Varie, 12 febbraio 2006
PARLATO
PARLATO Valentino Tripoli (Libia) 7 febbraio 1931. Giornalista. Del manifesto. Aderisce al Partito comunista libico e nel 1951 viene espulso dal Protettorato britannico. A Roma, all’università, conosce Luciana Castellina. Diventa funzionario del Pci, poi giornalista all’Unità. Nei primi anni 50 è alla redazione di Politica e Economia, rivista della Federazione dei piccoli commercianti. Pajetta lo porterà, infine, a Rinascita come redattore economico. Nel 1967 viene espulso dal Pci con gli altri fondatori del Manifesto. Sposato due volte, ha tre figli: Enrico, Matteo e Valentina • «[...] ”Sì, sono un pied noir e sono rimasto in Libia fino al 1951, alla vigilia della salita al trono di re Idris, quando siamo stati espulsi dagli inglesi, io e qualche altro militante del Partito comunista libico clandestino”. [...] ha sempre quella faccia un po’ così, di chi ha retto serenamente gli scherzi degli amici e i tormentoni nati dal cognome e dal nome che porta. ”Valentino vestito di nuovo come le brocche ecc. ecc. me lo hanno servito praticamente tutti i giorni. Ma il peggio fu il cognome… quando non c’era ancora la teleselezione e le operatrici sentivano dire ”pronto parlato’, mettevano giù. Persino Luigi Pintor in uno dei vostri ”Casa Flores’, mi dà del participio. Ovviamente passato…”. Famiglia siciliana, di Favara, nell’agrigentino, il padre funzionario del fisco mandato in colonia a tener di conto. ”Del fascismo, della sua caduta ebbi solo un ricordo da colonia, dove le cose accadono quasi naturalmente, in modo ovattato, senza i traumi che suscitò in Italia. Mi ricordo gli ultimi ufficiali tedeschi che vidi, erano in tre, stavamo nella casa di mio nonno a una sessantina di chilometri da Tripoli, e vennero a bussare dicendo che quella sera avrebbero volentieri cenato sotto un tetto, prima di lasciare il campo libero all’Ottava Armata. Li facemmo entrare, il comandante, il suo giovane aiutante, tal tenente Springorum e un ufficiale medico, un mattacchione che se andava in giro tenendo sul camion, nello spazio riservato ai medicinali, due conigli. Bevemmo, ballammo, loro avevano portato la radio, e sentimmo la notizia della resa di Von Paulus a Stalingrado. Ci fu un momento di gelo, poi ripresero a ridere e a bere, dicendo che la guerra sarebbe continuata. Ho raccontato [...] l’episodio in un articolo, di quelli tipo ”il mio ultimo giorno di guerra’, e non so come il tenente Springorum [...] venne a saperlo e si presentò alla redazione milanese del Manifesto con un pacco di foto: c’eravamo tutti, mio nonno, mio padre, i tre ufficiali e io con i miei dodici anni. Mio padre [...] non fu mai fascista, semmai ne ebbe dei tratti verso la fine, per reazione, quando si avvicinava il crollo del regime”. Valentino Parlato si ritrova d’un tratto nel Partito comunista libico clandestino, ”perché a sedici anni cominci a farti le seghe ma anche a leggere e a capire qualche cosa”. Con altre nuove reclute dà vita alla rivista Il pinguino: un must della fauna nordafricana ma, spiega Valentino, ”già allora ci piaceva spiazzare gli altri”. Forse fu per caso, forse per amicizia che si ritrova nelle file del Pclc, dove incontra molti buoni borghesi che in passato avevano aderito al fascismo. ”Il capo del Pclc era…”. Libico? ”No, napoletano: Enrico Cibelli, notaio, ex gerarca e gran donnaiolo, un tipo formidabile che si era inventata la Rab, la Reale azienda banane, che cominciava allora a organizzare il trasporto delle banane dalla Somalia”. Nessun imbarazzo a stare con ex fascisti tra i comunisti? ”Come molti giovani venuti su nelle colonie io ero un nazionalista tiepido, patriota sì ma senza eccessi. Quando sentii che si ricostituiva il Msi e che questi erano diventati democratici, mi dissi: suvvia, diteci qualcosa di destra oppure andate a quel paese. Così consumai la rottura col mio fascismo adolescenziale e mi ritrovai con il Cibelli, che pure