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 2005  aprile 07 Giovedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 11 APRILE 2005

Cronaca di una fila (dal primo all’ultimo).
Sì, viaggiare. Ravelli: «Tomek ha solo 7 anni e un rosario bianco di plastica al collo. Marek, suo padre, e la mamma Zofia, dicono che è molto emozionato per il pellegrinaggio: ”Noi non pensavamo di partire. Ma Tomek ha detto: andiamo in Italia dal papa. Gli abbiamo detto, noi: ci saranno milioni di persone, non vedrai niente, e poi dimenticherai tutto. Tomek ha risposto: quando avrò dimenticato, andremo un’altra volta”». [1]

Il primo pellegrino che entra in San Pietro, alle sette di lunedì sera, per rendere omaggio alla salma del papa è Miria Fiumara, 47 anni, avvocato. Zuccolini: «Dopo un lungo viaggio in pullman da Barcellona, provincia di Messina, con il gruppo della sua parrocchia, si è messa in fila alle 11 del mattino e ora è lì, prima in assoluto a scivolare lentamente davanti al papa che amava, ora avvolto nella casula rossa e vegliato dalle guardie svizzere sotto l’altare della Confessione: ”La prima volta l’ho visto a Messina. Era l’88: è stato il mio regalo di laurea. Non potevo mancare”. Si inginocchia davanti al papa, fanno lo stesso gli altri che l’accompagnano. Ma solo perché sono i primi». [2]

Frenetica kermesse. D’Avanzo: «Un vociare. Uno scalpiccìo. Quasi un rombo insistente che rotola tra le navate e verso le arcate. ininterrotto e incontrollabile. Inestinguibile. Imbarazzante, anche. Non c’è nulla di sacro o di composto o di raccolto nel furioso affrettarsi dinanzi al catafalco dove giace Karol Wojtyla. I curiosissimi, i ”collezionisti d’immagini” e di presenze, quelli che vogliono comunque esserci, costi quel che costi, arrivano alla transenna in ordine sparso e confuso travolgendo nella frenetica kermesse anche i religiosi, le suore, i sacerdoti, i fedeli. A quel punto, nel mezzo della navata, tutti hanno già di fronte a non più di venti metri il pontefice. Chi, tra i pellegrini, allunga il collo. Chi scarta di lato. Chi strattona l’amico o il figlio o la moglie. Chi, sorpreso, decide di attardare il passo subito sollecitato dagli uomini della sicurezza ad alzare i tacchi. Chi - e naturalmente sono i più - può finalmente sfoderare il videocellulare, la videocamera, la macchina fotografica e riprendere in pochi attimi Karol Wojtyla, la sua espressione, il velluto rosso del giaciglio, le sue scarpe rosse. C’è qualcosa di osceno in questo fissare (o trafugare?) le immagini del papa mentre già ci si allontana magari sussurrando qualcosa. [...]. ”Lo vedi, sembra più giovane...”. ”Lo vedi, ha la faccia serena, non soffre più...”. ”Lo vedi, sembra addormentato”. ”Non me lo aspettavo così piccolo, così rimpicciolito...”. ”Ha la pelle rosa”. ”Ha le guance rosse”. ”Hai visto le mani?”». [3]

« un ininterrotto serpente di uomini, donne, giovani, scout, disabili, parrocchiani, famiglie, operai, ferrovieri, alpini, associazioni del volontario, universitari, scolaresche, montanari, rappers, suore, barboni, pazzerelli, sportivi, anziani, borgatari [...]. Vanno incontro a Giovanni Paolo II con un passo scandito, quasi militare e affrettato, che ancora più si affretta alla vista del colonnato della piazza. Non si parla con il vicino. Nemmeno lo si guarda. Si tengono gli occhi fissi davanti a sé come per scorgere presto e subito le condizioni dell’affollamento al di là degli archi e prevedere il tempo dell’attesa. gente di città e gente venuta dal paesello che nelle stradine di Borgo Pio e Borgo S. Angelo incontra indiani sik, brasiliani, irlandesi, senegalesi, polacchi» (D’Avanzo) [3].

