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 2006  febbraio 01 Mercoledì calendario

I segreti della polvere di Luna. TuttoScienze La Stampa 1 febbraio 2006. «Sembra neve». «Ma è tremenda, non si stacca mai»

I segreti della polvere di Luna. TuttoScienze La Stampa 1 febbraio 2006. «Sembra neve». «Ma è tremenda, non si stacca mai». «Che puzza: sa di polvere da sparo». «E a me ha fatto venire l’allergia. Sono l’unico al mondo». Chiacchiere di astronauti, tutti sorpresi e a volte divertiti. Come Jack Schmitt, dell’Apollo 17, il primo (e solo) a essersi preso la «febbre da fieno extraterrestre», come si ripete scherzosamente a Houston. Il naso gli gonfiò, cominciò a starnutire e per alcune ore la polvere di Luna non gli diede pace. Poi si riprese e quello rimase il ricordo più bizzarro della missione del dicembre 1972. Nei laboratori della Nasa la «moondust» viene studiata ossessivamente, come fa ogni giorno uno degli scienziati di punta del «team polvere», Mian Abbas: continua a scoprire stranezze e curiosità e le sue osservazioni diventano sempre più preziose, ora che l’ente spaziale Usa progetta di tornare sul nostro satellite, di colonizzarlo, di sfruttarlo come trampolino per altre esplorazioni e soprattutto per sbarcare su Marte, dove la polvere è peggiore. Se quella della Luna può gonfiare gli alveoli del naso, quella del Pianeta Rosso - si sospetta - è altamente velenosa. Gli unici ET che dobbiamo tenere fuori dal guscio terrestre, al momento, sono proprio quei minuscoli frammenti che si attaccano a tutto e rifiutano di dissolversi con un gesto, come fa la polvere terrestre. Gli astronauti delle missioni Apollo ne conservano un ricordo indelebile: sebbene si sforzassero di pulirsi, appena entrati nel Lem scoprivano ogni volta di essere ancora sporchi e di aver imbrattato le superfici del modulo di atterraggio. Tolto il casco e sfilati i guanti, l’hanno toccata tante volte, respirata e a volte perfino assaggiata. «Che odore incredibile», ricorda Charlie Duke, dell’Apollo 16, e il suo successore Geen Cernan gridò: «Houston, qui è come se qualcuno avesse sparato un colpo di carabina. Incredibile». Oggi sappiamo che, in realtà, l’una e l’altra sono diverse: nitrocellulosa e nitroglicerina compongono una (la polvere da sparo) e l’anidride silicica creata dai meteoriti che hanno bombardato la Luna è la sostanza della seconda (la «moondust»). Gli impatti, ripetuti per miliardi di anni, hanno vetrificato il suolo e l’hanno successivamente frammentato e nei laboratori sono stati individuati anche ferro, calcio e magnesio, legati in minerali come l’olivina e il piroxene. Di polvere da sparo neanche l’ombra, nonostante le sensazioni pungenti registrate dagli astronauti. E allora chi sa spiegare il mistero? Nessuno, al momento, ha la risposta definitiva. Solo ipotesi, come quella che alla Nasa ha offerto Don Pettit con un’immagine: «Siamo in un deserto sulla Terra. Non si sente nulla, finché cade qualche goccia di pioggia: di colpo l’aria si riempe di fragranze forti e dolciastre. L’acqua che evapora strappa molecole che erano rimaste intrappolate nel suolo per mesi e arrivano ai nostri sensi. E’ probabile - dice - che un fenomeno simile avvenga sulla Luna». In quel mondo secco di 4 miliardi di anni - aggiunge - «non appena qualche particella viene in contatto con l’aria umida di un’abitacolo si scatena l’”effetto pioggia”. Ecco perché gli astronauti hanno provato sensazioni tanto forti». Schmitt, invece, ha un’idea diversa. Forse - spiega - le mie reazioni sono la prova di un’attività chimica. «Se la superficie lunare è stata colpita e sminuzzata, le molecole ”spaccate” hanno legami sospesi, vale a dire connessioni incomplete che hanno bisogno di stabilizzarsi a livello atomico. Non appena si respira la polvere, quei legami trovano i loro partner nelle membrane del naso: ti congestionano e senti i famosi odori. Poi, quando tutto si normalizza, l’effetto svanisce». A complicare il mistero c’è i fatto che sulla Terra non si sente nulla. E’ possibile - sottolinea un altro ricercatore, Gary Logfren - che «si sia pacificata»: «La polvere, e anche le rocce, è stata a contatto con l’ossigeno e le reazioni chimiche sono terminate da tempo». La colpa è proprio della «moondust», che - si è scoperto - ha lesionato i sigilli dei «thermos» che contenevano i campioni lunari e ha fatto penetrare aria e vapore acqueo durante i tre giorni del ritorno alla Terra. Così per sapere tutta la verità non resta che tornare lassù. Appuntamento nel 2018. Gabriele Beccaria