lui era passato da destra a sinistra. Come spesso accade nella vita devo ringraziare la repressione, la lungimiranza del protettorato inglese che, prima di rimettere sul trono Idris, ci mette tutti su una nave, destinazione Italia. Pensa un po’, allora ero studente in Legge: se fossi sfuggito a questa prima ondata sarei diventato un avvocato tripolino e quando Gheddafi m’avrebbe cacciato, nel 1979, insieme a tutti gli altri, mi sarei ritrovato in Italia, a quasi cinquant’anni, senz’arte né parte. Sarei finito a fare l’avvocaticchio per una compagnia d’assicurazione ad Agrigento, a Catania. Un incubo. L’ho veramente scampata bella”. Fu espulso con tre operai dell’Alfa Romeo, ”la classe operaia”, il notaio sciupafemmine e un ufficiale postale di Tivoli che si portava dietro una grande valigia piena solo di cravattini anarchici: era il più anziano e morirà sul continente alle prime avvisaglie del freddo. un ventenne di belle speranze e di buona compagnia quello che sbarca a Roma nel novembre 1951. Con la banda dei pied noir condividerà notti e bagordi di Carlo Ripa di Meana, come ha scritto il conte nella sua autobiografia. All’università, alla sezione universitaria del partito, incontra Luciana Castellina. ”Da allora siamo come Gianni e Pinotto. Un rapporto speciale”. Di grazia, chi è chi? ” veramente impossibile a dirsi. Abbiamo girato l’Italia in lungo e in largo, abbiamo potuto dormire nello stesso letto senza che accadesse nulla, non ho mai allungato la mano”. Grande forza di carattere. ”No, assenza di tentazione, fra di noi c’è l’amicizia assoluta”. Lei, l’amica, comincia a spacciarlo in giro come un partigiano della pace cacciato via dalla Libia da quei noti guerrafondai d’inglesi. Lui comincia la sua ligia carriera di ”funzionario povero” nel più ricco apparato comunista d’Occidente. Lo fa seguendo la destra migliorista di Giorgio Amendola: è ”un amendoliano di sinistra” passato alla Realpolitik. Alle elezioni del 1953 accetta di lavorare per la federazione di Agrigento. Poi, quando gli propongono di restare come funzionario e in prospettiva come futuro candidato al Parlamento, tentenna: è la sua morosa del momento, Clara Valenziano, che sarà sua moglie e da cui avrà due figli, Enrico e Matteo, a schiarirgli le idee. Se resti qui io ti mollo, gli dice in sostanza. Le donne, Valentino impara presto che conviene starle a sentire: Luciana, Clara, poi toccherà a Delfina Bonada, italiana nata in Svizzera che sarà la sua seconda moglie e madre di Valentina, che oggi ha venticinque anni e tanta curiosità del ”68. Così torna a Roma. Trova lavoro all’Unità come corrispondente per la provincia. Si mette a fare il giro dei paesi in quegli anni ”in cui le adolescenti, se si mettevano i fazzoletti sulle tette, era per sembrare più grandi e poter andare a lavorare come olivare”. Gli anni in cui ”le bellissime ville aristocratiche dei Castelli erano piene di sfollati che ascoltavano la radio, bevevano e cantavano e poi andavano tutti a pisciare contro un unico muro, ridotto in uno stato che non vi dico”. Quando l’Unità entra in crisi, è il primo a perdere il posto. Bazzica la Federazione dell’associazione dei piccoli commercianti, nucleo originario della futura Confesercenti, di cui diventa presidente onorario. E la Cna, la Confederazione nazio-nale degli artigiani, che oggi è una potenza. La Federazione aveva una rivista, Politica e Economia, fondata da Amendola e letteralmente copiata dai francesi: ”Solo che quella francese si chiamava Economie et Politique e noi italiani, paraculi, dicemmo no, la politica va al primo posto, non siamo mica deterministi come quegli stronzi di francesi”. La rivista diretta allora da Eugenio Peggio non dura a lungo, appena due anni. E Parlato trasmigra ancora, questa volta alla sezione economica del partito dove ritrova Bruzio Manzocchi e lo stesso Peggio, con cui organizza un convegno, importante per il Pci, sul capitalismo