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 2005  gennaio 06 Giovedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 23 MAGGIO 2005

Il Pianeta pende dalla parte dell’Asia.
«Sa quanti siamo nel mondo?» [1]

Qualche miliardo. Quattro, cinque, sei...
«Più di sei miliardi e mezzo. E sa quanti di questi vivono in Asia?». [1]

Beh, un miliardo e passa stanno in Cina, un altro miliardo in India...
«In tutto fanno quasi 4 miliardi. Più della metà degli abitanti del pianeta. Il 6 gennaio l’ufficio statistico centrale di Pechino ha annunciato che la popolazione cinese aveva raggiunto la cifra tonda di un miliardo e 300 milioni. Anche senza contare l’esercito dei cinesi della diaspora, emigrati da generazioni nel sud-est asiatico o nelle Chinatown occidentali, oggi più di un essere umano su cinque è cinese, e il mandarino è di gran lunga la lingua più parlata nel mondo, con una diffusione molto superiore all’inglese. Nonostante il controllo delle nascite, l’aumento degli abitanti nella nazione più popolosa del pianeta si stabilizzerà solo fra trent’anni. La Cina prevede la ”crescita zero” solo quando avrà raggiunto il miliardo e mezzo. Le dirò di più: secondo molti esperti, sia occidentali che cinesi, il censimento demografico sottovaluta la dimensione della popolazione. Usando vari indicatori, tra cui il consumo totale di grano e riso, quelli della Cia sostengono che sono già un miliardo e mezzo. Il professor Xu Jin, direttore dell’Istituto di studi sulla popolazione all’Accademia delle Scienze sociali di Pechino, ha ammesso che il censimento è sicuramente difettoso, perché nelle aree rurali molte coppie di contadini non rispettano la regola del figlio unico, e quindi hanno interesse a non rivelare la vera dimensione del nucleo familiare». [2]

Si sente tanto parlare di secolo cinese, di secolo asiatico.
«E infatti quando quelli di ”Fortune”, il magazine economico americano, hanno dovuto organizzare il Global Forum 2005 l’hanno intitolato ”China and the New Asian century”. Si è svolto la settimana scorsa a Pechino, in piazza Tienanmen, nel salone d’onore dell’Assemblea del Popolo. Doveva vederli: 800 amministratori delegati e top manager, ambasciatori del capitalismo occidentale, accorsi a omaggiare il presidente Hu Jintao sperando di guadagnarsi i favori del mercato più promettente del mondo. C’era una bella percentuale del fatturato di tutto il pianeta: i presidenti di General Motors, Bmw, Sony, i giganti della distribuzione Wal-Mart e eBay, i chief executive delle banche americane Citigroup, Morgan Stanley, Goldman Sachs. In tutto, 77 fra le 500 più grandi multinazionali del mondo hanno inviato i loro vertici. Sa qual è la percentuale del made in China prodotta da aziende americane, inglesi eccetera?». [3]

Il 25%?
«Di più. Molto di più: il 60. Le multinazionali vanno là perché il lavoro costa niente». [3]

Diventeremo tutti disoccupati...
«Ha visto il ”manifesto” di venerdì? C’era un articolo che si intitolava ”La fifa gialla delle tute blu”. Attacco del pezzo: ”Ci copiano, c’invadono, con i loro bassi salari ci buttano fuori mercato e ci rubano il lavoro, fanno andare alle stelle il prezzo del petrolio e dell’acciaio, ci mettono in ginocchio, ci strangolano, ci stracciano”. ”Sono un miliardo e tre, basta che scoreggino insieme e ci fanno fuori”, si lamentava un metalmeccanico. [4] Ha sentito della Timberland?». [5]

