Luigi Accattoli Corriere della Sera, 02/04/2005, 2 aprile 2005
Ore 21 e 37. Il papa è morto, ma di sicuro «non in letizia», Corriere della Sera, sabato 2 aprile 2005 Il grande cuore di Karol Wojtyla si è fermato alle 21
Ore 21 e 37. Il papa è morto, ma di sicuro «non in letizia», Corriere della Sera, sabato 2 aprile 2005 Il grande cuore di Karol Wojtyla si è fermato alle 21.37, mentre la piazza era piena di persone addolorate, che avevano pregato a lungo per lui e che guardavano verso le due finestre accese: quelle dello studio. Quando la vita del Papa si è spenta, si è accesa la luce nella terza stanza, quella d’angolo. Da quelle luci in fila si è capito che tutto era compiuto, prima che arrivasse per altoparlante l’annuncio della morte, dato dall’arcivescovo Sandri. E pareva che quell’aumento della luce moltiplicasse le lacrime sugli occhi di chi guardava. Erano forse in sessantamila quelli che recitavano il rosario a quell’ora: saranno oltre centomila alla fine. In maggioranza giovani, ragazzi arrivati da tutta Italia e dall’estero che scandivano il silenzio e la preghiera con i cori delle Giornate mondiali della Gioventù: «Non vogliamo lasciarlo solo». A loro il Papa aveva mandato un ultimo pensiero, con le parole che si era sforzato di soffiare dalla gola: «Vi ho cercato. Adesso voi siete venuti da me. E vi ringrazio». Questo testamento per i giovani, il Papa l’ha comunicato a gran fatica nella serata di venerdì, in risposta al segretario don Stanislaw, che gli diceva come nella piazza ci fossero - ancora una volta - ragazzi e ragazze venuti per lui. Non le ha dette, quelle parole belle, tutte di seguito, ma «a più riprese», finché il segretario non è riuscito a capirle. Accanto a ogni morente capita che vi sia - quando c’è - un familiare o un amico che intende anche le parole oscure dall’agonia. Don Stanislaw è stata questa persona per il Papa: si è fatto suo figlio, fino a diventarne interprete quando ha perso la parola. Nel Pontificato di Giovanni Paolo II ci sono i giovani, fin dall’inizio, ed è giusto che vi siano stati alla fine: l’ultimo saluto dalla finestra, mercoledì, l’ha rivolto a cinquemila adolescenti milanesi, venuti in pellegrinaggio per la ”professione di fede”. I medici avevano detto a Wojtyla di non affacciarsi, perché rischiava la vita. Ma quando gli hanno riferito che in piazza c’erano i ragazzi, è voluto andare alla finestra e lì ha compiuto il bel gesto, l’ultimo che gli abbiamo visto, di chiedere il microfono, di afferrarlo con la destra, come per essere sicuro del fatto suo e di tentare di salutarli. Dalla gola torturata non è uscito altro che un respiro strozzato, ma quella è stata la sua ultima volontà di parola. Era altrettanto giusto che l’ultima parola vera fosse anch’essa per i giovani. Alla loro ”gioia di vivere”, al loro futuro di uomini e di cristiani aveva dedicato tante energie, contro ogni speranza li aveva attirati, mentre scappavano dalle chiese ed era bene che ad essi fossero dedicati i suoi momenti estremi: l’ultimo atto pubblico e l’ultima parola privata. Detta in breve, come fanno i morenti, che hanno poco fiato per dire ciò che conta: «Vi ho cercato, siete venuti». Nella notte tra venerdì e sabato si è prolungata la veglia dei più tenaci, nella piazza, fino al mattino. Appena giorno si è rifatta folla tra le braccia del colonnato, gli occhi alle finestre. Dietro di esse un risveglio più affannoso di quello del giorno precedente: «Condizioni generali - dirà Navarro Valls a mezzogiorno - sostanzialmente invariate e pertanto gravissime». Il peggioramento rispetto al giorno precedente è legato all’affievolirsi dell’attenzione, lo stato fisico e le funzioni metaboliche sempre più compromesse. Il segretario e le suore l’avvertono subito: a volte, quando lo chiamano o lo toccano, il Papa non reagisce. Dirà il portavoce che «dall’alba è stata osservata un’iniziale compromissione dello stato di coscienza». Venerdì mattina alle 6 Wojtyla aveva concelebrato - dal suo letto - la messa con il segretario. Ieri mattina, invece, a quell’ora non dava segno di vigilanza e dunque il segretario ha atteso, ma poi - visto che il Papa non si riscuoteva - la messa l’ha detta alle 7.30, alla «presenza del Papa». A quella messa dunque Wojtyla c’era, ma forse non sapeva di esserci. Più tardi, però, ha dato ancora segni di attenzione. Ecco che entrano nella camera due cardinali, già suoi intimi collaboratori: Jean Louis Tauran e Achille Silvestrini. «Abbiamo pregato, poi l’abbiamo ringraziato per tutto quello che ha fatto e gli abbiamo baciato la mano», raccontano. Don Stanislaw l’aveva chiamato, il Papa, per dirgli chi erano quei due, che ricordano: «Ha aperto gli occhi e ha dato segno di riconoscerci». C’è qualcosa di straziante a raccontarli, questi ultimi saluti ai collaboratori, come ogni ultimo gesto d’ognuno sulla Terra. Nella giornata di giovedì - quand’era ancora capace di una comunicazione comprensibile -ne aveva ricevuti tanti, da Sodano a Ratzinger. E ieri il decano Ratzinger, parlando a Subiaco, mentre gli davano un premio, ha raccontato così la sua visita: «Ho ricevuto da lui l’ultimo saluto e il ringraziamento per il lavoro svolto in tutti questi anni» . Sono 23 anni che