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 2006  febbraio 03 Venerdì calendario

Dallo Scià di Persia a via Lima 51. La Stampa 3 febbraio 2006. Roma. La fontana col Marte in bronzo e le turche del Tremila sono grandi attrazioni dell’area congressi nel seminterrato della Confcommercio a Roma, lungotevere degli Anguillara

Dallo Scià di Persia a via Lima 51. La Stampa 3 febbraio 2006. Roma. La fontana col Marte in bronzo e le turche del Tremila sono grandi attrazioni dell’area congressi nel seminterrato della Confcommercio a Roma, lungotevere degli Anguillara. La fontana è cinta da un cordone perché l’acqua non si vede: la vasca è ricavata nel pavimento ed è dello stesso colore del pavimento; un giorno, a mezz’ora da un importante incontro, il presidente Sergio Billè fu l’ultimo a ingannarsi: scese il gradino e si inzuppò. I pedalini di ricambio arrivarono appena in tempo. Le turche del Tremila, come le chiamano qua, scherzandoci sopra, sono costituite da griglie e vetrate. In viaggio a Tokyo, Billè scoprì la nuova frontiera dell’intimità al quarantottesimo piano di un albergo. Lì fu invitato a orinare nelle piccole grate poste a terra, davanti a grandi vetrate su cui scorreva l’acqua dello sciacquone e oltre le quali si vedeva tutta la città. Fu probabilmente la sensazione di potere quasi sconcio a persuadere Billè. Le sue turche, purtroppo, stanno al seminterrato, dove il brivido feticista si annulla. Ma il giorno dell’inaugurazione, nel giugno del 2005, il presidente ebbe il suo trionfo. Il pellegrinaggio ai bagni fu incessante, e Billè ricevette le strette di mano e le pacche sulle spalle per aver trasformato quegli scantinati, attrezzati come cinema parrocchiali, in un modernissmo centro con monitor ovunque, poltrone di pelle, maxischermi, sala regia, saletta vip, attacchi per internet ogni venti centimetri. I fatti della cronaca cambiano le prospettive. Fino a qualche settimana fa, l’opulenza della sede della Confcommercio era il monumento alla poderosa presidenza Billè. Oggi dovrebbe essere testimone delle sue malversazioni. Succede sempre così: nei giorni bui, quelle che erano ragioni di vanto sono motivi di vergogna. E del resto basta partire dalla Confcommercio, dove Billè è stato padrone per dieci anni, attraversare il ponte Garibaldi, scendere per via Arenula e poi via delle Botteghe Oscure e si arriva in via Ara Coeli. Nel palazzo più bello, al numero 4, ci abita Billè. I magistrati indagano su come venisse pagato l’affitto di 114 mila euro all’anno. Se Billè pagasse di tasca sua o degli associati. Entrare è impossibile, ma basta sbirciare nel cortile con le colonne e i porticati per intuire. Dal basso si vedono i soffiti a cassettone e ci si immagina il resto. A dicembre, in via dell’Ara Coeli 4, la Finanza ha condotto perquisizione e sequestro. Si è saputo che Billè aveva fatto strada, di sicuro. L’uomo che una volta era il più pregiato pasticcere di Messina, ma nulla di più, aveva casa nell’ombelico del mondo, e dentro ci teneva un cassettone veneto del Diciottesimo secolo da 125 mila euro, due specchiere in legno da 70 mila euro, due monetieri in tartaruga da 55 mila euro, due console del Diciottesimo secolo, romane, da 30 mila euro, eppoi quadri, tavoli, ribalte, scrittoi, candelabri, tappeti persiani, angoliere, trumeau, tutta roba acquistata da Billè coi fondi riservati del presidente, tutta roba da diecimila euro in su. Un pool di illustri avvocati, fra cui il deputato di Rifondazione comunista, Giuliano Pisapia, è impegnato a dimostrare l’innocenza dell’autosospeso presidente di Confcommercio. Lui, il 20 gennaio, ha scritto una lettera agli ordini confederali per denunciare il complotto ai suoi danni, e quindi ai danni dei commercianti, e augurandosi «di riprendere insieme a voi il cammino interrotto». Ma nessuno ha il tempo, e probabilmente neppure il desiderio, di attendere i pronunciamenti della magistratura. Entro pochi giorni avremo il successore. Non paiono esserci alternative concrete a Carlo Sangalli (vicepresidente di 69 anni), sebbene sia indagato insieme con Billè. Il presidente dell’Ascom di Trento, Giovanni Bort, ha cercato di farsi avanti presentandosi come «il ripulitore»; ma la sua offensiva è servita soltanto a dimostrare che per Billè non è più aria. Dentro al palazzone di lungotevere degli Anguillara - costruito nel 1928 e donato dal fascismo ai bottegai (allora il termine non era insultante) in omaggio al corporativismo - si sente l’urgenza di spiegare che le vicende di Billè si sono sovrapposte a quelle dalla Confcommercio. Ma sono vicende diverse. E rimane un sorriso imbarazzato davanti al lampadario da pavimento e di cristallo, alto un metro e mezzo, che Billè acquistò a un’asta. E che in precedenza era appartenuto allo Scià di Persia. E che, ancora, diventa il prestesto per un’escursione dilettantesca, ma affascinante, nell’analisi psicologica. Agli esordi da presidente, Billè vestiva con giacche a quadretti, camicie gialline, cravatte regimental verdi e marroni che coloravano d’allegria lo skyline del ventre gaudente. I capelli radi, grigi e stopposi erano la trascuratezza dell’uomo delle periferie, arguto e operoso, lontano dai fronzoli dell’eleganza. Mano a mano che la sede sul lungotevere si arricchiva di piutture del Seicento, tornii antichi e preziosaggini varie, Billè sostituiva il guardaroba. Grisaglie ministeriali di foggia impeccabile trasformavano il pasticciere siciliano in un uomo delle istituzioni, che la sera rincasava fra mobilie milionarie, e la notte poggiava sul cuscino una chioma ringiovanita, sebbene ridotta a uno sconsolante color melanzana cruda. Si celebravano suggestivi congressi non più in alberghi degli anni Sessanta, ma su navi da crociera nelle acque dei Caraibi. Ognuno pagava la sua quota, inteso, ma tutto torna, se si ripensa al Billè che fa ingresso nel pianeta del jet-set al fianco di Stefano Ricucci e Anna Falchi, gli amici carissimi. E allora, quando si arriva in via Lima 51, cascano le braccia. Perché via Lima è ai Parioli. E i Parioli sono sempre i Parioli. Ma il palazzone di lungotevere degli Anguillara è, fra parentesi, il più alto edificio di Trastevere, e dalla più alta terrazza del più alto edificio di Trastevere, appena sopra la regale foresteria, si offrono, a trecentosessanta gradi, tre millenni di storia, in una folgorante rappresentazione panoramica. E invece Billè sognava i Parioli. Il quartiere dei ricchi. Prese da Ricucci (che a sua volta l’aveva acquistata quando era occupata da squatter fascisti) la palazzina di via Lima 51 a sessanta milioni di euro, di cui trentanove al preliminare. Una cifra spropositata anche per il profano, e lì Billè voleva trasferire il suo quartier generale. In quella palazzina d’epoca fascista, nemmeno tanto ben riuscita, nemmeno tanto grande, incastrata fra edifici della medesima altezza, forse oggi particolarmente malinconica per via del cortiletto davanti, in terra battuta ed erbacce, colmo di rifiuti, cassette di plastica, cartacce, e che forse un giorno sarebbe stato lastricato in marmo a maggior gloria d’una pisciata fuori dal vaso. Mattia Feltri