Quella delle scarpe?
«Quella. Nella città di Zhongshan un ragazzo di 14 anni guadagna 45 centesimi di euro per produrre le calzature che da noi verranno vendute a 150 euro. Lavora 16 ore al giorno, dorme in fabbrica, non ha ferie né assicurazione malattia, rischia l’intossicazione e vive sotto l’oppressione di padroni-aguzzini. Per fabbricare un paio di scarpe da jogging Puma una cinese riceve 90 centesimi di euro. E tenga a mente che in Europa il modello con il logo della Ferrari ne costa 178. Nella fabbrica-lager che produce per la Puma i ritmi di lavoro sono così intensi che i lavoratori hanno le mani deformate. [5] Non si sa se piangere o ridere: il più efferato e cinico management capitalista alleato dell’ultimo impero comunista. [6] Dico io: almeno ’sta benedetta moneta potrebbero rivalutarla, no? E invece niente, non si vogliono sganciare dal dollaro. E siccome negli ultimi tempi la valuta americana si è fortemente svalutata, le loro merci son diventate ancora più a buon mercato, dando un’altra mazzata alle nostre imprese che hanno per le mani il costosissimo euro. dal 1998 che per un dollaro servono 8,28 yuan. Ah, ma stavolta il Congresso americano gliele ha cantate: se entro sei mesi non adeguano il cambio, nuovi dazi alla dogana. Mica scherzano gli americani». [7]

E loro hanno obbedito?
«Macché: fatevi i fatti vostri, gli hanno risposto da Pechino. Insomma, pernacchie». [7]

Anche l’aumento del petrolio è colpa della Cina?
«In parte. Raghuram Rajan, il capo economista del Fondo Monetario Internazionale, ha spiegato un mesetto fa che la domanda di greggio è in continua salita e passerà dagli 82 milioni di barili al giorno del 2004 ai 92 milioni del 2010, per arrivare a 138 e mezzo milioni nel 2030. Cina e India hanno contribuito con il 35% all’incremento dei consumi fra il 1990 e il 2003, mentre la loro produzione industriale saliva solo del 15%. [8] Il petrolio è un altro terreno sul quale nei prossimi anni Cina e Stati Uniti si daranno battaglia. Ad esempio in Uzbekistan...». [9]

L’Uzbekistan è in Asia?
«E dove vuole che sia? Avrà almeno visto che macello è successo qualche giorno fa. Parlano di mille morti e duemila feriti, l’ha detto un portavoce della Federazione internazionale per i diritti umani. C’è stata un’insurrezione contro il presidente Islam Karimov, ad Andijan l’esercito ha sparato sulla folla. Tutto è cominciato per alcuni detenuti islamici, ma la gente s’è ribellata anche perché non ne può più di morire di fame sotto una spietata dittatura». [10]

Il dittatore è scappato, sì?
«Ma quando mai! L’Uzbekistan è diverso dal Kirgizistan, dove Akayev se l’è dovuta dare a gambe levate. Deve sapere che da una parte abbiamo un dittatore che mette i prigionieri politici nell’acqua bollente, ma dall’altra un’opposizione composta in parte di fanatici islamici. difficile scegliere tra un dittatore indifendibile e il rischio che il paese diventi islamico. L’Asia centrale è secondo molti il nuovo ”granaio” del terrorismo. Si dice che nell’area ci sono numerosi campi di addestramento di Al Qaeda. Ed è probabile che a breve nella zona ne vedremo molte di situazioni di questo tipo». [10]

Kazakistan, Kirgizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan: c’è da farsi venire il mal di testa.
«Le cinque Repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale, turcofone e i cui confini rappresentano grossomodo l’antico Turkestan, sono un territorio che ha sempre scatenato gli appetiti delle potenze vicine. Avrà sentito parlare di Kipling, quello del Libro della giungla, magari ha visto il cartone animato. Bene, fu lui a parlare nel diciannovesimo secolo del cosiddetto ”Grande gioco”, un meccanismo geopolitico cui diede dignità letteraria. Oggi quel congegno è un cliché da aggiornare in fretta, quanto più le amministrazioni di Kazakistan, Kirgizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan stanno trasformando se stesse e l’intera area sotto il loro controllo. La partita del Caspio, il grande lago su cui i cinque paesi si appoggiano e che costituisce il loro imprescindibile centro di gravità, combina insieme molto denaro, grandi ego, e altrettanto considerevoli ambizioni delle compagnie petrolifere occidentali. Sa quale sarà secondo me il prossimo paese centroasiatico a scoppiare?». [9]