Fenomenologia del videofonino. Covacich: «Tu cristiano, tu cattolico, sei qui insieme a migliaia di altri come te. Ecce homo, dice il corpo del papa che passa. Non è la metafora, non è il simbolo della carne: è la carne stessa, materia di cui anche tu sei fatto, è l’ostensione sacra della più propria delle nostre esperienze, la morte. Ma tu che non sei morto, tu che non sei finto, tu che sei nell’attimo forse più vivo della tua vita, alla visione di quella che Heidegger chiamava l’esperienza costitutiva dell’Essere-nel-mondo frapponi il tuo cellulare. Tu, testimone oculare dell’Evento, non puoi fare altro che inquadrare bene, creare una nuova cartella e salvare con nome». [4]

Perché? Geremicca: «Cedendo volontariamente alla retorica, ci si potrebbe persino chiedere se tutto ciò [...] sarebbe piaciuto a Wojtyla, ma è una domanda senza senso, in un giorno così. Certo avrebbe amato la moltitudine di fanti che accerchia San Pietro. Gli sarebbero piaciute le centinaia di migliaia di ragazzi accorsi da tutto il mondo; gli avrebbero strappato un sorriso i ”colleghi” minatori polacchi ordinatamente in fila con la bandiera bianca e rossa di quella Polonia così amata; lo avrebbero commosso gli anziani in fila per ore e ore, in fila testardamente sotto al sole fino al cedimento, allo svenimento a poche centinaia di metri dall’agognata Basilica. Cantano e pregano. Innalzano cartelli e bandiere. Hanno viaggiato per giorni. Sono stati in fila per quattordici, quindici e anche venti ore, vedranno il corpo di Giovanni Paolo II per cinque secondi, forse dieci, e non è facile rispondere alla domanda più ovvia di tutte: perché?» [5]

Cento metri. Alle quattro e mezzo di giovedì mattina, dalla folla esce un gruppo di cento pellegrini scatenati che carica e sfonda i cordoni della polizia. Qualche minuto di parapiglia: spintoni, pugni. Un filtro di quindici-venti agenti della Guardia di Finanza, insonnoliti e stanchi, viene travolto. La polizia non reagisce: «Sono pur sempre fedeli». Fortunatamente, le altre migliaia di fedeli se ne restano buoni. Gli intemperanti hanno guadagnato cento metri. [6] Ma i veri furbi sono altri.

La scorciatoia degli imbucati. Brogi: «Calciatori e personaggi tv, famiglie reali, amici di cardinali e prelati, ma anche vicini di casa di impiegati della Santa Sede, semplici conoscenti della persona giusta, raccomandati qualunque, tutti convenuti come in un appuntamento segreto alla Porta del Perugino, un varco senz’altro meno noto di quello di Sant’Anna e dell’altro delle Colonne, aperto lungo le mura vaticane sulla salita di viale della Stazione Vaticana accanto a Via Gregorio VII». Un varco sfruttato, tra gli altri, da una delegazione di Raiuno giunta a bordo di auto blu: «Ne sono scesi il direttore Fabrizio Del Noce, la sua vice Teresa De Santis, il conduttore Massimo Giletti, più altri tre funzionari. Aver fatto ossservare a Del Noce che in quel modo si evitavano venti ore di coda ha prodotto solo un imbarazzato ”eh... eh...”. L’abbronzato Massimo Giletti ha invece reagito lamentandosi così: ”Questa è la seconda volta che vengo qui...”. Una signora che era appena uscita dall’omaggio, una collaboratrice dello studio di un avvocato legato alla Santa Sede, seppure imbucata lei stessa, ha subito osservato: ”Questa, Giletti, se la poteva anche risparmiare...”». [7] Trattamento di favore anche per gli olimpionici di Atene, guidati dal presidente del Coni Petrucci, e i calciatori di Roma e Lazio.

