Varie, 8 febbraio 2006
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Koselleck Reinhart
• Görlitz (Germania) 23 aprile 1923, Bad Oeynahusen (Germania) 3 febbraio 2006. Storico • «Amava dire di sé che era uno storico generale. O, ancora più volentieri, di essere un profano degli studi specialistici. È stato, probabilmente, uno degli ultimi grandi storici capaci di aderire alla richiesta di Johan Gustav Droysen, che pretendeva dallo storico uno sguardo aperto, che questi sapesse tutto e che si formasse alla sua disciplina proveniendo da studi esterni alla storia: dalla scienza politica, ad esempio. Il rifiuto dello specialismo da parte di Koselleck non era soltanto espressione di una resistenza al moltiplicarsi delle storie settoriali, ma anche il portato di una tradizione, alla quale egli è rimasto sempre interno, in grado di valorizzare gli effetti di totalizzazione ricomposti dalla scienza della storia. La sua vasta produzione si situa infatti all’incrocio di diverse discipline e muove da una riflessione teorica sulla condizioni generali di possibilità della storia. Da un lato, un’idea di struttura in cui si compendia un progetto di ricerca volto a comprendere la fenomenologia politica al di là della gabbia con cui lo stato moderno ne ha circoscritto e formalizzato i limiti. Dall’altro, un’indagine sulle categorie metastoriche trascendentali che permettono la storicizzazione la genesi stessa di ciò che chiamiamo “storia”. Si potrebbe dire che Koselleck lavora in costante discussione con Carl Schmitt e Martin Heidegger. Già nel suo primo libro, Critica illuminista e crisi della società borghese (1959) - proprio come Carl Schmitt ebbe a rilevare - Koselleck eccede i profili della storia delle idee e apre un decisivo cantiere di riflessione “metodologica”. L’indagine sul pensiero illuminista viene condotta evitando di incarnarla in grandi personalità e, al contempo, concentrando l’attenzione sulla zona di scambio tra i processi sociali alimentati e tenuti in tensione dal vocabolario illuminista e il modo in cui quest’ultimo viene formandosi proprio nel concreto dei conflitti, dei compromessi e degli equilibri dinamici dell’azione e del pensiero politico. [...] Le idee dunque non agiscono nei cieli rarefatti della pura teoria. Non si connettono le une alle altre in maniera più o meno coerente offrendosi linearmente alla funzione rappresentativa dello storico. Ciò che il libro di Koselleck pone al proprio centro è al contrario la “funzione politica” assunta dal pensiero nel quadro politico che gli corrisponde. Ed in questo caso, nello spazio di neutralizzazione dell’Assolutismo. Di qui non soltantro una tesi destinata ad un certo successo - l’illuminismo come effetto di una sfera pubblica che si consolida all’interno dei meccanismi disciplinari della monarchia, nel segreto del “privato” che questa tollera come rovescio dei dispositivi attraverso i quali monopolizza l’espressione pubblica delle idee - ma la messa in opera di una riflessione costantemente rilanciata sul rapporto tra pensiero e prassi, tra concetti e storia. In La Prussia tra riforma e rivoluzione (1791-1848) (1967) - lo scritto di abilitazione che valse a Koselleck una cattedra di teoria politica - questa impostazione si fa ancora più esplicita. La storia dei concetti viene ricondotta, come sua variante interna, alla storia sociale. L’analisi della costituzione e del dibattito costituzionale tedesco nell’epoca delle Riforme eccede programmaticamente i confini disciplinari della storia giuridica e quelli, più ampi perché più indeterminati, della storia intellettuale. L’analisi costituzionale si fa qui analisi del processo costituzionale. Dunque Verfassungsgeschichte, cioè analisi del complesso intreccio dei fattori sociali, economici, amministrativi, ideali e politici della costituzione e non indagine sull’enunciato formale della Konstitution. Quanto Koselleck elabora è la “soglia” (il termine è di Hans Freyer) che agisce da spartiacque dell’esperienza politica tedesca nello spazio di tensione che si allarga tra società e stato come forma specifica del processo di modernizzazione della monarchia prussiana. [...] L’impresa principale di cui - assieme a Otto Brunner e Werner Conze - si è fatto promotore, e cioè, il Lessico dei concetti politici fondamentali di lingua tedesca (1972-1993) - lavora nel solco di quella stessa intuizione. Da un lato, la politica pensata per come si cristallizza nei suoi usi concettuali; nelle parole per mezzo delle quali si organizza e si dice. Dall’altro, una teoria del mutamento concettuale imperniata sull’analisi dei processi di democratizzazione, temporalizzazione, ideologizzazione e politicizzazione che investono il vocabolario politico nell’epoca delle Rivoluzioni. Quello che va in frantumi è un intero mondo intellettuale. Il dilatarsi della forbice tra “spazio d’esperienza” (descritto dai concetti e dal loro uso “contestuale”) e “spazio di aspettativa” (che si apre con le filosofie della storia) inaugura la possibilità di storicizzare l’esperienza del tempo e di guadagnare la possibilità del futuro: i concetti della politica vengono piegati alla pratica politica e usati per scatenare e per vincere battaglie. Se per un lungo tratto di tempo la politica è stata pensata all’ombra del motto historia magistra vitae - e cioè nella forma della ripetizione -, la transizione tra XVIII e XIX secolo inaugura la politica moderna come progettazione e sequenzialità della prassi (la morsa stringente della futuribilità del passato), organizzazione di pratiche collettive, irriducibile polemologia. [...] Koselleck teorico della storia si muove a quest’altezza. Tra Schmitt e Heidegger, si diceva. L’analisi storico-concettuale gli permette di pervenire, in termini filosoficamente più radicali, al cuore del nesso tra lingua e storia. Non solo nella forma dell’incrocio tra sincronia (il nesso tra il vocabolario e il suo contesto d’uso) e diacronia (l’asse della trasformazione che la storiografia è in grado di rappresentarsi come forma generale del processo) che gli permette di innovare profondamente la storia delle idee. Ma anche in quello dell’isolamento delle categorie trascendentali che rendono possibile la storia. Ogni storia possibile. [...]» (Sandro Chignola, “il manifesto” 7/2/2006).