MACCHINA DEL TEMPO MARZO 2006, 10 febbraio 2006
Leonardo Taschera, docente di Lettura della partitura, è direttore del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano dalla primavera 2004
Leonardo Taschera, docente di Lettura della partitura, è direttore del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano dalla primavera 2004. Sulla questione dell’educazione musicale, dei suoi vantaggi e delle difficoltà che tuttora trova a penetrare nei programmi della scuola ”normale”, è senza dubbio l’interprete privilegiato. Direttore, perché nelle scuole italiane non esiste una tradizione di formazione musicale? La causa risale ai tempi della riforma Gentile: le arti, e la musica in particolare, che non erano considerate discipline formative della persona, non meritarono di entrare nelle scuole. Si pensava che la musica riguardasse la sfera del fare, non del sapere. E i musicisti, strane persone con un dono pratico, furono collocati nei Conservatori. Risalire la cima non sarà facile, ma finalmente, dal 2007, esisterà il Liceo musicale e coreutico. E la formazione dei danzatori e dei musicisti non sarà più relegata all’Accademia e al Conservatorio. Un buon passo avanti, anche se dobbiamo recuperare 80 anni di scuola senza musica! Come descriverebbe la gioia che si prova suonando un qualsiasi strumento? Suonare è un processo complesso che mette in gioco abilità senso-motorie analoghe a quelle dello sport. Suonare è un gioco, tanto che in molte lingue si usa la stessa parola per indicare l’atto di suonare e quello di giocare: to play in inglese, jouer in francese, spielen in tedesco. Chi suona è gratificato dalle sue abilità, si sente ”funzionare bene”. Proprio come lo sportivo si sente ”funzionare bene” durante una partita a tennis o una discesa di sci. Nello sport il piacere è solo senso-motorio, nel suonare questo piacere si va a saldare con una serie di stratificazioni simboliche che la musica porta in sé. La musica dà forma agli stati d’animo del musicista, che li trasferisce, con l’esecuzione, al pubblico. Come avviene questo trasferimento di emozioni dall’esecutore alla gente che lo ascolta? Questo è un mistero. Ma di certo anche il pubblico meno acculturato distingue la semplice abilità tecnica da un’interpretazione che unisce all’abilità tecnica un significato emotivo. L’interprete è consapevole del suo potere di ”giocoliere” del proprio strumento. E trasmette al pubblico anche il suo piacere di manipolare lo strumento. Come si fa a scrivere musica? Il compositore fa riferimento a modelli preesistenti e li modifica seguendo i suoi gusti (anche lo scrittore ha una biblioteca di riferimento!). Partiamo da un esempio architettonico, più facile da visualizzare: Renzo Piano immagina l’Auditorium di Roma, ha un’idea dello spazio da occupare, si lascia suggestionare dai suoi modelli e dalla sua esperienza, quindi organizza lo spazio in moduli. Nella musica, il compositore deve occupare un tempo. Deve distribuire il mondo sonoro in maniera che l’ascoltatore ne capisca lo sviluppo e i punti di snodo, proprio come se ammirasse un’architettura. Il suo è un grosso sforzo intellettuale arricchito dall’attribuzione di un senso: lo stato emotivo a cui dà forma.