il povero Ratzinger invecchia accanto al suo Papa. stato tra quelli che promossero la sua elezione, è venuto da Monaco di Baviera a Roma quando il Papa che aveva contribuito a eleggere l’ha chiamato. Una decina di volte gli ha chiesto d’essere lasciato libero di tornare agli studi, lui che era un professore. Ma il Papa non l’ha mai lasciato andare e in questo mese compie 78 anni! Il cardinale teologo ha concluso così la sua narrazione: «L’ho trovato consapevole di passare al Signore». Un’informazione davvero buona è quella che il portavoce ha dato ai giornalisti, smentendo la leggenda di un biglietto che il Papa avrebbe scritto e consegnato ai collaboratori, con queste parole: «Sono lieto, siatelo anche voi. Preghiamo insieme con letizia, alla Vergine affido tutto lietamente». Quel biglietto l’ha pubblicato un quotidiano di Roma, ieri mattina. «Non posso confermarlo», ha risposto Navarro Valls alle domande dei giornalisti. Non può perché non sa? Non ne ha parlato con il Segretario? «Ne ho parlato con il segretario e non posso confermare». Cioè non è vero. Sentiamo più vicino a noi questo Papa che tanto amava la vita, a sapere che «si affida tutto a Maria», certo, ma non va ”lieta mente” morte. Ha sempre parlato con grande accoramento di ogni morte, ha sperimentato la morte di tutti i suoi familiari nella prima giovinezza, ha gridato quanto ha potuto contro ogni morte e tante volte ne ha chiesto conto al suo Dio, arrivando a fare propria la drammatica domanda ”dov’era Dio ad Auschwitz”. Non si addice a un tale lottatore di morire in letizia. Per tutta la giornata il Papa è venuto perdendo e ritrovando l’attenzione. ”Non si può parlare di coma” , ha detto il buon Joaquin Navarro Valls, rifacendosi medico, secondo gli studi della giovinezza, da giornalista che poi è diventato: ”A volte chiude gli occhi, a volte li apre e quando sente parlare, a volte reagisce”. Un gesto straordinario lo compie quando entra nella camera il responsabile della sezione polacca della Segreteria di Stato, don Pawel Ptasznik, che ha passato tante ore con il suo Papa, lungo gli ultimi due anni, per mettere a punto il libro Memoria e identità . Lo incontro per un viale del Vaticano, poco dopo mezzogiorno, con le lacrime sugli occhi. Gli chiedo se è stato «su all’appartamento». Mi dice: «Vengo da lì». Chiedo come sta Wojtyla e racconta: «Mi sono inginocchiato, don Stanislaw gli ha detto chi ero, ha aperto gli occhi, mi ha guardato e mi ha fatto un segno di croce sulla fronte con il pollice della mano destra». Forse quello è stato il gesto più significativo di quanti Wojtyla ne ha potuti rivolgere ai pochi visitatori lungo la giornata. A metà pomeriggio il portavoce riferisce di un nuovo peggioramento: «Le condizioni cliniche si mantengono gravissime. Nella tarda mattinata è comparsa febbre alta. Sollecitato, risponde correttamente alle domande dei familiari». I ”familiari” sono i componenti della ”famiglia pontificia”, cioè quelli che abitano con lui l’appartamento, o che lì lo servono. Le suore polacche, i segretari, il cameriere Angelo Gugel e pochi altri. Lungo il pomeriggio diminuisce il soffio di vita del Papa, che respira a bocca aperta, in affanno, disteso sul letto. Mentre la sua vita se ne va, vengono verso san Pietro e il Palazzo papale, a fiumi, le persone, da ogni direzione, per tutte le strade, sui ponti del Tevere e lungo la via della Conciliazione. Gente d’ogni età, romani e forestieri, ebrei e musulmani, ”laici” nel senso di non credenti, ragazzi che si tengono per mano e piangono. Quell’affratellamento intorno al Papa che ha abbattuto muri e porte si verifica in varie parti del mondo. Il cardinale Tauran, che in mattinata era andato dal Papa, alla rivista Il Regno, che l’intervista perché è appena rientrato da Gerusalemme, racconta: «Autorità religiose ebraiche mi hanno detto che in più di una sinagoga si prega per il Papa». Sulla piazza vengono intonate preghiere da sacerdoti che si dànno il cambio e infine parte il rosario. Durante la preghiera, don Stanislaw, sentendo il soffio del Papa sempre più debole, gli prende la mano, da vero figlio quale gli si è fatto in più di quarant’anni e la tiene fino all’ultimo. Alle 20 inizia nella camera la celebrazione della messa della festa della Divina Misericordia, che cade oggi. La presiede il cardinale polacco Jaworski. Il Papa riceve di nuovo il viatico ( cioè la comunione con l’ostia) e l’Unzione degli Infermi. Spira - racconta un religioso polacco ai giornalisti - con il volto rivolto alla finestra e un amen che si confonde con l’ultimo respiro. Erano presenti i due segretari, il cardinale Jaworski, l’arcivescovo Rylko, il padre Styczen, le suore dell’appartamento, tre medici tra i quali Renato Buzzonetti, due infermieri. L’annuncio arriva quando il rosario della piazza è terminato: «Il Santo Padre è deceduto. Si sono messe in moto le procedure della sede vacante». Cioè la ”sedia vuota”: il Papa non c’è più e la sua ”sedia” resterà vacante fino all’elezione del successore, che avverrà verso il 20 aprile. In piazza il cardinale Sodano intona il ”De profundis” e poi dice alla folla: «Noi tutti ci sentiamo orfani». I funerali si faranno forse giovedì. Non prima. Luigi Accattoli