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 2006  febbraio 08 Mercoledì calendario

"Quella notte alle tre i carabinieri bussarono alla porta di via Montegrappa, e lei andò ad aprire, ed era così piccola che spariva sotto gli spruzzi di luce delle sirene che venivano dalle Alfette parcheggiate diagonalmente rispetto alla casa, fra le sagome nere che si muovevano a passi silenziosi attorno alla sua paura

"Quella notte alle tre i carabinieri bussarono alla porta di via Montegrappa, e lei andò ad aprire, ed era così piccola che spariva sotto gli spruzzi di luce delle sirene che venivano dalle Alfette parcheggiate diagonalmente rispetto alla casa, fra le sagome nere che si muovevano a passi silenziosi attorno alla sua paura. Ed era stata sempre lei, questo corpo esile e questo viso minuto come di una bambina, a chiamarli: «Venite, hanno ucciso mia madre». I carabinieri salirono i tre gradini dalla strada, entrarono e lei li portò nel soggiorno senza dire una parola e si sedette vicino al padre. Erano tutti lì, il babbo su un divano infossato, il volto smagrito senza capelli e lo sguardo perso, i due figli più piccoli accanto, e Vincenza, che si stropicciava gli occhi come se avesse sonno e l’avessero risvegliata. C’era il televisore acceso, a un volume non troppo alto. Lei disse: «E’ di là». Dalla camera da letto, subito attraversato il corridoio, veniva un odore terribile di sangue e di morte, anche se il resto della famiglia restava incredibilmente immobile, come paralizzato davanti alla tv, lì, nell’altra stanza. La pozza di sangue Silvia Dragna, la mamma, era sdraiata in una pozza di sangue, con il coltello ancora piantato nel ventre. I carabinieri tornarono da loro e gli chiesero cos’era successo. Il papà non rispondeva mai, nemmeno una volta disse qualcosa. Vincenza ha 16 anni, ma ne dimostra 12. Però sembrava lei la donna di casa. Raccontò che dormiva e ch’era stata svegliata due volte, la prima perché c’era il volume troppo alto della televisione e allora aveva chiesto di abbassarlo, e la seconda quando aveva sentito il rumore di un corpo che cadeva in camera da letto. Poi aveva udito le urla strazianti della sua sorellina di 6 anni, e allora era andata a vedere. C’era sua mamma morta, uccisa a coltellate. Suo padre era sul bordo del letto, ma non poteva essere stato lui, disse. Aveva la faccia stranita, come di uno che si era appena svegliato" (Pierangelo Sapegno, La Stampa 8/2). Risultò poi che Antonino Sidoti aveva fatto il muratore e in Svizzera era rimasto menomato in testa da un incidente. La moglie non lavorava, la famiglia tirava avanti con la pensione di lei, che di continuo voleva che lui fosse ricoverato e si togliesse dai piedi. La figlia Vincenza, che faceva da madre ai due fratellini accudendoli e portandoli a scuola, allora si impuntava e, piena di foga, difendeva il padre. In questi litigi la madre era capace di dire. "E allora arrangiatevi, non vi faccio più da mangiare". Una lite così era stata sentita dai vicini la notte del delitto. Ma i carabinieri, su chi avesse ammazzato, non avevano certezze. Il padre, che venne subito portato in carcere, non rispondeva a nessuna domanda e solo alla cinquasemia volta si decise a dire: "Non sono stato io". Vincenza pure, dopo aver risposto cento volte "No" ai carabinieri che chiedevano "Sei stata tu?" oppure "E’ stato tuo padre?", quando un milite spazientito se ne uscì con "Ma se non sei stata tu e non è stato tuo padre, sarà stato lo Spirito santo", esclamò: "Magari, così sarebbe tutto risolto". Venne portata in cella con l’accusa di concorso in omicidio. I coltelli risultarono poi due e uno stava in cucina ripulito. Una lite, e forte, c’era stata tra l’una e le due di notte e i vicini l’avevano sentiata, senza capir niente perché marito e moglie altercavano in siciliano stretto. Crusinallo di Omegna (Torino), via Montegrappa. Venerdì 3 febbraio. Notte.