Grande promessa. Nadia Fanchini, 19 anni, grande promessa dello sci azzurro (oro in gigante agli ultimi Mondiali juniores), ha preso il pullmann della sua parrocchia, Artogne, sulla montagna bresciana. «Sono partita lunedì sera alle otto. A Roma siamo arrivati alle 4 di notte. Un bus navetta ci ha portato sino in centro e alle 5 mi sono messa in coda. Non si andava avanti. Facevi solo qualche passo ogni ora, quasi nulla. Alla mattina faceva molto freddo, poi, quando è arrivato il sole, faceva caldo. E non ti potevi spostare, altrimenti perdevi la posizione e anche il tuo gruppo. Era un problema anche fare pipì, ho visto delle panchine ai lati della strada, avrei voluto sedermi, ma non potevo. Due persone del nostro gruppo si sono sentite male e sono state portate via. Cercavi qualcosa da bere e trovavi solo bottigliette di acqua calda. C’era di tutto in quella fila. Sentivo molte persone parlare straniero, forse erano polacchi, non lo so, ma era bello essere là dentro, sentivo di far parte di qualcosa di importante». Dodici ore dopo, il traguardo: «Lì non ho più sentito la stanchezza, ma davanti alla salma del papa non potevi neppure fermarti. L’avrò visto non più di trenta secondi. Era strano vederlo morto, con quel colore innaturale della pelle, ma era bello, avevi la sensazione di vivere un momento importante» (Molinaro). [8]

Il drago risucchiato. Vista dalla cima del Cupolone, «l’ultima porzione di umanità che ondeggiando fra le transenne entra in chiesa sembra la coda di un animale ingoiato vivo dalla basilica. Un animale come quelli dei libri dei bimbi, un drago con un corpo enorme già sparito dentro e la coda che si agita e sbatte ancora fuori. un momento, cinque minuti: il portone risucchia a ritmo lento l’ultima parte dei due milioni di persone che è stato capace di inghiottire: venti metri, quindici, dieci, più nulla. Fine» (De Gregorio). [9]

L’ultimo a uscire dalla Basilica di San Pietro è un pachistano di 28 anni che vive in Italia da 5 e ha conosciuto il papa durante una giornata di rosario con i giovani. Il giovane non pensava di riuscire a entrare, ci aveva già provato per tre volte. «Per me è ancora vivo, non è più in questa vita ma ha lasciato una fiamma». [6]

Buonanotte fiorellino. Gerina: «I pellegrini di Wojtyla si sono lasciati dietro una teoria di preghiere e parole scritte su mezzi di fortuna, cartoncini, fogli strappati a un quaderno di terza o quarta elementare e, quando non c’era altro, sui kleenex. Moderni ex voto, depositati sugli altari della più grandiosa basilica cristiana. Insieme a biglietti del treno per arrivare fino qui: ”Napoli centrale-Roma Termini”, ”Catanzaro-Roma Tiburtina”, ”Milano centrale-Roma Termini”. Chissà se qualcuno li conserverà». [10] Piazza San Pietro è diventata un mausoleo in bricolage: «Muretti di marmo colmi di messaggi scritti a penna, di cartoline che diventano telegrammi, con gli orsacchiotti di peluche che stringono rose rosse, con le foto di Giovanni Paolo II - foto scelte accuratamente, foto belle, di lui giovane e forte e con i capelli ancora lunghi sulla fronte - che servono a spiegare che tutto questo è, appunto, per lui: è dedicato a lui. [...] Intorno a questi altarini si radunano alcuni ragazzi - quelli che, sbrigativamente, in questi giorni, sono stati definiti papa-boys - e al suono delle loro chitarre, dei tamburelli e delle armoniche a bocca, si celebrano strane cerimonie, certamente non funebri. [...] Fa buio così. Con un autista dell’Atac che viene a deporre la prima pagina dell’’Osservatore Romano” su cui ha fatto firmare tutti i colleghi del capolinea della Stazione Termini. E con un’impiegata della libreria Feltrinelli di piazza Argentina che porta una raccolta di poesie di Giorgio Caproni. Poi la bottiglia di vino rosso (piena) di due barboni, la fotografia d’una coppia di fidanzati che si baciano, la fotocopia di una bellissima canzone di Francesco De Gregori: ”Gli uccellini/ nel vento/ non si fanno mai male...”». [11]

