Adriano Sofri la Repubblica, 13/03/2005, 13 marzo 2005
Oltre a Maskhadov, anche Russia e Cecenia sono morte a Tolstoj-yurt, la Repubblica, domenica 13 marzo 2005 Sapete che Aslan Maskhadov, già presidente della Repubblica cecena di Ichkeria, designato nel 1996 in elezioni controllate dall’Ocse, è morto ammazzato e tradito nella cantina di un villaggio che si chiama, figuratevi, Tolstoj-yurt
Oltre a Maskhadov, anche Russia e Cecenia sono morte a Tolstoj-yurt, la Repubblica, domenica 13 marzo 2005 Sapete che Aslan Maskhadov, già presidente della Repubblica cecena di Ichkeria, designato nel 1996 in elezioni controllate dall’Ocse, è morto ammazzato e tradito nella cantina di un villaggio che si chiama, figuratevi, Tolstoj-yurt. Alcuni telegiornali l’hanno distrattamente definito come mandante o complice dell’orrore di Beslan: non lo era, e non meritava quella calunnia, la più infamante. Alcuni giornali hanno scritto che con la sua uccisione scompare l’ultimo interlocutore possibile di una soluzione negoziata della tragedia russo-cecena. Non è vero: quel negoziato era da tempo impossibile, e Maskhadov era un morto che cammina. Era impossibile perché Putin e i suoi generali l’avevano cancellato dal loro orizzonte, per odio prima ancora che per calcolo politico, consegnando così Maskhadov all’impotenza e alla frustrazione di fronte all’oltranzismo cinico di Shamil Basaev e dei terroristi suicidi. Dunque commemoro la morte di Maskhadov non come un colpo fatale alla speranza di un negoziato, o come un regalo fatto all’estremismo islamista: tutto ciò era consumato, e l’avevo scritto qui da tempo. Commemoro la morte solitaria di un uomo, e il suo tragico destino. Lo faccio anche, come dirò, per un fatto personale. Aslan Maskhadov era un militare di professione addestrato nelle file dell’Armata Rossa, colonnello messo ancora alla prova nella repressione dell’indipendentismo baltico, come il suo eroe imminente, il generale dell’aeronautica sovietica Dzokhar Dudaev. Militari di carriera, e prodi, Dudaev in modo impetuoso, e Maskhadov più metodicamente e discretamente. Stiamo parlando della Russia, 145 milioni di abitanti, e della Cecenia, neanche un milione. Nella prima guerra russo-cecena - la prima di due guerre nel giro di dieci anni! - Maskhadov era stato il comandante in capo delle forze cecene, valoroso nella resistenza regolare come Basaev e altri giovani guerrieri erano valorosi nelle sfide spavalde e sfrenate. Maskhadov era personalmente serio e schivo. Lo vidi pressoché ogni giorno per un mese, quando era il sicuro presidente in pectore di una repubblica riconosciuta, e aveva sempre un atteggiamento misurato, che di fronte alla telecamera o al registratore si mutava in una vera timidezza. Nell’intervallo fra le due guerre - un’unica guerra spietata con una illusoria pausa di pace - c’era un solo posto telefonico nel centro di Grozny, e ogni sera i capi del Paese ci venivano, con le loro scorte di ragazzi armati e chiassosi. Uno dei figli di Maskhadov passava il suo tempo in una roulotte sgangherata parcheggiata di fronte, in cui un pugno di giovani intraprendenti, reduci alcuni dagli studi in Europa o in America, avevano installato un computer e si cimentavano con le meraviglie di Internet. Il figlio di Maskhadov fu ammazzato presto alla ripresa della guerra, e altri della sua famiglia ebbero la stessa sorte. I superstiti sono stati alla fine sequestrati dai russi e dai loro scherani locali, le bande dei Khadirov, e tenuti in ostaggio, secondo l’usanza, per fiaccare la sua tenacia. Conoscete il repertorio di quella sedicente guerra: sequestri di famiglie, sparizione di persone seguita benignamente dalla restituzione dei cadaveri in cambio di denaro e gioielli, stupri, torture. Maskhadov aveva concluso col generale Lebed la fine della guerra. Dudaev era già morto in un attentato russo. Lebed sarebbe morto in un incidente russo. Nelle elezioni presidenziali del 1996, Maskhadov aveva dei concorrenti, e fra loro Zelimkhan Yandarbiev e il giovane Basaev. L’islamista Yandarbiev