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 2006  febbraio 12 Domenica calendario

Rochester. La Stampa 12 febbraio 2006. Quando il giovane Graham Greene, non ancora noto come romanziere, mise mano alla biografia del notorio Lord Rochester, l’argomento era ancora quasi tabù: l’unica Vita di costui era uscita poco prima, nel 1927, ma a Lipsia e in lingua tedesca, e l’unica edizione moderna dei versi, alquanto lacunosa, era uscita appena l’anno prima, a cura di John Hayward, ma in una tiratura limitata a sole 1050 copie

Rochester. La Stampa 12 febbraio 2006. Quando il giovane Graham Greene, non ancora noto come romanziere, mise mano alla biografia del notorio Lord Rochester, l’argomento era ancora quasi tabù: l’unica Vita di costui era uscita poco prima, nel 1927, ma a Lipsia e in lingua tedesca, e l’unica edizione moderna dei versi, alquanto lacunosa, era uscita appena l’anno prima, a cura di John Hayward, ma in una tiratura limitata a sole 1050 copie. Graham Greene lavorò per ben tre anni (1931-34) al suo libro, rintracciando molto materiale originale e citando senza troppi scrupoli anche passi audaci. Ma il suo libro fu respinto dagli editori, e vide la luce solo quarant’anni dopo, nel 1974. Quando io fui incaricato di tradurlo, in quanto unico italiano che mai si era occupato di Rochester, scrissi all’autore per segnalargli alcune correzioni possibili, ma Greene mi fece rispondere di non avere alcuna intenzione di riprendere in mano quello studio a tanta distanza di tempo. Certi componimenti erano stati recuperati grazie al lavoro di alcuni studiosi, a partire dagli anni 1950: era stato possibile stabilire un canone più attendibile di quello tradizionale, togliendo a Rochester poesie tramandate sotto il suo nome ma in realtà composte da altri, ovvero attribuendogliene alcune in precedenza quasi sconosciute. Da vivo il conte non pubblicò mai nulla, e i suoi versi erano circolati manoscritti. L’edizione più antica delle sue opere, postuma e non autorizzata, figurò stampata ad Anversa per non far correre guai all’editore. Quando io scelsi e tradussi Poesie e satire di Rochester per un volumetto Einaudi, nell’anch’esso lontano 1968, potei contare su un corpus ormai abbastanza assodato, che inclusi quasi per intero. A differenza di Graham Greene, non subii censure di sorta, ma pur andando i tempi verso la permissività, preferii tralasciare quattro dei componimenti più sboccati, sembrandomi allora che una traduzione più o meno letterale, com’era la mia, avrebbe fatto pendere troppo la bilancia sul versante della volgarità, senza il contrappeso del metro, della rima, dell’umorismo proveniente dalla felicità verbale. Oggi naturalmente non mi farei questo scrupolo, e forse è un peccato che ristampando quel volumetto, sia pure con qualche opportuno aggiornamento bibliografico e con un paio di correzioni, non si sia fatto in tempo a provvedere a inserirli. Il meglio di Rochester, la sua insolenza, la sua ironia, il suo disincanto, la sua denuncia delle affettazioni dell’animale uomo (unico in natura che si applichi con tutte le forze per diventare più cretino di com’era alla nascita) - c’è comunque tutto. La ragione per riparlare di questo personaggio così singolare, naturalmente, è il film col misterioso, intenso Johnny Depp, unico attore al mondo forse in grado di renderne l’inquietudine e il maledettismo insieme alla estemporanea genialità. Il vero Rochester però non può essere contenuto in nessun film, ci sarebbe troppa carne al fuoco: e se alcune circostanze della vita sono riproducibili, e discretamente spettacolari, altre sfuggono al linguaggio dello spettacolo; quello che vorremmo sapere era cosa veramente passava nella testa di questo individuo in apparenza senza pace. Figlio orfano di un fedelissimo di Carlo I, il sovrano decapitato, Rochester ne ereditò il recente titolo e fu protetto da Carlo II quando questi tornò sul trono, al punto di diventare uno dei protagonisti a Corte della prima fase del regno di costui, quella della sregolatezza e della baldoria. Fu spesso allontanato per delle malefatte, come quando rapì un’ereditiera per sposarla e assicurarsene il patrimonio (ma ne era anche innamorato, e le fu, come dice in una poesia, anche fedele a modo suo, vale a dire per un attimo); o come quando partecipò a una rissa in cui un borghese finì ammazzato dai giovani aristocratici che volevano fare uno scherzo per movimentare una serata in provincia; o come quando il re finalmente si offese per un suo ritratto in versi particolarmente offensivo. Alla fine però veniva sempre perdonato e riammesso. Durante i periodi di esilio combinava beffe, come quando si camuffò da veggente e lettore del pensiero e mise su una bottega dove ascoltò i segreti di mezza città. Quando il re fece riaprire i teatri, che i Puritani avevano chiuso per vent’anni, e autorizzò le donne a esibirvisi come avveniva in Francia dov’era stato a lungo, si reclutarono ragazze ben disposte tra le cameriere di osteria e le sgualdrine (una particolarmente spiritosa, Nell Gwynne, fece carriera fino a diventare l’amante del re, restando popolarissima. Una volta però la folla la scambiò per la contessa di Keroualle, altra amante di Carlo, francese e spia di Luigi XIV, e circondò minacciosamente la sua carrozza. Lei si affacciò gridando: «Vi sbagliate, io sono la puttana protestante!»). Quelle signorine risultavano poco plausibili nelle parti di sovrane o eroine tragiche. Rochester scommise di dirozzarne una entro sei mesi, e sottopose la prescelta a una serie di lezioni intensive tipo Visconti con la Callas; il risultato fu la celebre Mrs Barry, la più grande diva del teatro della Restaurazione. Mentre osservava l’ipocrisia e la prendeva sanguinosamente in giro in satire brillantissime, personalmente Rochester praticava la sregolatezza - disse di essere stato ininterrottamente ubriaco per cinque anni. Trentaduenne, sarebbe morto l’anno dopo, cadde in preda a una sorta di depressione esistenziale, cominciò a interrogarsi sull’aldilà, e sfidò a convincerlo uno dei più intelligenti prelati del tempo, il futuro vescovo Gilbert Burnet, già cappellano reale. Ebbe con lui una serie di colloqui durante i quali Burnet, che ne avrebbe lasciato testimonianza, tentò di giustificargli la fede con argomenti razionali, portandolo a vergognarsi dei passati eccessi, ma più per la perdita di dignità che per il senso di un Essere Superiore. Un giorno però, mentre era a letto malato, Rochester ebbe la folgorazione: sentì leggere ad alta voce un passo di Isaia, e gli sembrò che le parole gli balenassero nella mente «come raggi di luce». Da quel momento credette senza condizioni. Radunò i servi, fece un pubblico atto di pentimento per la vita passata, si accostò al sacramento, fece bruciare tutti i suoi scritti, libri e quadri contrari alla decenza. Pochi giorni dopo morì in odore di santità. Masolino D’Amico