 una domanda?
«Lasci perdere, glielo dico io. Il Kazakistan: c’è il petrolio, gruppi etnici diversi, un dittatore corrotto. Ma potrebbe toccare pure al Tagikistan, con i talebani che vivono oltre il confine». [9]

A proposito di talebani: ora che se ne sono andati, tutto bene in Afghanistan, vero?
«Ma dove vive? La settimana scorsa hanno pure rapito una trentaduenne italiana, Clementina Cantoni. Lavora per Care International, stava là per aiutare le vedove del Paese a mettere in tavola il pranzo e la cena. Si sapeva che fuori dalla capitale era meglio tener gli occhi bene aperti, ma si pensava che almeno a Kabul la sicurezza fosse garantita, invece può capitare anche lì di esser rapiti da bande di delinquenti. A Washington hanno dovuto ammettere che ci sono dei problemi quando s’è scatenata la rivolta per un articolo di ”Newsweek” in cui parlavano di Corani strappati e gettati nei cessi a Guantanamo, così, tanto per far dispetto ai detenuti. Poi quelli del settimanale americano hanno detto che s’erano sbagliati, hanno chiesto scusa, ma intanto erano già morte una ventina di persone. E comunque una rivolta popolare non scoppia per un motivo così labile se non incrocia insoddisfazioni varie. La situazione non è certo quella dell’Iraq, ma i bisogni restano grandissimi e la sicurezza non è per nulla garantita». [11]

L’Iraq lo so: è un casino.
«Nei primi dieci giorni di maggio i terroristi hanno ammazzato trecento persone. Ad aprile sono esplose 135 autobombe, il doppio che a marzo. Al Pentagono hanno capito che invece di focalizzarsi sulla ”vecchia guardia”, cioè sull’alleanza dei militari fedeli a Saddam, è meglio cercare di neutralizzare gli estremisti stranieri, che continuano ad approfittare delle frontiere-colabrodo dell’Iraq, specie sul versante siriano, e che costituiscono la manovalanza degli attacchi suicidi. In questo quadro è già stato ordinato il rafforzamento delle postazioni vicino alle strade di infiltrazione. Earl Sheck, un dirigente dell’agenzia dell’intelligence militare, ha ammesso in un’udienza al congresso che combattenti e munizioni continuano a entrare in Iraq da tutti i paesi confinanti. Saadoun al-Dulaimi, il neoministro della difesa di Bagdad, dice che l’Iraq è diventato un crocevia del terrorismo internazionale. Il problema sono i giovani militanti islamici provenienti dall’Arabia Saudita, dall’Egitto, dalla Giordania, dalla Siria, dall’Iran». [12]

L’Iran è quello che vuol fare la bomba atomica, vero?
«Più o meno. Teheran ha appena informato Gran Bretagna, Francia e Germania che dopo sei mesi di interruzione riprenderà il programma di arricchimento dell’uranio. Però sostiene che l’operazione ha un carattere pacifico, che il nucleare gli serve per produrre energia, non bombe. [13] Resta il fatto che quando due anni fa gli ispettori dell’Agenzia Onu per l’energia nucleare andarono in Iran per controllare, non credettero ai loro occhi: praticamente da soli - magari con un aiutino del pachistano - gli ingegneri nucleari di Teheran erano arrivati a uno stadio così avanzato da sorprendere e preoccupare. A me però preoccupa di più la Corea. Quella del Nord, ovviamente». [14]

