[1] Fulvio Bianchi, ཿla Repubblica 12/4/2005; [2] Enrico Maida, ཿIl Messaggero 12/4/2005; [3] Emilio Marrese, ཿla Repubblica 11/4/2005; [4] Gianni Piva, ཿla Repubblica 13/4/2005; [5] Guglielmo Buccheri, ཿLa Stampa 15/4/2005; [6] Paolo Tomaselli, ཿCor, 12 aprile 2005
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 18 APRILE 2005
Se mi chiudi lo stadio, tiro bombe ai giardinetti.
«Basta, chiudo gli stadi». Così era sbottato all’inizio della settimana scorsa il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu dopo un weekend che aveva visto scontri in occasione delle partite Lazio-Livorno, Palermo-Messina, Perugia-Ternana, Cavese-Juve Stabia. Bilancio: 85 poliziotti feriti, 17 arresti, 259 denunce. [1] Enrico Maida: «Il vero caso che preoccupa le istituzioni si chiama Olimpico. E chiama in causa la città di Roma, la stessa che fino all’altro giorno riceveva i complimenti e l’ammirazione del mondo intero per come aveva accolto milioni di pellegrini». [2] Emilio Marrese: «Ma allora non c’è proprio salvezza, per certa gente e per questi stadi, se le stesse bocche che hanno taciuto nel ricordo del Papa che volò a Gerusalemme per chiedere scusa, intonano poco dopo il coro ”livornese ebreo” e ”duce duce”». [3]
Due giorni dopo Roma, è toccato a Milano. Il derby di Champions League tra Inter e Milan è stato sospeso a un quarto d’ora dalla fine. Piva: «La gara era ormai una formalità, eppure si è trasformata in qualcosa di mostruoso. Quando l’arbitro ha annullato il pareggio di Cambiasso per presunto fallo di Cruz sul portiere, Dida è stato avvolto da una esplosione di scintille roventi, mentre dalla curva Nord, quella che da anni lancia messaggi dagli eloquenti significati guerreschi, quella da cui è stato fatto volare un motorino, quella dove si usa il saluto fascista, precipitava una cascata di fuoco e fumo. Un bombardamento senza fine, quasi che a disposizione dei violenti vi fossero rifornimenti di munizioni infiniti. Un razzo ha colpito alla spalla destra il portiere brasiliano che si è accasciato a terra». [4]
A questo punto la Federcalcio ha scelto la ”tolleranza zero”. Ovvero sospensione delle partite (da parte dell’arbitro) davanti al lancio di oggetti o petardi sul terreno di gioco. Di più: al questore della città sede della partita è stata data la possibilità di non far cominciare la gara in caso di tensioni dentro o intorno allo stadio. [5] La maggior parte delle società di calcio ha criticato il provvedimento. Tomaselli: «La paura più forte è quella di diventare ancora più ricattabili con la possibilità delle sconfitte a tavolino, causate magari pure da qualche ”tifoso” infiltrato nella curva avversaria». Gino Corioni, presidente del Brescia: «L’idea di dare partita persa per il primo fumogeno in campo è una cosa che non sta né in cielo né in terra. Ogni squadra ha un gruppo di tifosi pazzi, che se sa di danneggiare una società lo fa appositamente. Così facciamo diventare i club ostaggio dei tifosi». [6]
Ormai i veri hooligans ce li abbiamo noi. [7] Ogni stagione garantire la sicurezza negli stadi costa 55 milioni di euro. [8] I dati forniti dal ministero dell’Interno dicono che nel 2003-2004 le partite finite con incidenti sono state il 15 per cento in meno rispetto all’anno precedente, -68 per cento i tifosi feriti, -33 per cento i poliziotti finiti in ospedale o davanti a un medico. [9] Ma in quattro delle ultime cinque partite di coppa interrotte prima del 90’ c’era in campo almeno una squadra italiana: oltre a Inter-Milan, Roma-Dinamo Kiev (2004), Perugia-Trabzonspor (1999), Fiorentina-Grasshopper (1998). E colpa delle italiane sono 3 delle ultime 4 partite che hanno portato alla decisione Uefa di far giocare a porte chiuse: oltre all’Inter, che il prossimo anno dovrà giocare in uno stadio vuoto per 4 partite [10], vanno ricordate le analoghe decisioni dopo Lazio-Partizan (2004) e Roma-Dinamo Kiev (2004). [10]
