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 2006  febbraio 05 Domenica calendario

La svolta di Marchionne e l’offerta alla Fiat della Daimler Chrysler. Corriere della Sera 5 febbraio 2006

La svolta di Marchionne e l’offerta alla Fiat della Daimler Chrysler. Corriere della Sera 5 febbraio 2006. L’entusiasmo che ha accolto in Italia il ritorno al profitto della Fiat è pari allo spavento che si diffuse nel 2002 quando venne a galla il disastro. Ma se la svolta è innegabile, è altrettanto certo che il successo rimane da conseguire e consolidare, e sarà comunque interessante domandarsi di quale successo si tratti anche alla luce del giudizio che la Consob si accinge a dare sul modo con cui l’Ifil ha ricostruito la sua posizione di comando nell’azionariato Fiat. Il 2005 si è concluso con un utile netto consolidato di 1,4 miliardi su un fatturato di 46,5 contro la perdita di 1,6 miliardi registrata nel 2004. Come avverte la stessa Fiat, il risultato positivo è frutto per intero delle partite straordinarie. In particolare, giovano il guadagno netto di 857 milioni derivante dalla transazione con General Motors e il risparmio di 858 milioni ottenuto imponendo alle banche la conversione in azioni Fiat ad alto prezzo del prestito convertendo concesso tre anni prima per evitare un default che avrebbe sì travolto gli Agnelli, ma anche mezzo sistema bancario italiano. Si tratta di due successi assai rilevanti di Marchionne. Sul piano patrimoniale, l’indebitamento è calato da 32,2 a 25,7 miliardi. Detratta la liquidità, passa da 25,4 a 18,5 miliardi. Stabile nei servizi finanziari, l’esposizione netta si riduce nelle attività industriali da 9,4 a 3,2 miliardi per effetto della conversione del convertendo (3 miliardi), della cessione di Italenergia Bis (1,8 miliardi) e dell’ incasso da General Motors al netto delle attività Powertrain non consolidate in precedenza (1,1 miliardi). Per quanto la riduzione del debito dipenda da operazioni una tantum, il risparmio di oneri finanziari si prospetta ripetibile nella misura di circa 360 milioni l’anno, parte dei quali già acquisiti nel 2005. Quest’anno, il gruppo Fiat si prefigge un margine operativo lordo ( trading profit) di 1,6-1,8 miliardi contro quello di un miliardo ottenuto nel 2005. All’interno di questo obiettivo generale va menzionato quello di 100 milioni assegnato a Fiat Auto, che l’anno scorso aveva registrato un margine negativo per 281 milioni. E qui arriviamo al punto che, nel tempo, potrà suscitare riflessioni nell’azionariato stabile di Fiat. Nel Novecento l’auto ha reso potenti e ricchi gli Agnelli, ma all’alba del nuovo secolo questo investimento ha avuto esiti negativi. Nel 2000, Daimler Chrysler si era offerta di comprare Fiat Auto per 12 miliardi. Giovanni Agnelli non accettò per salvare il ruolo nazionale della Fiat. Fu come se, da quel momento, la Fiat avesse scommesso 12 miliardi su un settore già in perdita dal 1998. Se si considera il costo finanziario teorico del mancato incasso e i mezzi freschi versati nel 2003, il «capitale rischiato» arriva a 18 miliardi. E Fiat Auto, secondo le banche d’affari, ne vale quattro: una bella cifra, se si pensa che un anno fa l’azienda aveva un valore negativo per 3 miliardi, ma anche una cifra che mostra quanto sia ancora lunga la strada del riequilibrio. Non a caso il titolo Fiat è un titolo più da hedge fund che da investitori istituzionali. Dopo il gran rifiuto dell’Avvocato, tener duro si è rivelata una scelta obbligata per mancanza di alternative concrete. Ma alla scelta hanno collaborato uomini che la Borsa apprezza. Ed è stata così conservata all’economia italiana una leva di sviluppo tuttora molto importante. Questo rappresenta un successo, soprattutto per gli altri stakeholders, diversi dai soci stabili: un successo tutto da consolidare certo, ma, visti i risultati della Smart, con i tedeschi non era garantito che sarebbe andata molto meglio. Massimo Mucchetti