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 2006  febbraio 12 Domenica calendario

FABRIS

FABRIS Enrico Asiago (Vicenza) 5 ottobre 1981. Pattinatore su ghiaccio. Medaglia d’oro nei 1.500 metri e nell’inseguimento a squadre e bronzo nei 5000 alle Olimpiadi di Torino 2006. Ottavio Cinquanta, presidente della federazione mondiale degli sport su ghiaccio. « un fenomeno, capace di eseguire 3000 piegamenti sulle gambe con 50 chili sulle spalle. Sarebbe stato campione anche in bici, nel mezzofondo: ha gambe spaventose» (Mattia Chiusano, ”la Repubblica” 17/2/2006). «Quanta strada sotto i pattini del Toccolo. I Fabris, a Roana, sono chiamati così da generazioni, perché le loro case stanno appese da sempreal rione Toccoli. Enrico era bambinetto quando papà Valerio, presidente del piccolo club di pattinaggio locale, lo convinse a lanciarsi sul ghiaccio, aprendogli un destino che adesso strabilia, da solo o in squadra non fa differenza. [...] Da poliziotto, ha avuto l’onore della presenza alla cerimonia di premiazione del ministro Pisanu, in pratica il suo capo. ”Mi ha fatto un certo effetto, lo ammetto. Lo ringrazio dell’attenzione”. [...] la chitarra, la sua passione. ”Ho cominciato sette anni fa, da autodidatta, poi ho appreso qua e là qualcosa dagli amici con cui suonavo, ma le trasferte mi hanno sempre impedito di far parte di un gruppo. [...]” Musica del cuore? ”Heavy metal, in particolare i Metallica”. Com’è Fabris nel tempo libero? ”Un ragazzo normale chefrequenta gli amici e rivede volentieri Ritorno al Futuro: sarò arrivato a cinquanta volte”. Perché proprio quel film? ”Ho una mentalità scientifica piuttosto che umanistica, mi affascina l’Universo, il tempo che scorre, la tecnologia. E mi piace anche leggere”. Autore preferito? ”MarioRigoni Stern, soprattutto quello di Storia di Tönle, dove si racconta delle tradizioni dei Sette Comuni dell’altopiano di Asiago di cui si perdono inesorabilmente la pratica e la memoria: è un tema che mi è particolarmente caro, sono molto legato alla mia terra e alla sua storia [...]”» (Riccardo Crivelli, ”La Gazzetta dello Sport” 18/2/2006). «[...] quando [...] spalanca le braccia che sembrano braccia e invece sono ali, e le dondola per darsi velocità, si vede benissimo che sotto la tuta aderente ci sono gli spigoli di un corpo vero, non i gonfiori di una macchina sintetica. E allora lui pare uno strano trampoliere, una gru, una cicogna, è una creatura alta e lontana, elegante, ossuta e leggera [...] L’architettura fisica [...] è qualcosa di silenzioso e potente. Un pendolo: c’è il ritmo, la spinta, il controllo. E la sua velocità va sempre a crescere, mentre Enrico spalanca la bocca e digrigna i denti scintillanti nello sforzo. Sopra i denti, un poderoso naso di ciclista [...] Molto interessante la faccia [...] Quando si allarga nel sorriso, Enrico Fabris assomiglia a Felice Gimondi, per chi se lo ricorda, e la bocca va quasi a sfiorare le orecchie, riempiendosi di rughe rotonde. I capelli castani, lunghi sulla fronte, stanno un po’ dove vogliono e l’insieme sembra disegnato nella galleria del vento: perché Enrico è fatto a freccia, ha una faccia con la punta davanti: il resto del corpo la segue. La tremenda semplicità del suo gesto tecnico forse gli assomiglia. Semplice filare nel vento ghiacciato, lasciando una scia silenziosa. Semplice avere un papà infermiere che si chiama Valerio e una mamma che sontuosamente si chiama Bertilla, più una nonna Luigia che prepara le torte. Semplice partire piano e poi recuperare, recuperare. [...] Semplice è restare sereni (’Sereno, sì, io sono un perfezionista sereno”) [...] si mette le prime lame