Degli ottantamila ultras italiani, almeno ventimila praticano la ”doppia appartenenza”. Cioè sono tifosi e militanti politici. La curva dell’Inter ne è un esempio. Luca Fazzo: «Mano a mano che invecchiavano i suoi padri fondatori, che si imborghesivano i ”duri” degli esordi, a occupare sempre più spazio sono stati i gruppi emanazione diretta di organizzazioni neofasciste e neonaziste. Oggi i Boys, il gruppo più antico della Nord, sono in minoranza. A fare la voce grossa sono i Viking e gli Irriducibili. Sono gli Irriducibili a occupare il lato destro della curva, quello che sta proprio sopra il tunnel d’uscita dagli spogliatoi, e da cui è scesa la parte più consistente della pioggia di fuoco di martedì. E gli Irriducibili sono il braccio operativo a San Siro di Azione Skinhead, l’organizzazione neonazi che ha nel centro sociale di via Cannero la sua base milanese». [11]
La nostra legislazione contro la violenza in ambito sportivo risale al 1989 (legge n. 401 del 13 dicembre). Mattia Grassani: « stata più volte modificata nel tempo, sino all’ultimo provvedimento del 24 aprile 2003, n. 88, attraverso interventi di urgenza finalizzati a contrastare comportamenti violenti in occasione delle competizioni. Due i capisaldi del vigente reticolato: il c. d. ”daspo”, divieto di accesso alle manifestazioni, e l’istituto della flagranza differita. Con il primo, il Questore preclude la partecipazione a determinate manifestazioni per periodi più o meno lunghi; in forza del secondo, entro le trentasei ore dal fatto, può scattare il fermo di polizia, sulla base di documentazione video fotografica o di altri elementi da cui emerga con evidenza la responsabilità contestata. Le significative modificazioni succedutesi nel tempo, da una parte, e l’applicazione delle norme esistenti, operata dai giudici di merito, ma soprattutto dalla Cassazione, dall’altra, hanno, però, tarpato le ali a questa legge, sino a privarla di forza deterrente». [12]
Se non è impunità poco ci manca. E l’ultrà deve averlo capito. Lorenzo Contucci e Alessandro Cacciotti, che a Roma difendono gran parte degli ultrà, dicono che «rispetto agli arresti e alle denunce, le condanne sono meno del 50 per cento». Lavinia Di Gianvito: «Lo spauracchio del tifo violento resta il Daspo, cioè la diffida a frequentare lo stadio con obbligo di firma durante la partita della squadra del cuore. Ma la Cassazione, sei mesi fa, ha deciso che la valutazione della pericolosità del tifoso spetta pure al giudice. E per le questure l’azione di contrasto è diventata più difficile». [13]
I divieti sono quasi sempre sensati, ma raramente efficaci. Giorgio Tosatti: «Può darsi che gli arbitri così timorosi da farsi strattonare e insultare ogni volta dai giocatori (specie se di club importanti) diventino di colpo intrepidi e mettano fine alle partite, quando l’editto della Federcalcio non sarà rispettato. Può darsi che tutti, dai club all’informazione, accettino questi provvedimenti senza protestare, senza montare processi agli arbitri, senza accusarli di aver favorito questa o quella squadra, senza ricorrere alla magistratura ordinaria per chiedere i danni. Me lo auguro, ma ne dubito. Perché per troppi anni la giustizia sportiva ha giocato al ribasso, riducendo squalifiche e pene, comminando multe risibili per fatti gravi, rendendo difficile punire i violenti con norme fatte apposta per offrire appigli alla difesa, cioè ai club, ai giocatori, alle tifoserie tenute buone con continui cedimenti di potere. In pieno accordo con la magistratura ordinaria e la classe politica, perché la piazza va blandita, porta voti, è utile, non conviene contrastarla». [14]
