Giancarlo Dotto, 7 febbraio 2006
Il signore delle mosche: prove inconfutabili dell’esistenza di Satana, 21. Vespa che discute del diavolo Lo spericolato Bruno Vespa degli ultimi tempi è un pargolo sull’ottovolante
Il signore delle mosche: prove inconfutabili dell’esistenza di Satana, 21. Vespa che discute del diavolo Lo spericolato Bruno Vespa degli ultimi tempi è un pargolo sull’ottovolante. Tra le Lecciso e la morte di Wojtyla non si è negato nulla il Labbro di Saxa Rubra passando, porta dopo porta, Crepet dopo Crepet, da Cogne a Massimo Boldi. Di recente, con la scusa delle bestie di Satana, fa il pieno di benzina e organizza un giro turistico dalle parti di Belzebù caricando nel camper il solito zibaldone di chiacchieroni incontinenti. Stavolta mette insieme un po’ di folclore satanico, l’esorcista con l’occhio di brace, l’aria solo un po’ tapina perché la casalinga del viterbese non è la stessa cosa di Linda Blair, il critico d’arte con tanto di diavolo incorporato, un paio di genitori affranti, il sociologo che sa di criminale e via, a gogò, un paio d’ore circa, mescolando tette e sette, omicidi, stralci di Marilyn Manson, cercando il puzzo di capra nei lividi di una isterica o nelle patologie omicide di un deficiente, e insomma trattando Suà Maestà il Male come un argomento da salotto, una barzelletta da share, più incline al rosa che al nero. Non considerando nemmeno per sbaglio la verità elementare che il cosiddetto diavolo sta dove nessuno sospetta o si aspetta che sia e che la dissimulazione non sempre onesta è la sua arte, se è vero che Provenzano si traveste da cardinale, Zecchi insegna estetica e il più insulso pezzo di carne battente dentro una cassa inequivocabilmente toracica si spaccia appunto per la casa dell’amore. Ora, ci sarà o no un abisso da trasecolare tra quel pezzo di carne battente e il fatto che io o uno qualunque di voi sia qui clinicamente vivo a nominarlo, l’abisso? Vespa e la sua scolaresca in gita non ci hanno nemmeno provato a indovinarlo il diavolo là dove sta da sempre come un pascià, ovvero nelle catene linguistiche dello slogan sociale, nei virus di massa, che ora si chiamano mediatici ma ci sono sempre stati, là dove si sporge una fonte carismatica che dà il via al passaparola? Il pifferaio, se è diabolico, coincide con il suo stesso piffero. Sa come organizzarla una bella epidemia. Che siano i fedeli in fila con il rosario o i teppisti nelle curve con i bengala, folle più o meno disciplinate, hanno (che Dio ci perdoni) almeno questo in comune, l’essere cioè ospiti inermi di un’infezione subdolamente truccata da euforia . Succede così, nella ola del contagio, che il gruppo è il parassita, lo slogan il mezzo, lo stadio il luogo e il poliziotto un bersaglio per definizione. Invertire la tendenza? Si può, a partire da una fonte o da un gesto carismatico, meglio tutte e due le cose, che so, una punizione esemplare o un giocatore in vena di atti eroici. Del Piero o Totti che vanno a fuoco (con Dida ci siamo quasi) o, meglio ancora, si danno fuoco sotto la curva che ribolle di svastiche, falci e lanci dinamitardi. Quell’aquila di Carraro Franco che fa invece? S’inventa la spugna detersiva. Al primo petardo che parte o che pare si cancella tutto, che non sembra la pensata di un dirigente ma il raptus di un ottenebrato, a furia di masticare minestrine insipide. Giancarlo Dotto