La Repubblica 07/02/2006, pag.1-43 Francesco Merlo, 7 febbraio 2006
Blasfemia e libertà. La Repubblica 7 febbraio 2006. Oliviero Toscani, che è il genio della trasgressione italiana, nella sua fattoria di Casale produce un olio di qualità che aveva pensato di pubblicizzare utilizzando l´immagine della Madonna di Raffaello: "Vergine"
Blasfemia e libertà. La Repubblica 7 febbraio 2006. Oliviero Toscani, che è il genio della trasgressione italiana, nella sua fattoria di Casale produce un olio di qualità che aveva pensato di pubblicizzare utilizzando l´immagine della Madonna di Raffaello: "Vergine". E sotto, accanto alla foto dell´olio: "Extravergine". Questa pubblicità fu respinta da un grande giornale laico che esercitò in questo modo il suo diritto alla libertà di stampa, considerata come sorella delle buone maniere, una virtù gentile che non può convivere con la bestemmia o con ciò che appare come tale. Toscani, pur ritenendosi un trasgressore ma non un bestemmiatore, decise di non insistere. Se avesse voluto, quella pubblicità sarebbe certamente uscita da qualche altra parte. In un Paese civile infatti la libertà di stampa è il pluralismo, che è anche la libertà di non pubblicare, di non violare i propri codici di decenza e di rispetto. Non stampare una bestemmia non è censura, che è invece il divieto assoluto di stampare. Nei paesi dell´Occidente ci sono mille posti dove ognuno può esprimere quello che vuole. Io non faccio qualcosa che altri faranno, e gli altri che la faranno sanno di non essere per questo più liberi di me. Così, per esempio, La Padania e Libero, due dei quotidiani italiani dove sono state riprodotte le bestemmie antiislamiche, hanno codici diversi da Repubblica che, a sua volta, li ha diversi da quel giornale danese che, come ha notato Umberto Eco intervistato in tv da Fabio Fazio, è di estrema destra e per primo ha pubblicato la satira su Maometto dopo avere pubblicato, in passato, vignette antigiudaiche. Insomma, rifiutarsi alla blasfemia è purissima libertà di espressione, coniugata con il civile controllo degli istinti. E si sa che il controllo degli sfinteri e il controllo della penna sono virtù complementari, che c´è un rapporto stretto tra la fogna e la grammatica, gemelle in civiltà. In Italia, almeno in teoria, è proibito bestemmiare la Divinità, sia essa cristiana o ebrea o musulmana o buddista o scintoista o confuciana. Non più reato penale, l´insulto alla Divinità è sanzionato con una multa di 51 euro: meno dell´eccesso di velocità, più della sosta vietata. Tuttavia, la sanzione non è diffusamente applicata e i bestemmiatori sono in calo perché la secolarizzazione comporta un abbassamento della vocazione e quindi anche dell´invocazione e dell´imprecazione. Diminuiscono i preti e i bestemmiatori, con grande sofferenza dei "teocon" che sono preti bestemmiatori. Officiano la religione come cemento comunitario, ma deprecano l´assenza di Dio e imprecano contro Dio ché si ostina a non esserci. Eppure, sempre in teoria, chi in un bar dicesse "porco Giove" potrebbe essere denunziato ad un vigile urbano. Filologicamente è una bestemmia anche "per Bacco". Si continua a bestemmiare un Dio ormai rovinato dai Cieli e ridotto a metafora degli alcolisti. Rimangano in uso imprecazioni contro Dei in disuso. E qualche volta la bestemmia si tramuta nel suo contrario: da insulto ad attributo di Dio. Nel suo Il nome della rosa Umberto Eco racconta che i domenicani volevano rendere inaccessibile la Poetica di Aristotele dedicata alla commedia, perché il ridere - sostenevano - è blasfemo, quanto di più affine al ghigno del demonio. Le pagine vennero dunque spolverate di veleno, in modo da uccidere il lettore che si fosse leccato il dito. Il problema fu allora risolto con i guanti. Se oggi non ce n´è più bisogno è perché nulla è considerato più divino della risata di Dio. Di solito chi bestemmia si sente vittima di una disgrazia assoluta, della quale può essere responsabile solo l´Assoluto. In Italia abbiamo anche la bestemmia come intercalare, diffusissimo in Toscana, dove c´è un intreccio