Chiunque di noi sparasse fumogeni in una via del centro, sarebbe sùbito circondato dai passanti e arrestato. Gramellini: «Allo stadio rimane impunito e diventa pure un personaggio. Se un’azienda evadesse abitualmente il fisco, verrebbe additata al ”pubblico ludibrio”, per parlare la lingua del sommo Brera. Quando lo fa un presidente di calcio, i tifosi lo applaudono e il primo ministro (presidente di calcio pure lui) giustifica lo scippo allo Stato con motivi di ordine pubblico. E cosa direste di uno studente che pensasse solo a copiare, accusando i vicini di banco? La stragrande maggioranza dei calciatori simula e poi si agita contro l’arbitro perché non ha visto la simulazione altrui: eppure sono loro i modelli di riferimento, i nuovi eroi delle pubblicità. Se un giornalista insultasse il Nord o il Sud in una tribuna politica, rischierebbe la denuncia. Facendolo da Biscardi, sbanca l’Auditel. Quando un imprenditore riceve richieste sistematiche di pizzo da un gruppo di malviventi, in molte regioni d’Italia si rivolge ancora alla polizia. Ma appena le riceve da una frangia di sostenitori della sua squadra, baratta la pace sociale con biglietti omaggio e concessioni economiche». [15]
Chi pensa che chiudere gli stadi possa essere una soluzione, si sbaglia di grosso. Così la pensa la maggior parte degli ultras. Un Ricky dei ”Commandos Tigre” milanisti: «Così si sposta solo il problema altrove, in discoteca piuttosto che ai giardinetti. C’è gente che si accoltella a scuola dai Salesiani o per un parcheggio, lo stadio non è né meglio né peggio di tanti altri posti...». E poi: «Mi volete spiegare perchè se un calciatore colpisce con un pugno un altro calciatore durante una partita è un eccesso di agonismo, mentre le botte tra ultras sono violenza teppistica?». Tony Acanfora, capo dei ”Drughi” juventini: «Allo stadio andiamo in ottantamila. Ci sono ottantamila storie diverse. La curva è solo lo specchio della società, una pentola a pressione che ogni tanto esplode...». [9]
Alle otto di sera, in una bella casa in Val Brembana, bussa la Digos. Luca Fazzo: «Riporta via un ragazzo di venticinque anni, un piccoletto che non dimostra neanche la sua età. Un bravo figliolo, tranquillo e persino un po’ fifone, che lavora nella fabbrica del babbo, tutti lo raccontano così. Peccato che dentro quel metro e sessanta di bravo figliolo ci sia nascosta un’altra persona. Che se ne sta lì accucciata tutto il tempo. E viene fuori come una belva quando il ragazzo lascia la valle e scende a San Siro. Lì il bravo ragazzo Jorge diventa l’hooligan Jorge, un militante della Curva Nord dello stadio milanese. lui che, un giorno di marzo di quattro anni fa, mette a segno l’impresa più demenziale vista in uno stadio italiano, il lancio di un motorino bruciato dal secondo anello del Meazza sul pubblico delle tribune. Per quella bravata, Jorge viene condannato a un anno e due mesi di carcere. Effetto dissuasivo: zero. Perché le telecamere della Digos di Milano, aiutate dagli mms inviati dai videofonini di tifosi indignati, martedì scorso incastrano anche lui per la pioggia di fuoco sul derby di Champions League. E così Jorge finisce di nuovo in galera». [16]