italiano. In quei mesi Luciano Barca dirigeva la sezione del partito sull’organizzazione e aveva come vice Lucio Magri: ”Stavamo tutti al quinto piano”. Alla morte di Togliatti, la direzione di Rinascita passa a Giancarlo Pajetta ma in redazione ce ne sono due o tre che non lo sopportano e dicono che non serviranno sotto i nuovi colori. Si liberano alcuni posti e Luca Pavolini, il vicedirettore, affida a Parlato quello di redattore economico. Ci resterà fino alla fine, salvo un’interruzione di tre mesi nel 1967 quando se ne va, con la paterna benedizione di Pajetta, in Brasile per effettuare uno studio per conto della Banca mondiale. Poi l’incontro con Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Magri, la costituzione del Manifesto e l’inevitabile espulsione di quella che era la prima corrente organizzata interna al Pci. ”Non la presi troppo male, comunque meglio di Rossana e di Pintor”. Parlato conferma anche in quell’occasione la sua indole di franc-tireur, indifferente ai riti e alle forme estreme della sudditanza simbolica. Ci tiene a restare laico tra gli spretati, casinista e incasinato tra anime torturate dalla rivoluzione, ruolo che condivide con l’inseparabile amica Luciana. ”Scrissi a Pajetta che ce ne andavamo, semplicemente, anche per fare un favore al partito”. Comincia la terza età di Valentino Parlato: l’eretico on the road che si carica sulle spalle il pesante fardello finanziario del nuovo quotidiano perché, dice, ”in fondo non ho mai avuto l’ambizione della direzione politica”. Co- Ci tiene a restare laico tra gli spretati, casinista e incasinato tra anime torturate dalla rivoluzione… …L’eretico on the road che si carica sulle spalle il pesante fardello finanziario del nuovo quotidiano perché, dice, ”in fondo non ho mai avuto l’ambizione della direzione politica” sì in virtù del passato, delle sue conoscenze del mondo industriale, bancario, delle sue competenze gli viene riconosciuto il ruolo – sempre informale – del salvatore della patria in pericolo. Ancora adesso capita ai giornalisti di via Tomacelli di sentirsi dire un caloroso ”mi saluti Valentino” dalle persone più incredibili e disparate. A distanza di anni non accettano l’idea che il compagno di strada del quotidiano comunista possa conoscere così tanta gente che conta. ”Se sei bisognoso ma simpatico, gentile e magari anche un po’ ruffiano i tuoi interlocutori finiscono per ricordarsi di te. E magari ti rivedono con piacere”. I suoi interlocutori di ieri si chiamavano per esempio Walter Di Ninno, il vice di Balsamo, il tesoriere del Psi di Bettino Craxi. Brutta figura quella sul finanziamento del Manifesto, con l’ex leader socialista che interviene in diretta da Hammamet e lo sputtana: ”No, Craxi non sapeva o era mal informato. Di Ninno stava nel nostro stesso palazzo, io andavo giù gli davo un postdatato e lui mi dava contanti. Solo che questi assegni venivano sempre incassati e alla fine pagati. Craxi avrà dedotto erroneamente, dalla pratica allora corrente di non incassare mai i postdatati, che ci finanziava completamente. Invece ci faceva certo un bel favore, ma niente di più”. E il buon Cesare Geronzi, grande banchiere davanti all’eterno? ”Con lui abbiamo ripreso le esposizioni del giornale riscaglionandole nel tempo a un tasso che non ci strangolasse. Geronzi è un pragmatico che sa che è meglio guadagnare poco che perdere parecchio”. Però al giornale c’è chi si lamenta di non aver tutta la libertà che vorrebbe quando scrive sulla Banca di Roma. ”Ci mancherebbe altro. D’altronde chi in Italia potrebbe scrivere liberamente contro chi lo finanzia?”. Parlato pure liberista? Cos’è stato, il viaggio in America? ”Che paese. Dove vige il culto dell’eccellenza, altro che storie. Se ne fregano dell’istruzione, dei servizi sanitari per duecento milioni di persone purché in ogni campo possa emergere tutto quello che c’è di meglio”. [...]» (Lanfranco Pace, ”Il Foglio” 11/2/2001).