Ovviamente.
«Ha completato l’estrazione di barre di combustibile spento dal suo reattore nucleare di Yongbyon: ciò significa che è pronta a estrarre il plutonio necessario alla fabbricazione di bombe atomiche. [15] La Casa Bianca insiste col negoziato a sei, che coinvolge anche Cina, Giappone, Russia e Corea del Sud, ma è un sistema che non funziona. E Kim Jong Il continua ad alzare il prezzo del disarmo, chiedendo sempre più cibo e carburante. Il fatto è che, come dice Bush, anche se non sappiamo se quelle armi le ha veramente è meglio agire come se le avesse. Sa qual è il paradosso: che tra tutti quelli che hanno meno paura sono i sudcoreani». [16]

Cioè?
«A Seul pensano che quelli di Pyongyang saranno pure fratelli di un altro pianeta, ma sono pur sempre fratelli. La capitale è vicinissima al confine, ampiamente entro la gittata dei missili nordcoreani, ma ai suoi abitanti non importa granché: basta vedere quanto costano gli appartamenti. Il quotidiano ”Munhwa Ilbo” ha fatto un sondaggio dal quale si evince che solo il 33% dei sudcoreani ha come maggiore preoccupazione il regime di Kim Jong Il, mentre il 39% ha paura di Bush. E quasi un sudcoreano su due fa sapere che in caso di attacco americano senza il consenso del proprio governo sarebbe pronto a schierarsi con gli aggrediti piuttosto che con gli aggressori. [17] Sa cosa le dico? Per quanto ci riguarda, più che con la questione nucleare, la Corea potrebbe influenzare le nostre vite con la ricerca sulle staminali». [18]

Sarebbe a dire?
« notizia di giovedì che un gruppo di ricercatori dell’università nazionale di Seul ha realizzato undici linee di cellule staminali su misura geneticamente identiche a quelle di undici malati tra i 2 e i 56 anni afflitti da diabete giovanile, lesione del midollo spinale, deficienza immunitaria. Si tratta del team diretto da Woo Suk Hwang, lo stesso che nel 2004 aveva clonato un embrione umano fino allo stadio di blastocisti, la fase che precede l’impianto nell’utero. Queste cellule non serviranno a curare, gli autori della ricerca l’hanno detto chiaramente, perché è assai probabile che abbiano gli stessi problemi patologici dei pazienti da cui sono state clonate. Tanto è bastato però perché in molti prendessero a parlare di scienza fuori controllo. Gli ottimisti dicono invece che è la svolta che aspettavamo, fondamentale per arrivare un giorno alla cosiddetta clonazione terapeutica. Secondo me da quella parte del pianeta è più probabile che arrivi una terribile malattia piuttosto che una formidabile cura». [18]

Ci mancava questa...
«Avrà sentito parlare del cosiddetto virus dei polli? In Cambogia, Vietnam, Corea, continua a far strage tra i pennuti. Dovrebbe sapere che il ministero della Sanità inglese ha deciso di acquistare 14 milioni e 600 mila dosi del farmaco antivirale per fronteggiare il pericolo di un’epidemia d’influenza aviaria. L’Organizzazione Mondiale della Sanità dice che se il micidiale virus H5N1 dovesse convertirsi in una variante umana avremmo cento milioni di morti. Secondo gli esperti del ministero della Sanità inglese la pandemia è ormai inevitabile. Saranno pure dei catastrofisti, ma intanto l’epidemia d’influenza del 2005 è stata la più pesante, per portata e diffusione, degli ultimi sette anni». [19]

Disoccupazione, terrorismo, bombe atomiche, invasione dei cloni, epidemie: a sentir lei tutte le nostre paure hanno a che fare con l’Asia.
«La mia sarà pure una fissazione, però potrei andare avanti ancora a lungo, caro lei. Ma lo sa che a metà novembre i satelliti hanno fotografato un’immensa nuvola di inquinamento che ricopre quasi interamente Cina e India....». [20]