[1] Massimo Lugli, ཿla Repubblica 3/5/2005; Cristiana Mangani, ཿIl Messaggero 4/5/2005; Francesco Grignetti, ཿLa Stampa 4/5/2005; Francesco Grignetti, ཿLa Stampa 1/5/2005; m. l., ཿla Repubblica 4/5/2005; m. l., ཿla Repubblica 4/5/2005; Lilli Mandara, 3 maggio 2005
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 9 MAGGIO 2005
Izzo, mostro banale, ha ucciso per 40 mila euro.
Guido Palladino ha 26 anni. Figlio di un commercialista piuttosto conosciuto a Campobasso, piccolo imprenditore nell’informatica, è segretario della cooperativa ”Città Futura”, un’associazione per il recupero dei disagiati. Ha cattive amicizie ma è incensurato, chi lo conosce dice che è «un debole di carattere». La sera di venerdì 29 aprile la polizia lo ferma nella zona di Mirabello Sannitico. Lo tengono d’occhio da tempo ed hanno intercettato una sua telefonata in cui parla di una pistola da prendere in Puglia e di una rapina in programma nei giorni successivi. Dall’altra parte del telefono c’è Luca Palaia, un ventunenne nato a Catanzaro ma residente con la famiglia a Campobasso, dove il padre è detenuto per rapina, ricettazione e altro: è stato in galera anche lui, ma è libero da nove mesi, dopo un periodo di detenzione per una partita di droga con cui fu bloccato a Cassino. La madre è in ospedale, in casa tiene un fratello transessuale che si prostituisce. Un metro e sessanta, esile, il viso scavato e i capelli neri tagliati molto corti, non dimostra più di 17 anni e a molti ricorda Nino D’Angelo. a lui che, prima di essere bloccato dagli uomini della Squadra Mobile, Palladino manda un sms: «Mi stanno fermando». [1]
I poliziotti trovano nell’Audi 6 di Palladino una pistola. L’aveva nascosta nella custodia di un computer. Quando gli chiedono dove l’ha presa, risponde che gliel’ha data sulla strada tra Bisceglie e Trani un motociclista col viso coperto da un casco integrale. E aggiunge che l’appuntamento gliel’ha fissato Angelo Izzo. Chi, il ”mostro del Circeo”? Proprio lui, quello che il 30 settembre 1975 insieme a due complici violentò e affogò nella vasca da bagno la diciassettenne Maria Rosaria Lopez, risparmiando la sua coetanea Donatella Colasanti solo perché dopo averla presa a bastonate pensava fosse morta. A fine dicembre è stato trasferito da Palermo a Campobasso, ha ottenuto la semilibertà e da allora collabora con ”Città Futura”. Intanto gli agenti hanno preso pure Palaia, che messo alle strette dice: «Andate a guardare nella villetta di Mirabello». Si tratta di una costruzione giallo ocra disposta su due piani che si affaccia su un dirupo scosceso e domina il comprensorio di Ferrazzano. Appartiene alla nonna di Palladino. I poliziotti vanno e trovano altre due pistole semiautomatiche e due documenti falsi, uno con la foto di Izzo e l’altro con quella di Palaia. Durante l’ispezione, gli agenti si accorgono che nella parte opposta al viale d’ingresso la terra è stata smossa: prima che diano ordine di scavare, Palladino e Palaia dicono che tre giorni prima Izzo ha chiesto di poter usare la villetta. E che sotto terra ci sono Maria Carmela e Valentina Maiorano, moglie e figlia del pentito Giovanni Maiorano. [2]
