varie, 13 febbraio 2006
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Deneriaz Antoine
• Bonneville (Francia) 6 marzo 1976. Sciatore. Medaglia d’oro della discesa libera alle Olimpiadi di Torino 2006. «[...] Ore 12 e 50, domenica 12 febbraio 2006. Tonio da Morillon sente scandire il proprio nome: ”Deneriaz, Antoine, Francia, numero 30”. La stessa cifra dei suoi anni. Morillon è un villaggio che si trova dentro al Grand Massif, tra Chamonix e Ginevra. Cinquecento abitanti. Cinquanta sono qui a Borgata. Deneriaz ha vinto tre gare in Coppa del mondo: due volte in Valgardena. Sabato è stato il migliore, nell’ultima prova. Walchhofer fissa lo schermo gigante. Serra le labbra, stringe i pugni, afferra i suoi sci Atomic. Gli stessi che usa Deneriaz (a dire il vero anche Herminator Maier e Bode Miller). Che beffa, comunque: aceto sulla ferita. Il francese, intanto, è già schizzato fuori dal cancelletto della partenza. Visibilità perfetta. Neve fredda, ma lenta. Deneriaz è un maestro della scorrevolezza. ”Fais-le, fais-le”, ripete mentalmente il discesista francese, ”fa quello che sai fare, fa quello che sai fare”. Un anno fa, a Chamonix, si ruppe un ginocchio. Tredici mesi fermo. Niente Bormio, niente gare iridate. Quando lo portarono via in barella, a Borgnier, il capo della squadra, disse: ”Non sarò campione del mondo, sarò campione olimpico”. Ha già rubato 14 centesimi a Walchhofer. Il vantaggio si riduce a 9, poi, improvvisamente balza a 43. Sino a quel momento, la lotta per il titolo olimpico era stata serrata. Bode Miller, per esempio, quarto a 5 centesimi dall’incredibile Aamodt che a sua volta ne buscava 6 dallo svizzero Bruno Kernen, con Walchhofer in testa a 30 centesimi. Fritz Strobl, il campione di Salt Lake City, si era subito rassegnato all’ideale staffetta col compagno di squadra. Macché staffetta. Deneriaz sfreccia come una saetta, non sbaglia nulla: aggressivo, posizione centrale sugli sci, sicurezza nei passaggi chiave della Kandahar-Banchetta, salti senza scomporsi. ”Metti in frigo lo champagne”, aveva ordinato Deneriaz al suo skiman Pascal Lemoine, con lui dal 2000. ”Domani vinco io”. Presuntuoso? No, spiega papà Alain, Tonio è fatto così, quando dice una cosa la mantiene e dice sempre quello che pensa. Anche Walchhofer avrebbe voglia di dire ad alta voce quello che sta pensando: era dentro un sogno, si sta risvegliando in un incubo. Quello lì, rumina, per tutta la stagione non è mai entrato nei primi dieci. Immagina la profonda delusione e il malessere collettivo che sta montando in tutta l’Austria, l’onta della sconfitta pesantemente gli cade addosso. Rivede il suo errore, il salto Borgata riuscito male, la gamba sinistra che si apre a compasso, l’acrobatico recupero. L’illusione di aver vinto perché gli americani non erano riusciti ad essere più veloci di lui, soprattutto Dahron Rahlves dato favorito dai bookmakers, stranamente poco reattivo, sempre in ritardo (ha sbagliato la scelta dei materiali). Deneriaz incrementa il vantaggio, la folla esulta - gli austriaci sono la superpotenza dello sci alpino, tutti sono contro loro, batterli è sempre una gran bella soddisfazione, è l’eterna lotta di Davide contro Golia - i francesi si abbracciano, si baciano. Ormai è evidente che Deneriaz ha sbaragliato Walchhofer e le sue truppe. Nella lotta tra Austria ed Usa, l’ha spuntata inaspettatamente la Francia: successe lo stesso ai Giochi di Nagano del 1998, quando Jean-Luc Crétier vinse a sorpresa. Antoine ci ha creduto sino alla fine: ”A dire il vero, ci ho creduto fin dall’inizio - replica lui - anzi è da quindici giorni che ero convinto di potercela fare: questa pista mi piace, mi ricorda la Sasslong della Valgardena”, racconterà questo ragazzone alto un metro e 90 che pesa quasi un quintale. Al traguardo Deneriaz infligge 72 centesimi all’austriaco: un distacco pesante che acuisce l’umiliazione del Wunderteam. il vincitore col pettorale più alto nella storia olimpica: il record precedente apparteneva a Toni Sailer che conquistò il suo titolo a Cortina d’Ampezzo gareggiando col 14. La straordinaria storia della discesa libera è ricca di risultati che non corrispondono ai pronostici o ai desideri [...]» (Leonardo Coen, ”la Repubblica” 13/2/2006).