sotto i piedi a sei anni, e dopo un po’ si accorge che il passo allungato e regolare può dare persino più emozione della velocità in faccia, così molla lo short track (dove si gira in tondo, tutti contro tutti) e sceglie il pattinaggio su pista lunga. Partendo piano, arrivando forte. Il gesto preteso dal suo sport diventa il metronomo anche per il resto, o forse lo era già. Studiare, suonare la chitarra, ascoltare i discorsi dello zio prete, don Romeo, parroco di Roana, Vicenza, che detto così sembra un buco nel bosco, invece è qualcosa di molto più grande rispetto alla contrada Toccoli [...] Semplice allenarsi tutti i giorni per tante ore su un millimetro virgola due di lama, semplice preferire la compagnia non dell’avversario diretto da guardare in faccia, da superare, magari da maltrattare, ma del cronometro che invece è lui che ti guarda e ti misura, e ti dice se stai arrivando o se viaggi in ritardo. Ecco, un giorno Enrico Fabris decise di fare i conti col tempo, unità assoluta ma divisa in tanti piccoli, normali, semplici pezzi. Lì dentro, Enrico Fabris ha cominciato a pattinare e non si è fermato più» (Maurizio Crosetti, ”la Repubblica” 22/2/2006). «Ha un naso importante e un viso pulito che diventa subito simpatico: Enrico Fabris non è solo un fascio di muscoli d’acciaio, come si potrebbe intuire dalla tuta aderente, seconda pelle, ma un giovanotto piacevole, colpito e non travolto da un improvviso benessere. [...] Qualcuno dice che il suo è un motore diesel di ultima generazione. Di quelli che sono elastici e resistenti. [...]» (Gianni Merlo, ”La Gazzetta dello Sport” 22/2/2006). «[...] La Gazzetta dello Sport [...] ne scrive per la prima volta il nome abbinato al cognome il 13 febbraio 1999 in occasione dei Mondiali juniores di Geithus, Norvegia. Aveva 17 anni. [...] Per l’Enrico adolescente, seguito da papà Valerio, il pattinaggio era puro divertimento. La crescita è stata lenta, ma costante. Prima monitorata da Alessandro De Taddei, responsabile tecnico federale del settore giovanile, poi dal c.t. Maurizio Marchetto e dal suo vice Giorgio Baroni. L’esplosione vera è [...] Tardiva, rispetto a quella di altri big. Ma il ragazzo, si sa, è un diesel... lui, il 21 novembre 2004, a riportare il pattino lungo maschile al successo in coppa del Mondo: mancava da quasi sei anni. L’ultimo azzurro a riuscirci era stato Roberto Sighel, vincitore dei 5000 a Milwaukee 1998. La gara del successo di Fabris? I 1500, naturalmente. Il suo pane. [...] Due sono le caratteristiche che lo rendono un gigante: la pattinata, elegante, profonda e soprattutto economica e la capacità di gareggiare col cronometro in testa. Nessuno distribuisce lo sforzo come sa far lui e nessuno ha la stessa capacità di gestirsi. [...]» (Andrea Buongiovanni, ”La Gazzetta dello Sport” 22/2/2006). «[...] ha il naso che sembra la prua di un pattino. [...] viene da Roana, sull’altopiano di Asiago che finora, per gli italiani era sicuramente più famoso per il formaggio, per MarioRigoni Stern di cui l’homo olympicus è un fedele e appassionato lettore e per molte altre belle cose,macerto non era conosciuto per il pattinaggio. L’homo olympicus, ha un padre, Valerio, infermiere, che l’ha messo sui pattini a quattro anni sulla pista di famiglia, ha uno zio, Romeo, parroco [...] Gli piace chi fatica, chi butta il cuore oltre l’ostacolo. ”Il mio eroe? Avrei voluto essere Stefano Baldini, la sua vittoria nella maratona di Atene 2004 mi ha emozionato e mi ha fatto piangere. Quel giorno ho pensato: ancora un anno e mezzo e toccherà a me andare all’Olimpiade. [...]”. [...]» (Roberto Perrone, ”Corriere della Sera” 22/2/2006).