Dieci. «’Michael, Joseph, Peter, Theresa, dove siete? Mary Ann, Margarethe, James, Kathleen, venite!”. Stringendo forte la mano ai suoi nove figli, che saranno dieci appena quello che ha in grembo nascerà, Kathrin Gilligan, 39 anni, americana di origini irachene, è venuta dalla Florida a rendere il suo grazie a Giovanni Paolo II. venuta con tutti i suoi figli, l’ultimo dei quali, un anno, lo ha chiamato John Paul, come il papa, come l’uomo che è venuta da lontano a salutare, a invocarne l’intercessione. ”He’s a saint”» (Zanini). [12]

Astrofisica di un dramma planetario. Secondo il poeta Valerio Magrelli, ciò che è accaduto a Roma «può essere descritto come l’effetto di una vera e propria catastrofe siderale. Le masse che da tutto il mondo convergono in Vaticano, sembrano infatti obbedire alla stessa legge che guida il movimento della materia di fronte all’implosione di una stella. Simile alla scomparsa di un corpo celeste, la morte del papa ha creato un enorme vuoto che stuoli di credenti cercano di riempire con la loro presenza. Al pari di un immenso gorgo che avesse al centro la salma di Wojtyla, piazza San Pietro attrae e risucchia centinaia di migliaia di testimoni oculari, accorsi per colmare una mancanza intollerabile». [13]

Caput mundi. Serra: «La Roma organizzata, ospitale e paziente che esce indenne da questi lunghi e specialissimi giorni è una capitale del mondo [...]. La magnificenza delle immagini aeree, monumentali e brulicanti, con un Tevere parallelo di corpi che fluiva tra le pietre antiche e sopra i ponti, dava un’idea d’ordine e di pace che rassicurava anche gli scettici e i distanti, e un poco inorgogliva. Era come se lo tsunami del pellegrinaggio di massa, non importa in quale dosaggio di fede e in quale di fregola presenzialista, fosse già previsto dalla struttura stessa, enorme e prospettica, della capitale del cristianesimo nonché del nostro vecchio Paese». [14] Gramellini: «La macchina dello Stato ha retto con piglio asburgico. Il sindaco di sinistra e il governo di destra hanno collaborato come quei vecchi amici che non sono. Ma nemmeno questo, che è già tanto, sarebbe bastato a garantire all’Italia il figurone planetario che ha fatto, se non fosse stato per l’indole accomodante dei romani, i quali hanno sopportato i disagi con un tale senso dell’ineluttabile che d’ora in poi i monaci zen sembreranno al confronto una congrega di nevrotici». [15]

Epitaffi, tra kitsch e pasquinate. «Uno squarcio nel cielo e già mi sembra di vederti: bello, giovane e forte, seduto su una roccia con una margherita in bocca, mentre sorridi divertito per il meraviglioso scompiglio che ha creato la tua morte» (A. Celentano) [16]. «Sulla statua di Pasquino: ”Sei nato polacco, sei morto romano. Er prete dell’Urbe che toje ’e frontiere. E la gente se parla, sei stato ’n sovrano”». [17]

L’orso di Zakopane. «Bronislaw Wojcik, 62 anni, medico reumatologo in sandali e calzerotti, è un veterano dei pellegrinaggi: ”Lo conosco da quand’era vescovo di Cracovia. Nell’87 l’ho rivisto a Castel Gandolfo. Lui s’è fatto fotografare con tutti. Poi ha detto: sono come l’orso di Zakopane. Sa, a Zakopane c’è un vecchio orso con cui tutti si fanno la foto. Era anche spiritoso, il papa”». [18]