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 2006  febbraio 09 Giovedì calendario

Il faraone dà lezione. L’Espresso 9 febbraio 2006. Jeans, camicia bianca sbottonata, giubbotto. E l’ultimo modello di cellulare usato come ufficio portatile

Il faraone dà lezione. L’Espresso 9 febbraio 2006. Jeans, camicia bianca sbottonata, giubbotto. E l’ultimo modello di cellulare usato come ufficio portatile. L’uomo smilzo che nella hall del lussuoso albergo romano sembra la versione egiziana del play-boy, è il nuovo arrivato del ricco business della telecomunicazione mobile italiana: Naguib Sawiris, 51 anni, famiglia di facoltosi imprenditori del Cairo, il conquistatore di Wind. L’acquisto della società dall’Enel non è stato privo di polemiche, sia perché Sawiris ha bruciato sulla linea d’arrivo il fondo americano Blackstone, sia per l’uso di un discusso intermediatore dell’affare, Alessandro Benedetti. Inoltre, la sua prima mossa da nuovo padrone è stata quella di far fuori lo storico manager di Wind, Tommaso Pompei. Mentre cresce l’accerchiamento straniero a Tim, che resta l’unica compagnia italiana (non lo sono né Vodafone né 3), tutti si chiedono chi sia davvero e cosa abbia in testa il nuovo protagonista. Ecco, in questa intervista esclusiva per "L’espresso", una sintesi del "Sawiris style". Lei è entrato nelle telecomunicazioni europee nel momento peggiore: tutti gli analisti sono negativi sul settore. Non è preoccupato? «No. Se France Telecom va giù del 9 per cento, allora anche tutti gli altri dovrebbero andare male? Direi invece che è France Telecom che ha un problema». E secondo lei qual è questo problema? «Sa qual è in assoluto la peggiore teoria economica? Il comunismo». La pensa come il nostro presidente del Consiglio. Ma cosa c’entra con France Telecom? «Che è un ottimo esempio di come funziona una società quando è di proprietà del governo: vuol dire che non ha nessun padrone. Così tutti possono prendersela comoda, o magari fare i disonesti... come se quello fosse denaro di nessuno. L’amministratore delegato di una società pubblica, se il titolo va giù del 9 per cento, non si preoccupa, tanto resta al suo posto. Ma quando il padrone è Sawiris, le cose cambiano: se il titolo crolla, è il mio denaro che brucia». Insomma, lei si sente al sicuro. «Certo. Orascom è cresciuta del 30 per cento mentre France Telecom crollava del 9: la sua capitalizzazione è passata da 11 miliardi di dollari a 14. E dipende tutto dal management. per questo che ho comprato Wind. Quando sono entrato nella società ho visto che tutto si faceva pian piano, tutto veniva rinviato all’indomani. La gestione non poteva che migliorare». Uno stile di lavoro "mediterraneo": ne dovrebbe sapere qualcosa. «Se entri negli uffici di Orascom al Cairo, non hai tempo di dire buon giorno». Come c’è riuscito? «La prima linea dei miei collaboratori è fatta di sette persone, e sono tutti milionari. Il più povero possiede un patrimonio di 4 milioni di dollari. Soldi fatti con le stock options che ho distribuito. Perciò non dormono mai: ogni volta che il titolo va su, loro guadagnano. Ma se qualcuno di loro non è sempre raggiungibile, è nei guai. Perché io sono raggiungibile 24 ore su 24». Non è troppo esigente? «Vede, questo è un business delicato. un servizio alle persone, e se c’è un guasto ci può essere la rivoluzione. Chi lavora nei servizi deve sempre essere disponibile. Sono andato a France Telecom per un affare importante e come mi rispondono? Sono le cinque, si va a casa... Chiedo un appuntamento: vado in vacanza, se ne parla più in là... Ma le decisioni non possono aspettare che finisca l’estate». Tornando agli analisti, loro si riferiscono all’intero settore delle tlc europee. «Perché non vengono privatizzate». Telecom Italia è privatizzata da tempo. «Ma forse Tronchetti ci ha messo troppo a capire il business. forte nella finanza, ma la sua strategia