MACCHINA DEL TEMPO MARZO 2006, 9 febbraio 2006
Ritorneremo sulla Luna e questa volta per rimanerci: di questi tempi, sono parole pronunciate con fervore quasi religioso negli ambienti della Nasa, l’Agenzia governativa civile per il programma spaziale degli Usa
Ritorneremo sulla Luna e questa volta per rimanerci: di questi tempi, sono parole pronunciate con fervore quasi religioso negli ambienti della Nasa, l’Agenzia governativa civile per il programma spaziale degli Usa. Il gran ritorno avverrà tra dodici anni, nel 2018: nel frattempo, i preparativi fervono. Allo studio una nuova generazione di astronavi, che dei vecchi Apollo conserveranno soltanto la tradizionale forma a razzo; nuovi sistemi di sicurezza ma, soprattutto, nuove tecnologie che permetteranno finalmente una permanenza umana sul satellite. La rielezione di George W. Bush il 2 novembre 2004, da sempre favorevole alle attività della Nasa, ha conferito rinnovato coraggio all’agenzia spaziale statunitense. Il programma del presidente fu fin dagli inizi molto ambizioso: proseguire con i lanci dello Shuttle, completare la Stazione spaziale internazionale, ritornare sulla Luna e proseguire per Marte. Un invito a nozze per ogni scienziato. All’interno di tale progetto di colonizzazione, il nostro satellite riveste un ruolo strategico non indifferente. Per questo motivo è così importante tornarci. «Se vogliamo estendere la presenza umana attraverso il sistema solare e oltre», dichiara Jim Wilson, portavoce della Nasa, «tornare sulla Luna offrirà l’opportunità di sviluppare e maturare le tecnologie necessarie per sopravvivere a lungo su altri mondi. Tornare sul satellite consoliderà la nostra confidenza con lo spazio, consentendoci di avventurarci con maggior frequenza fuori dalla Terra e risiedervi per periodi sempre più lunghi. Inoltre, la Luna costituisce una base di lancio preferenziale per una futura missione umana su Marte». Ma non basta. Il ritorno dell’uomo sul suolo lunare permetterà di ampliare le attuali conoscenze astrobiologiche, geologiche, exobiologiche e fisiche. A tutto ciò s’aggiungono ragioni pratiche (e, in parte, anche politiche): l’America si rende conto che lo Shuttle ha fatto il suo tempo. Nel 2010, in un modo o in un altro, la vetusta navicella andrà in pensione. Ragionare fin d’ora in termini di conquista spaziale abbrevierà il gap tra l’abbandono delle missioni Shuttle e le successive, permettendo agli Usa di proseguire il servizio (e la messa in opera) della Stazione spaziale internazionale. Anche se il lancio vero e proprio avverrà tra 12 anni, la missione è già cominciata. La sfida odierna è costruire una nuova astronave che unisca il meglio delle tecnologie Shuttle e Apollo, e questo in meno di 5 anni. Tale velivolo dovrà essere non soltanto affidabile e sicuro, ma innanzi tutto versatile e riutilizzabile, poiché le sue prime missioni saranno soprattutto verso la Stazione spaziale, in orbita attorno alla Terra. L’obiettivo, comunque, resta il trasporto di quattro astronauti sulla Luna e di sei su Marte. Se si guarda alle prime immagini rilasciate dalla Nasa, il razzo non sembra molto dissimile da quello che condusse per la prima volta Neil Armstrong, Michael Collins e Buzz Aldrin sul nostro satellite. Le differenze però ci sono, e non da poco. Innanzi tutto, il velivolo sarà tre volte più largo degli Apollo, sarà provvisto di pannelli solari e sia il modulo comando, sia il modulo lunare useranno metano liquido per i loro motori. Perché proprio il metano? Perché la Nasa guarda avanti e già intravvede la possibilità futura di utilizzare il gas che troverebbe nel sottosuolo marziano. Inoltre, la nuova astronave potrà essere usata 10 volte: dopo l’atterraggio, basterà recuperarla, cambiare lo scudo protettivo e lanciarla di nuovo. Sarà grande a sufficienza per far allunare quattro uomini e alloggiarli sull’inospitale planetoide per tempi due volte più lunghi dei vecchi modelli. Inoltre, mentre gli Apollo erano obbligati ad allunare lungo l’equatore lunare, questo nuovo apparecchio permetterà loro di dirigersi ovunque lo desiderino. «Dopo molti studi», afferma ancora Jim Wilson, «la tecnologia dello Shuttle si è rivelata la migliore anche per il sistema di lancio. I grossi serbatoi di propellente, ad esempio, sono riciclabili. Inoltre, la tecnologia costruttiva è ben sperimentata». Non stupisce, quindi, vedere ai fianchi del missile i due tankdello Shuttle, soltanto un po’ più affusolati. Ma dalla consuetudine all’innovazione il passo è davvero breve. Perché i razzi da lanciare verso la Luna saranno ben due, in contemporanea: il più capace conterrà strumenti ed equipaggiamento, nonché il modulo lunare; il più piccolo, invece, porterà gli astronauti e il modulo di comando. Nel 2018 si potrà quindi assistere a una doppia partenza. In orbita attorno alla Terra, dopo essersi sbarazzati dei vari stadi del missile, la capsula e il modulo lunare s’uniranno e si dirigeranno assieme alla volta della Luna. Il viaggio durerà tre giorni. Giunto nell’orbita del satellite, il modulo lunare si staccherà dalla capsula (che sarà governata dal solo computer) e condurrà al suolo tutti e quattro gli uomini dell’equipaggio. Gli astronauti avranno ben sette giorni di tempo per esplorare il satellite, compiere rilevamenti ed esperimenti. Poi ripartiranno, si ricongiungeranno con il modulo comando e si dirigeranno verso la Terra, preparandosi al rientro. Ma prima che l’uomo torni sul satellite, arriveranno i robot. Tra il 2008 e il 2011 saranno inviati lander come quelli già spediti su Marte, per analizzare, mappare e individuare i luoghi migliori per lo sbarco. Nel loro mirino vi sono i siti che appaiono più ricchi d’ossigeno, idrogeno e metalli. Zone preferenziali paiono quelle nei pressi del polo sud lunare, poiché i ricercatori ritengono che quell’area possieda elevate quantità d’idrogeno e, addirittura, si pensa alla presenza d’aqua ghiacciata, che offrirebbe reali possibilità d’insediamento. Il ghiaccio, in fatti, può essere estratto e quindi diviso in idrogeno e ossigeno da generatori a energia solare. La presenza di quantità utilizzabili d’acqua sulla Luna potrebbe essere un fattore importante nel rendere possibile la sua colonizzazione, perché il trasporto dalla Terra sarebbe costoso. Non dimentichiamo che l’attuale motto della Nasa è ”tornare per rimanerci”. L’intenzione, infatti, è di non fermarsi al lancio del 2018, ma di proseguire con preordinate cadenze. Una missione alla volta, gli astronauti costruiranno un avamposto sulla Luna. Ogni spedizione si fermerà un po’ di più e poggerà le infrastrutture necessarie per ospitare una base lunare. Nessuno sta pensando, come nei vecchi libri di fantascienza, di costruire una città sulla Luna, magari per rimediare alla sovrappopolazione terrestre. Da qui a Marte, però, il passo potrebbe essere breve davvero. E spiccare il volo verso il pianeta rosso dalla Luna sarebbe estremamente più facile, grazie alla sua ridotta gravità. Raggiungere Marte, a questo punto, non sarebbe più un sogno, ma una realtà davvero a portata di mano. O quasi.