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 2006  febbraio 14 Martedì calendario

PARENTE Massimiliano

PARENTE Massimiliano Grosseto 1970. Scrittore. Critico letterario • «[...] è un critico letterario che vive nelle catacombe (il Domenicale di Dell’Utri) ma è il più spassoso che ci sia. [...] è un impotente, una sua stroncatura non ha mai fatto perdere una copia a nessuno e perciò quando si lancia contro Ammaniti e Cotroneo e Piperno, ciò che lui chiama “il mainstream Mondadori”, si ammira la carica di un purissimo Don Chisciotte, infinitamente più letterario dei succitati. [...] Qualcuno si ricorda di Sergio Saviane? Il libro di Parente somiglia moltissimo a Caro nemico ti scrivo, il testamento del critico televisivo più buono e più cattivo che ci sia mai stato. Lo stesso artificio dell’articolo in forma di lettera, lo stesso tuffarsi a tomba aperta nelle polemiche, la stessa sensazione che l’autore si stia impegnando all’estremo per crearsi il vuoto intorno. A Saviane la totale emarginazione riuscì solo a fine carriera, a Parente, talento precoce, basterà meno tempo. Urge una citazione per spiegare il suo metodo di lavoro: “Per diventare capocultura, per diventare D’Orrico o Scateni o Cevasco o De Melis o Soffici, non serve scrivere i libri di Roland Barthes o di Todorov o almeno di Omar Calabrese, non serve neppure dimostrare di averli letti o tenerne conto, anzi il requisito per diventarlo è non aver scritto o letto niente di significativo, meglio ancora non aver scritto o letto niente”. Solo con questo brano si è giocato tre quarti del caporedazionato culturale d’Italia. Per rendersi inviso al restante quarto, Parente non lesina sforzi: 1) ogni volta che può si dichiara bushista e sostenitore della guerra in Iraq; 2) si comporta da perfetto rompicoglioni, sottospecie logorroici, inondando le redazioni di lunghe mail sfinenti. Al Riformista è stato accompagnato alla porta perché pretendeva di essere pagato, richiesta giudicata poco elegante. Ha litigato, non si capisce per quale motivo, con Giordano Bruno Guerri e Vittorio Sgarbi, un tempo suoi improbabili mentori: con Sgarbi che è un buon ragazzo ha fatto pace, con Guerri continua lo scambio di ferocissime accuse, intrascrivibili. Non ancora soddisfatto di se stesso, bramoso di nuove sconfitte, si inimica inoltre tutti gli editori e tutti gli autori, i grossi e i piccoli, i vecchi e i giovani, i famosi e gli sconosciuti. Nessuno gli pare indegno della sua intransigenza, Umberto Eco e Daniela Gambino per lui pari sono, a chiunque grida “A morte! A morte!” senza accorgersi che nel frattempo stanno oliando la ghigliottina per lui. Se entra da Bibli ammutoliscono pure i gatti In questo mondo di permalosi lo odiano tutti, lo odia pure il suo editore che lo manda in libreria con la più brutta copertina del 2006 (l’anno è ancora lungo ma il primato non potrà essergli strappato, impossibile). Quando a Roma entra da Bibli, che nel campo delle librerie rappresenta quello che è Nottetempo nel campo delle case editrici, cultura da tè delle cinque, ammutoliscono anche i gatti, manco fosse entrata la finanza. Nicola Lagioia e Christian Raimo e gli altri formidabili geni dell’incularella romana che fa capo a Minimum Fax fingono di non conoscerlo. Parente ha un tallone d’Achille, anzi due: Antonio Moresco e Aldo Busi. Sono gli unici scrittori viventi che gli piacciono, due logorroici suoi pari ma molto meno divertenti. Ammesso che Moresco e Busi siano vivi, gli altri modelli sono tutti morti: Dostoevskij, Balzac, Cervantes, Joyce, Proust, Kafka, Gadda, Leopardi. Soprattutto Dostoevskij. Per essere stimati da Parente bisogna aver scritto libri pesanti un chilo, averci perso la vista e la schiena ed essere morti poveri e disperati. Tutto il resto è Lucarelli e Baricco, intrattenimento e sceneggiatura. Nessun altro oggi in Italia assegna alla letteratura un ruolo così alto: è perfettamente convinto che i libri non debbano adeguarsi al mondo e che semmai sia il mondo a doversi adeguare ai libri. Nel frattempo il mondo non si adegua a Parente, cavaliere dalla triste figura il cui sdegno è il sollazzo del lettore» (Camillo Langone, “Il Foglio” 14/2/2006).