non è chiara». Un esempio? «Quando Tim è andata in Turchia ha strapagato la terza licenza dei cellulari: 4 miliardi di dollari. Il doppio del valore di ciò che comprava. E perché? Perché la sua offerta alzava l’asticella per un quarto entrante, e nessun altro si sarebbe fatto avanti. In questo modo Tim ha di fatto finanziato i primi due operatori, Turkcell e Telsim, senza averne alcun beneficio. Un altro esempio? L’America latina. Lì Telecom era forte, ma ha cominciato a vendere prima che gli assett fossero maturi. Tim dice di voler essere solo un operatore nazionale, ma poi va in Tunisia, dove si privatizza la compagnia nazionale... un’insalata mista, non una strategia». Qual è invece la sua strategia? «Per me era importante avere un piede in una zona stabile del mondo come l’Europa, ed essere vicino alla tecnologia europea del Gsm, che è quella vincente». Perché proprio Wind? «Perché era gestita male. Perché, tramite Enel, era dello Stato». Il solito problema del comunismo? «Mettiamola così: l’Enel è quasi un monopolio, ogni volta che accendi la luce riempi le sue casse. Ogni volta che Wind aveva bisogno di soldi, bussava all’Enel. Cosa succede adesso? Pompei si è presentato dicendo che aveva bisogno di un miliardo. Gli abbiamo detto: ti diamo solo 800 milioni di dollari. Come è possibile? Adesso Orascom, insieme ad Hutchinson, è il più grande acquirente al mondo di tecnologia Gsm. Questo ci permette di spuntare il prezzo migliore. Per le stesse forniture, possiamo risparmiare 100 milioni di euro all’anno. E altri 150 ne risparmiamo in razionalizzazioni». Questo solo perché c’è un padrone privato? «Perché i soldi escono dal mio portafoglio». Quanto dura in media un manager nella sua compagnia? «Per sempre». Non licenzia mai nessuno? «No. Licenzio solo chi non è onesto. Se uno è stupido, non lo cacci: gli dai un lavoro stupido». Ma in Wind non dovete ridurre il personale? «Sì: 300 persone, ma vogliamo farlo in maniera civile. Se uno accetta di andare via con un po’ di soldi, ok; se no, gli si offre un’altra collocazione nella società. Alla fine saranno pochissimi a lasciare». E nel top management, dopo l’uscita di Tommaso Pompei, ci saranno altri terremoti? «No, il team, dopo l’arrivo di Paolo Dal Pino, è a posto». Sarà spesso in Italia per seguire il lavoro? «Io seguo tutte le mie otto società ogni giorno. Sul telefonino mi arriva un sms con la cifra di quante schede prepagate abbiamo venduto, di quanti nuovi abbonamenti abbiamo concluso, e il totale del fatturato. In ogni momento so quanto guadagno, dal Pakistan all’Algeria. Adesso riceverò lo stesso messaggio per Wind». Cosa succede se un sms porta cattive notizie? «Se invece di guadagnare, poniamo, 25 mila dollari, mi arriva un messaggio che quel giorno siamo cresciuti solo di 10 mila, chiamo per chiedere cosa succede. Se non cambia niente, dopo tre giorni mando un team dal Cairo. Dopo dieci giorni, è quel manager che viene al Cairo». Cosa vuole cambiare di Wind? «Oggi Telecom Italia è praticamente un monopolio: non sono stati corretti nell’apertura del mercato. E l’Authority è stata, francamente, poco incisiva. Ma ci sono anche le colpe di Wind. I suoi manager, in passato, andavano a piangere con l’Authority. Ma non sempre erano inattaccabili. Ora voglio cambiare stile. Per diventare più professionali occorre fare pulizia in casa nostra, poi ci potremo presentare senza complessi ai regolatori». Cosa intende con il "pulire casa"? «Per esempio: un processo decisionale prima ci metteva tre mesi; ora lo facciamo in sei giorni. Come mai? Perché una volta alla settimana ci sediamo insieme nella stessa stanza, e si firmano le stesse carte. In un’ora, è tutto finito». Che posto vuole dare a Wind nel mercato? «Non vogliamo entrare nella guerra del mobile che c’è oggi tra Tim, Vodafone e 3. Siamo contenti di aver comprato la compagnia telefonica migliore per la fascia