forte tra la fede e il rifiuto della sudditanza al Papa che in età medievale, dantesca, divenne ghibellinismo. La bestemmia come intercalare è il nostro protestantesimo, il nostro antipapismo. L´Islam invece non contempla la bestemmia. E´ vero che l´Islam nei suoi secoli di splendore accompagnava le scoperte scientifiche e le vittorie militari con l´ironia dell´esclamazione "per la barba del profeta!". Mai come oggi però Muslim significa sottomesso. La forza di quella religione, specie nell´attuale decadenza selvaggia e feroce, non solo non prevede l´ironia, ma sta tutta nella sottomissione all´essenza divina, a quel che viene da Dio, ai poliziotti e ai sacerdoti di Dio, alle guardie armate del Corano, alle autorità islamiche cui spetta l´ultima parola su ogni cosa, dalla politica alla morale, dall´abbigliamento all´amore. Perciò la bestemmia è vissuta come una dichiarazione di guerra, non a Dio, ma al regime che ha la presunzione di interpretare Dio. Nella nostra bestemmia c´è, al negativo, un riconoscimento dell´assoluto, una fede rovesciata. I musulmani invece danno alla bestemmia un significato politico perché per loro la religione è politica, è forza, è potere mondano. In questo senso tutto l´Occidente è blasfemia, è il mondo degli infedeli che se non si sottomette ad Allah, al profeta e ai califfi, deve essere distrutto. Con l´occhio vitreo dell´ossessione, tutte le religioni diventano bestemmia, l´una contro l´altra: anatemi lanciati reciprocamente, delegittimazioni dei rispettivi Dei. Per i musulmani, Gesù, al di là dei sempre più numerosi e petulanti glossatori del Corano, è solo un corpicino rinsecchito su una croce, su uno strumento di tortura per delinquenti. così che lo raccontano. Al massimo gli riconoscono il dono della profezia. Ma non possono certo ammettere che Dio finisca in croce. Ebbene, contro questa bestemmia sovrana i cristiani non bruciano i consolati e non assaltano le ambasciate, non uccidono Imam. Come si vede, sono mille i motivi che ha un laico per vedere nella bestemmia al Dio degli altri la peggiore delle bestemmie, un arretramento dalla ragione, dalla civiltà. E´ infatti incivile stabilire un contatto con l´altro, con il diverso da te, bestemmiando il suo Dio. Con quello della tua tradizione e della tua famiglia, tu hai comunque una irrisolta, automatica, istintiva identificazione. Puoi permetterti di prendere per il bavero il Dio «che atterra e suscita, che affanna e che consola»: gli chiedi spiegazioni, lo inchiodi, lo processi. E lo bestemmi in una presunzione di familiarità che ti permette di giocare una partita diretta con lui. Perciò la nostra blasfemia è anche letteratura popolare, a volte trasgressività creativa, al punto da mascherare, nell´insulto, Dio con "zio" o con "pio". Lo nominiamo invano fingendo di non farlo, bestemmiamo Dio facendo l´occhiolino a Dio. Ma bestemmiare il Dio dei musulmani, che pensano di essere fedeli esecutori in terra politica di un disegno divino, significa solo irritarli, provocarli e sfotterli politicamente. Fare la caricatura del Profeta forse non è bestemmia in senso stretto ma è un´empietà banale e aggressiva, e non ci pare che c´entrino né l´illuminismo né Voltaire. E difatti quelle sciocche vignette, che i musulmani in rivolta non hanno neppure visto, sono l´alimento dell´estremismo politico, un´altra scusa per tenere viva la fiaccola della rivincita, per mettere in stato d´allarme l´Occidente e ricattarlo, per alimentare i vittimismi nazionalistici ed etnici ora che le azioni di Bin Laden sono in ribasso. Perciò alla fine la bestemmia c´entra poco in questa campagna di delirio. La bestemmia è solo un pretesto, uno di quei dispositivi accidentali attraverso i quali si cerca di divulgare e rendere attivo un elemento di contesa tra i popoli, un alibi per lo scontro di civiltà. La bestemmia come pretesto della Storia, dunque. Come il naso di Cleopatra, o il dispaccio di Ems che scatenò la guerra franco prussiana, come lo sparo di Sarajevo, come le armi di distruzione di massa che Saddam Hussein non possedeva. Francesco Merlo