Maiorano compie proprio oggi cinquant’anni. stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Cristiano Mazzeo, un meccanico diciassettene assassinato a San Donato di Lecce nel novembre 1990: «Aveva parlato male di me», spiega, per questo gli sparò un colpo alla nuca e gli tagliò la testa. Gli investigatori ci misero poco a capire chi c’era dietro quell’omicidio. E Maiorano impiegò poco a capire che gli sarebbe convenuto collaborare con la giustizia: chiese di parlare con i magistrati della Dda di Bari, raccontò quel che sapeva su un paio di omicidi compiuti nel ’90 nel Salento, fu riconosciuto come «dichiarante». Dal 1994 al ’96 fu tutelato dal programma di protezione per i pentiti, ma scaduto il termine non ottenne la proroga. Nel 2004 approfittò di un permesso concessogli dal tribunale di sorveglianza di Campobasso per le feste di Pasqua e si rese irreperibile, ma fu rintracciato dagli uomini della questura di Lecce e rinchiuso nel carcere Pagliarelli di Palermo. Poiché moglie e figlia non avevano potuto seguirlo in Sicilia, saputo che il compagno di detenzione Angelo Izzo aveva ottenuto il trasferimento in Molise gli chiese di dar loro una mano. [3]
Le due donne vivevano a Gambatesa, una quarantina di chilometri da Campobasso. Valentina aveva 14 anni. Teneva un diario dove scriveva cose tipo «Mio padre mi dice sempre: se non studi non troverai lavoro, se non studi andrai a zappare la terra. Io voglio bene a mio padre e cerco di dare sempre il meglio di me, non sono più stupida degli altri, ma purtroppo non ci riesco...». E poi: «Vorrei essere un uccellino non per dirti pio pio, ma per dirti amore mio; vorrei essere un pesciolino non per fare glu glu, ma per dirti I love you...». In cameretta aveva appeso un mucchio di poster di bei ragazzi che fanno i cantanti: Eminem, i Blue ecc. Si vergognava di quel padre in carcere, e ai compagni della scuola media ”Guglielmo Josa”, classe seconda A, aveva raccontato che faceva il cuoco. Ma il paese è piccolino, appena 1.800 abitanti, tutti sapevano la verità e la prendevano in giro: «Sì, è vero, tuo padre cucina le teste dei morti, dopo averle tagliate». Lei però non se la prendeva: se Gina, Maria Grazia o Maria Rosaria le chiedevano in prestito un foglio, lei dava il quaderno intero. Se una di loro non aveva i soldi per il circo, chiedeva aiuto alle professoresse. [4]
Mamma Maria Carmela lavorava saltuariamente come badante. Siccome dopo un po’ si stufava e lasciava soli i vecchietti, gli impieghi le duravano poco. Don Giuseppe Nuzzi, parroco di Gambatesa, racconta che le aveva trovato lavoro in una fabbrica di jeans del fondovalle, ma che presto l’avevano cacciata per le troppe assenze. Da allora, per campare la Linciano (così si chiamava da signorina) chiedeva sussidi in Comune. Negli ultimi tempi era arrivato pure lo sfratto dall’appartamento di via Dietro gli Orti 22, due stanze e un bagno. Il sindaco Emilio Venditti le aveva prontamente offerto una casa popolare, ma lei diceva che preferiva andare a in città, dove grazie a un amico (Izzo?) aveva trovato alloggio e lavoro. [5]
Alle nove di mattina del 28 aprile, mamma e figlia presero la corriera per Campobasso. Tra quelli che le videro con la valigia, qualcuno pensò che forse stavano partendo per la Germania, come andavano dicendo da tempo, ma è probabile che fosse un’idea di chi voleva farle sparire perché nessuno prendesse a cercarle. In realtà avevano appuntamento alle tredici davanti al ”Roxy hotel”, un albergo chiuso, di fronte ai giardini comunali.
