca di Windsor, /passarono cavallette in Cina»: finché batte l´annuncio del matrimonio della sua fidanzata, con un altro. Stefano Bartezzaghi