varie, 15 febbraio 2006
AJELLO Nello
AJELLO Nello Napoli 20 novembre 1930. Giornalista. Saggista • «[...] lucido cronista, saggista brillante, storico impegnato, commentatore spregiudicato [...] è un punzecchiatore sobrio. Un divertito pessimista. Un agile battutista. Valerio Riva, curando un’antologia di suoi articoli per L’espresso, disse che “per una battuta si mangerebbe una casa”. Epigrafe che lui gradisce. Abbondano su Ajello parole come understatement e ironia. Figurano in tutte le recensioni dei suoi libri, nei quali giudica il proprio tempo e il suo Paese, soprattutto attraverso gli intellettuali e i politici che ne fanno parte (vedi Illustrissimi - Galleria del Novecento, del 2006, e i precedenti volumi Lo scrittore e il potere, Intellettuali e PCI, Il lungo addio e Italiani di fine regime), con il distacco anti-retorico dell’osservatore british style. Ma in lui c’è altro: lo sguardo acuto, disincantato e a volte malinconico del partenopeo di antica stirpe, illuminista e laico. Beniamino Placido, tracciandone il ritratto, lo collocò nel gruppo antropologico degli anglo-napoletani. Progressisti, rigorosi, pronti a rivendicare le norme del vivere civile; e aborriti per questo dall’etnia rivale dei turchi-napoletani, presente in città e, secondo Placido, tanto più folta e potente. [...] “[...] già al liceo sognavo di diventare un giornalista, ma all’epoca fare questo mestiere a Napoli appariva più arduo che dedicarsi alla pesca delle vongole a Courmayeur. All’inizio lavoravo nella rivista Nord e Sud. Rappresentò il capitolo più appassionante della mia giovinezza. Nel frattempo collaboravo al Mondo di Pannunzio; poi, dal 1955, cominciai a scrivere sull’Espresso di Arrigo Benedetti. In seguito Adriano Olivetti mi offrì di fare il caporedattore di un settimanale torinese, La via del Piemonte, diretto da Geno Pampaloni. Quando annunciai a mio padre - avvocato molto conservatore ma anche antifascista, essendo per lui il fascismo cosa ridicola e volgare - che sarei andato a Torino, si mostrò stupefatto: che vai a fare? È nu paisiello! Aveva il senso di un reame immenso di cui Napoli era la capitale. Vado a Torino, risposi, perché la amo molto e perché non posso andare a Helsinki non conoscendone la lingua [...] Benedetti e Scalfari mi vollero all’Espresso, dove sono stato redattore, inviato, caporedattore, vicedirettore e condirettore, lavorando accanto a Scalfari, Gianni Corbi, Livio Zanetti e Carlo Gregoretti. Ventisette anni: dagli albori del centrosinistra al compromesso storico, fra il Watergate e la P2, il terrorismo e il riflusso. Da settimanale-lenzuolo L’espresso diventò un tabloid, triplicando le vendite. Poi giunse la riscossa della stampa quotidiana con la Repubblica di Scalfari, dove scrivo fin dagli inizi. All’Espresso mi occupavo di qualsiasi cosa. I miei amici di gioventù mi prendevano in giro: passi dal salotto di Croce alla vallata vietnamita di Da-Nang, dalla legge Merlin alla Guerra dei sei giorni [...] Si può parlare in maniera limpida e seria del Vietnam e in modo cronistico e senza pesantezze dei rapporti tra Croce e Togliatti. Contano la mancanza di sussiego e la ricerca di un germoglio di lettura chiara anche negli argomenti più gravosi o tediosi [...]”» (“la Repubblica” 19/11/2010) • «[...] incarna propriamente la figura di uno scrittore che viva in sé ancora oggi la presenza nutriente della fiamma razionalistica che animò gli illuministi napoletani, il loro laicismo ragionato, il loro amore per la naturalità dell’esistenza che nessun concetto poteva inaridire. Tutto questo in Ajello resta vergine, rivelandosi ancora un’agilissima chiave di conoscenza. Ajello è uno storico? È un cronista? È certamente tutto questo, ma resta uno scrittore spregiudicato [...]» (Enzo Siciliano, “la Repubblica” 15/2/2006).