(segue dalla prima pagina) Con qualche minuto di ritardo, arrivò una macchina scura. A bordo, Palaia e Izzo. Un cenno di saluto e poi via verso le campagne di Ferrazzano. «All’andata non s’è quasi parlato», ha raccontato Palaia. Il tragitto durò a malapena dieci minuti. Non erano nemmeno le tredici e trenta quando varcarono il cancello di Mirabello. [6]
Era una calda giornata di fine aprile. Palaia racconta che entrarono con la scusa di un breve giro. Poi ci sono diverse versioni. La prima: «Io tenevo bloccata la madre sotto la minaccia di una pistola. Angelo Izzo ha preso la ragazzina e si è chiuso in una stanza. Ci sono rimasti circa mezz’ora. Quando lui è uscito, Valentina era morta. A quel punto Angelo ha ucciso anche la donna, soffocandola con un sacchetto di plastica». La seconda: «Izzo ha fatto in modo di separare le due donne. A Valentina ha detto di aspettare un attimo in salotto. Non ricordo bene che cosa ha detto. Mi pare: devo dire una cosa a tua madre. E s’è avviato in cucina. Io gli sono andato dietro. Non potevo credere a quello che vedevo, mi sembrava di sognare. Sono rimasto impietrito. Non riuscivo più nemmeno a muovere una gamba o un braccio». A questo punto, continua Palaia, Izzo tira fuori di tasca una pistola e la punta contro la donna, che sorpresa tenta di difendersi ma prende una gran botta alla tempia destra con la canna dell’arma. Senza una parola, Izzo la fa velocemente girare di spalle, tira fuori dalle tasche un paio di manette comprate in un sexy shop e le blocca i polsi. Quindi agguanta un rotolo di scotch da pacchi, con il primo pezzo le chiude la bocca, col secondo le fascia la testa serrando pure il naso. La Maiorano capisce che quell’uomo la sta uccidendo, si agita, cade in terra, scalcia (l’autopsia evidenzierà un largo ematoma sulla coscia sinistra), ma Izzo prende un sacchetto di cellophan e glielo cala sulla testa sigillandolo con altro scotch. Palaia guarda senza parlare. Due-tre minuti ed è fatta. [7]
Mentre Palaia imbambolato guarda il cadavere, Izzo esce dalla stanza. Forse Valentina è meravigliata dalla lunga attesa. Forse no. In fondo, di quell’Angelo si fidavano sia sua madre che suo padre, le aveva aiutate in tante maniere. Fatto sta che quello la ammanetta con i polsi legati dietro la schiena, le mette scotch sulla bocca, scotch sul naso, la spoglia, le infila un sacchetto di plastica in testa. Palaia dice che quando lo raggiunge la ragazza è già morta. Portano i corpi in giardino, sotto un ciliegio a circa duecento metri dalla casa, infilano i cadaveri in delle buste di plastica, Izzo indica una pala e ordina: «Scava». Alla fine, per evitare che si spargano in giro cattivi odori, coprono tutto con la calce. Risalgono in macchina, chiudono il cancello, Izzo guarda l’ora: non sono ancora le quindici. [7]
E Palladino? Ha un alibi di ferro: quel giorno è stato quasi sempre in compagnia della fidanzata. Dice che i due gli hanno raccontato del delitto la sera stessa, che Izzo l’ha minacciato («se non fai come diciamo noi, la tua fidanzata fa la stessa fine»), confida di aver avuto «paura di essere la terza vittima», confessa di aver abbondantemente innaffiato la terra smossa nel tentativo di far sparire ogni traccia. Infine racconta che Izzo gli ha spiegato di avere dovuto uccidere le due donne perché testimoni di un altro omicidio. Secondo gli inquirenti è una bugia dell’assassino per spaventare gli amici. [8]
