MACCHINA DEL TEMPO MARZO 2006, 13 febbraio 2006
Ci fu un tempo in cui era chiamato ”cervellone”, senza alcun risvolto ironico. Gli addetti ai lavori preferivano ”elaboratore elettronico”, ma nessuno s’azzardava ancora a pronunciare ”computer”, soprattutto in pubblico
Ci fu un tempo in cui era chiamato ”cervellone”, senza alcun risvolto ironico. Gli addetti ai lavori preferivano ”elaboratore elettronico”, ma nessuno s’azzardava ancora a pronunciare ”computer”, soprattutto in pubblico. I ”cervelloni” apparivano nei film di fantascienza, enormi armadi con bobine che vorticavano e schede o nastri perforati che sbucavano da ogni dove. Oppure vivevano le loro esistenze di silicio nei centri della Nasa, permettendo lo sbarco umano sulla Luna. Furono, per molti anni, uno degli strumenti più vicini all’immaginazione e più lontani dalla vita quotidiana. Poi, come è noto, tutto cambiò. Quanto tempo è trascorso da quel periodo? Poco più di 30 anni. Un arco ristretto di storia, eppure già così difficile da ricostruire. Grande merito ha quindi avuto la mostra ”Bit@byte. Dalla storia dell’informatica in Italia alla storia di Sogei”, organizzata appunto da Sogei, la Società generale d’informatica nata nel 1976 dall’Italsiel, prima società d’informatica italiana per l’elaborazione di software. Sogei oggi è di proprietà del ministero dell’Economia e delle Finanze, per conto del quale ha elaborato sistemi che hanno reso più snelle e veloci tutte le operazioni in campo fiscale, ma anche quelle della Pubblica Amministrazione. Il punto di vista, quindi, è davvero privilegiato. quello di chi ha osservato l’evoluzione nel tempo di software e hardware, non soltanto in Italia. Aperta fino al 19 novembre dello scorso anno, la mostra ha tracciato l’intera storia del calcolo meccanico, dal compasso al personal computer. In mezzo a calcolatrici da tavolo che paiono scaturite da una rivista di modernariato, apparecchi per schede perforate e armadi macina-bobine, ci limiteremo a puntare lo sguardo soltanto sulle vicende del nostro benamato ”cervellone”. Nel 1944, ad Harvard, il professor Howard Aiken, dopo sette anni di studi, creò assieme alla Ibm il primo calcolatore artimetico universale: l’Automatic sequence controlled calculator (Ascc). Noto come Mark 1, il calcolatore era guidato nel suo funzionamento da una serie di istruzioni rappresentate da fori su un nastro di carta. Leggendo queste istruzioni e i dati introdotti mediante schede perforate, la macchina procedeva da sola, senza alcun intervento umano, fornendo i risultati su altrettante schede perforate o stampandoli su due macchina da scrivere collegate. Il primo vero elaboratore del tutto elettronico fu invece l’Eniac (Electronic numerical integrator and computer), progettato all’Università della Pennsylvania da John Presper Eckert, John William Mauchly e Herman Goldstine a partire dal 1943. Entrò in funzione nel febbraio 1946. In questo elaboratore tutte le parti meccaniche furono eliminate e sostituite con tubi a vuoto (in pratica, valvole) che si attivavano grazie a impulsi elettronici. Poiché questi impulsi si muovono migliaia di volte più velocemente di un dispositivo elettromeccanico, la velocità operativa dell’Eniac appariva sbalorditiva. In Italia, le origini del calcolo elettronico sono legate all’Università di Pisa, in particolare alla costruzione della Calcolatrice elettronica pisana (Cep). Nel 1954, dopo un finanziamento di 150 milioni di lire all’Università da parte della provincie e dei comuni di Pisa, Livorno e Lucca, fu deciso - su consiglio del fisico Enrico Fermi - di costruire una macchina calcolatrice elettronica che potesse servire a tutti i nostri atenei. Per portare a termine il progetto fu costituito, nel 1955, il Centro studi calcolatrici elettroniche (Csce). Nel medesimo anno, fu sottoscritta una convenzione con la Olivetti e, dalla collaborazione fra l’Università di Pisa e l’azienda d’Ivrea, nacquero la Cep (un ibrido tra la nascente tecnologia dei transistor e l’ormai matura tecnologia a valvole) e il calcolatore commerciale Elea 9003, del 1959, il primo calcolatore completamente a transistor costruito in Europa e commercializzato. Entrambe le macchine, per l’epoca, erano davvero molto avanzate e sofisticate.