di utenti di reddito medio-basso. Nel futuro svilupperemo qualcosa anche per la fascia alta, ma non voglio parlarne per ora». Non è forse vero che state perdendo clienti a favore di 3? «Solo quelli che prendono il cellulare che 3 gli regala, poi vanno a Napoli e ci mettono dentro la carta di Wind. L’unico che perde verso 3 è Vodafone». Costruirete nuove linee fisse? «Sì: tutto ciò che ci serve è che il regolatore e il governo ci supportino seriamente per aprire il mercato». Volete crescere sul fisso: perché sfidare un operatore dominante come Telecom Italia, quando tutti dicono che la convergenza si farà sul mobile? «Vedere un film sul telefonino è ridicolo: io lo vedo in tv o al cinema. Se ricevo un messaggino, devo usare gli occhiali.». Non la attrae l’idea di una media company? «Vogliamo una cosa semplice: mantenere la quota di mercato sul mobile, aumentare quella sul fisso, basata su dati, voce e banda larga. La differenza tra noi, Tiscali e Fastweb è che abbiamo tutto il denaro che serve per fare ciò che vogliamo». Ha fatto un buon affare comprando Wind? «Abbiamo pagato un prezzo alto. All’Enel non importava che a vincere fossi io o il fondo Blackstone, ma di incassare più soldi. La mia offerta era più alta di 200 milioni di euro su 12 miliardi, cioè il 2-3 per cento. Ma io conosco il mio business meglio di una società finanziaria». Lei ha pagato 400 milioni di euro di commissioni tra banche e l’advisor Alessandro Benedetti. "L’espresso" ha calcolato che a Benedetti siano andati 90 milioni, anche se lui ha smentito. Non le sembra un prezzo alto? «Quando si è trattato di discutere il "fee", sono andato da una banca non coinvolta nell’operazione. Ho pagato 50 mila euro perché mi dessero un’opinione sulla struttura del "fee", perché avevo lo stesso feeling. Loro mi hanno detto che andava bene. D’altra parte Benedetti ha lavorato per me per due anni e mezzo, senza chiedermi nulla, ha sopportato dei costi a suo rischio, quindi il conto alla fine non è risultato spropositato». Come mai il suo partner Wilbur Ross alla fine si è dileguato? «Wilbur Ross doveva venire all’incontro più importante con l’Enel, quello definitivo. Ma non si è presentato. Così sono andato alla banca che doveva finanziarci e ho detto: ok, vado avanti da solo, datemi le lettere di accredito. Sei pazzo, è un "big risk", Wind è molto indebitata, ci puoi rimettere i soldi... Il denaro è mio, il rischio è mio. Sono andato al meeting, e Paolo Scaroni mi ha chiesto: dov’è Ross? E io: se non è qui, non è nell’affare. Faccio da solo. Coraggioso, no?». Per finanziare l’acquisizione, le banche hanno chiesto denaro al mercato. Hanno avuto successo, ma pagando un bel prezzo. «No: dovevamo piazzare a 11, poi abbiamo chiuso a 9,75. Con una richiesta di sottoscrizione che era il triplo dell’offerta. Se presti a uno che non hai mai visto un miliardo e 200 milioni in nove giorni, vuol dire che quello ti ha convinto. Il punto è questo: ho iniziato con 60 milioni di dollari, soldi fatti da me, non me li hanno dati né papà né mammà, e oggi in sei anni la mia società ha una capitalizzazione di 14 miliardi di dollari». Un capitalista tutto d’un pezzo. «Sì, ma ho un cuore di sinistra. Nessuno nel mio paese fa del bene più di me per i poveri e per i malati. E non ho mai fatto nulla su pressioni politiche. Sono un muro: ogni volta che un politico mi dice: non cacciare quest’uomo, è licenziato». Vuole quotare Wind: quanto denaro conta di raccogliere? «Due miliardi di dollari». Ha mai incontrato Berlusconi? «Sì, ma solo recentemente. L’ho trovato meglio che in televisione». L’Enel ha deciso di restare in affari con lei, entrando in Weather, la società con cui controlla Wind e che porterà in Borsa. Come mai? «Enel ha fatto il miglior affare della sua vita. Il valore di Wind con il nuovo management è già del 20-30 per cento superiore. Raddoppierà in fretta». Paola Pilati