In Inghilterra hanno sconfitto gli hooligans con una legislazione severissima. Pescante: «Non servono leggi speciali, ma leggi specifiche». [17] Il sottosegretario all’Interno Mantovano: «Nel Regno Unito si sono rimboccati le maniche e il problema l’hanno risolto. la patria del garantismo, ma io sarei felice di poter introdurre un 20 per cento delle loro misure. Per fare un solo esempio, chi dà segni di ubriachezza in porti o aeroporti, o grida slogan razzisti, può essere fermato dalla polizia e processato per direttissima. Oppure: nei cinque giorni precedenti un evento sportivo, la polizia può fermare un sospetto per sei ore. Anche un semplice tatuaggio, a giudizio del capo della polizia, può far includere nell’elenco dei sospetti». [18] Marcotti: «Questa mano dura è stata largamente incentivata da due fattori. Il primo è l’assenza di tifo organizzato come gli ultras in Italia. La seconda, dal fatto che le società sono diventate vere e proprie aziende, le quali hanno ben presto realizzato che le famiglie e i tifosi di una certa età sono i ”clienti” più appetibili». [19] Zamparini: «Oggi, in Italia, portare un bambino alla partita è un rischio: e grosso, anche». [20]
Ci sono soltanto tre condizioni che (forse) costringeranno il calcio italiano a rinnovarsi. D’Avanzo: «Una tragedia, come temono gli oracoli de rebus criminalibus (e lo stesso ministro dell’Interno). L’Uefa, che può cacciare a pedate le squadre italiane dalle competizioni internazionali. Rupert Murdoch che, stufo di violenze e partite sospese, rifà i bagagli, ritira i suoi miliardi e lascia i patron del calcio italiano ai loro debiti». [21] Marcotti: «Se è vero che il modello inglese è indicato da molti come una specie di panacea per tutte le magagne italiane (almeno in termini di sicurezza) è altrettanto vero che, prima di poterlo implementare, occorre una trasformazione strutturale degli stadi italiani. E questa trasformazione può nascere solo grazie ad una fortissima volontà politica, come quella che l’Inghilterra ha saputo trovare dopo le tragedie dell’Heysel, Bradford e Hillsborough [...] Così si è arrivato a stadi con i posti tutti a sedere e rigorosamente numerati, e quindi molto più facili da controllare. In aggiunta, sono state introdotte telecamere un po’ ovunque (lo spettatore medio allo stadio del Chelsea è ripreso da ben 17 telecamere), i cui filmati vengono poi girati alle autorità». [19]
Un ”grande fratello” elettronico riporterà la pace negli stadi italiani? Marco Gasperetti: «Al progetto sta lavorando Alessandro Mecocci, docente al dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Siena e tra i massimi esperti al mondo di tecnologie applicate ai musei. Non è fantascienza, perché un sistema simile, finanziato dal Comune di Siena, è stato appena inaugurato all’ospedale monumentale di Santa Maria della Scala». Mecocci: «Grazie a un piccolo ciondolo e a un sistema di rilevazione radio i visitatori sono controllati in tutte le sale e in caso di emergenza, per esempio un incendio, è possibile sapere l’esatta dislocazione delle persone per salvarle rapidamente. Il sistema tutela la privacy e dunque non esiste un elenco dei nomi delle persone. Ma nel caso di uno stadio, dove la sicurezza è al primo posto, le cose potrebbero cambiare». [22]
Il cuore del sistema è una tecnologia chiamata Radio frequency identification. Gasperetti: «Il sistema funzionerà così: il tifoso acquista un biglietto mostrando un documento di identità e un sistema elettronico inserisce i suoi dati nel biglietto. All’entrata dello stadio una macchina lo legge con il nominativo memorizzato e poi, grazie a uno speciale gel indelebile, lo applica sul polso della persona. Il timbro in realtà nasconde un chip rilevatore e in una stanza dello stadio (o in un laboratorio mobile) un sistema di computer memorizza l’esatta posizione di ogni tifoso. Se da una zona dello stadio parte un razzo, le telecamere riprendono la scena e il sistema rileva al millimetro il punto esatto da dove è stato scagliato e individua il responsabile. A quel punto scatta l’identificazione». [22]