Qual è allora il movente? La prima ipotesi, un delitto su commissione della mafia per punire il pentito Maiorano, non regge: nessun mafioso di calibro avrebbe affidato un’esecuzione a un tipo come Izzo. Allora un raptus sessuale, come trent’anni fa, nella villa del Circeo? Trovando Valentina nuda, gli investigatori hanno subito pensato che fosse stata violentata, ma l’autopsia l’ha negato. Il fatto che le due donne non siano state violentate (non in senso tecnico almeno) non esclude l’ipotesi di reato che può essere consumato, secondo la legge, in molti modi. I rilievi istologici sulle salme richiedono 90 giorni. Izzo potrebbe aver tentato e fallito, e questo spiegherebbe la follia omicida. Si sa che il suo pene troppo corto (lo chiamano «iposviluppo anatomico») è in parte all’origine dei suoi problemi, che ha avuto rapporti omosessuali in carcere, che ha una storia d’amore con lo stesso Palaia. [9]
«A me piacciono le ragazzine». Lo diceva spesso Izzo, una volta anche a Vincenzo Cimino, direttore del mensile ”Perché?”, che ha la redazione sopra ”Città Futura”: «Mi sembravano sbruffonate, in realtà Izzo, spesso, aveva degli atteggiamenti strani, direi quasi effeminati. E non l’ho mai visto in compagnia di una donna, né mi ha mai detto di aver avuto relazioni sentimentali da quando aveva ottenuto la semilibertà». L’ipotesi del raptus ha però un punto debole: Izzo è andato nel casolare sapendo che avrebbe ucciso, lo prova il fatto che aveva fatto comprare la calce già il 19 aprile. Il movente va cercato da qualche altra parte. [9]
Mamma e figlia avevano appena di che sopravvivere. Ma possedevano un piccolo patrimonio: un terreno agricolo che i genitori adottivi di Maria Carmela - morti tre anni fa - le avevano lasciato in eredità a Galugnano, vicino Lecce, il paese di origine. Terreno che la donna, tra gennaio e febbraio, era riuscita a vendere per 40mila euro (forse più). Ma cosa aveva fatto di quei soldi? Certo non li aveva spesi, visto che continuava a vivere quasi in miseria. E come aveva fatto a incassare l’assegno versato dall’acquirente, visto che non possedeva neanche un conto corrente? [10]
probabile che la Maiorano avesse chiesto aiuto a Izzo. Il marito ha raccontato ai giudici che negli ultimi tempi l’’amico” gli aveva spedito ben 36 lettere per spiegargli che voleva aprire una pizzeria con la sua famiglia. Lui avrebbe partecipato alla società mettendo a disposizione un casale dei genitori a Frasso Telesino, in provincia di Benevento. Izzo avrebbe raccontato al suo avvocato che era riuscito a farsi affidare i soldi. Si spiega allora perché quelli di Città Futura raccontano che sempre più spesso le vittime andavano a trovarlo sul lavoro. Forse volevano chiederli conto dell’investimento, può essere che avessero addirittura chiesto la restituzione della somma. Per questo sarebbe stata uccisa Maria Carmela. Valentina avrebbe avuto la stessa sorte solo inquanto testimone, «altrimenti non le avrei torto un capello». Se fosse così, perché Valentina era nuda? Perché l’ha spogliata prima di ammazzarla? Perché l’ha ammanettata, le ha legato i piedi, l’ha soffocata con il nastro isolante? Perché ha infierito su di lei in quel modo? [10]
Può essere che sia andata in un altro modo. Forse Maria Carmela non si fidava e non aveva tirato fuori i soldi. Forse era stata attirata in trappola per farla parlare, per farle dire dove teneva il gruzzolo. Quattro giorni prima dell’omicidio la porta di casa Maiorano era stata forzata: chi mai può aver tentato un furto in un’abitazione di poveri? Forse Izzo intendeva torchiare a fondo la donna e la sua bambina, per sapere dove fosse nascosto il denaro, e poi ucciderle. La piccola Valentina sarebbe stata spogliata, minacciata di violenza carnale, seviziata e uccisa sotto gli occhi della madre nell’estremo tentativo di farla parlare. Forse il ”mostro del Circeo” sta nuovamente cercando di imbastire una versione di fatti che lo renda meno mostruoso. [10]