è morto nel Golfo in un attentato di sicari russi. Basaev è ancora vivo, ha solo perso una gamba su una mina, e in quella circostanza tenne a farsela amputare in pubblico, e senza anestesia, perché così fa un combattente ceceno. La sua leggendaria prodezza si piegò dopo quell’effimera tregua agli azzardi più loscamente provocatori e alle gesta più infami, fino a Beslan. In lui la virile audacia personale ha mostrato oltre ogni misura la vicinanza, e poi lo sconfinamento, nella brutalità più ripugnante. Beslan, appunto, e prima il plagio o la violenza su donne mandate a uccidere e uccidersi. Nessuna nefandezza è ormai fuori dalla portata di Basaev e dei suoi. Dapprincipio né Basaev né Maskhadov erano così fervidi islamisti. Basaev lo diventò, in uno dei suoi travestimenti da avventuriero. Maskhadov non lo diventò mai, ma vi cedette con una incresciosa riluttanza, quando si rassegnò all’introduzione della sharia, e poi quando la resistenza armata diventò sempre più tributaria del sostegno arabo. La campagna presidenziale alla fine del 1996, forse perché potetti assistervi e per così dire parteciparne, perché correvo dietro quotidianamente a tutti i capi ceceni che collaborassero alla restituzione degli italiani rapiti, mi sembra ancora l’incubatrice fatale della tragedia a venire. Basaev era l’idolo della sua gente, aveva trent’anni, si illuse che la devozione popolare per il figlio eroe si traducesse nel voto. Ma i popoli, anche il ceceno, sono romantici e saggi insieme. Abbracciano Basaev con le lacrime agli occhi, e votano per il grigio e responsabile Maskhadov. Discussi animatamente con Basaev della sua candidatura. Aveva tanto tempo. Ma lui era troppo giovane, dunque aveva fretta. Nelle elezioni non arrivò nemmeno al ballottaggio. L’affidabile Maskhadov sconfisse nettamente Yandarbiev, che doveva la sua poca reputazione alla successione provvisoria a Dudaev assassinato. Dopo, per un breve tempo, la Cecenia di fatto indipendente dovette misurarsi con se stessa, mentre i generali umiliati di Mosca covavano la vendetta, e si preparava l’ora di Putin. Con quella specie di pace la leggendaria unità dei ceceni di fronte al secolare nemico russo andava in pezzi, nel feudalesimo dei signori della guerra e la sfrenatezza criminale delle bande armate. Basaev oscillò per qualche tempo fra l’affarismo privato e la corresponsabilità col nuovo Stato, e arrivò fino a diventarne il primo ministro. Fu lui, e il vanesio emiro Khattab, a scatenare la demenziale impresa daghestana, fallita e ridicolizzata, ma bastante a dare al Cremlino l’occasione che aspettava. Poi Maskhadov restò il più autorevole leader del suo popolo, ma il suo prestigio era ormai ferito dalla prova mancata della presidenza e dalla debolezza nei confronti dell’avventurismo islamista. Non cessò mai di chiedere una soluzione negoziata, ai russi e a Putin personalmente, e all’Onu, all’Europa, agli Stati Uniti. Se avesse trovato una sponda appena salda, la sua leadership avrebbe ripreso vigore, e la sua condanna dell’estremismo si sarebbe sbarazzata dei compromessi. Nei suoi appelli sempre più frustrati, Maskhadov arrivò a sottoscrivere dichiarazioni non-violente, incredibili ad ascoltarsi in quel Caucaso e in quelle circostanze. Si nascondeva da sei anni nella sua terra bruciata, e intanto i capi russi lo presentavano al mondo come il più pericoloso dei terroristi, gli mettevano addosso una taglia di decine di miliardi, lo additavano come un accolito di Basaev. Ogni tanto fra gli «esperti» e fra gli appassionati al destino ceceno (e dunque russo, dell’altra Russia), gruzzolo di persone sempre più sfiduciate e amare, rinasceva la voce che stessero per aprirsi trattative fra Putin e Maskhadov, anzi che si fossero già segretamente incontrati, che da un momento all’altro sarebbe arrivata la svolta. Io avevo smesso da tanto tempo di crederci. Per questo ho guardato a quel torso nudo esibito in un cortile come a uno che è morto solo, un bandito Giuliano ormai senza fili. Non mi aspettavo più niente da Maskhadov, quanto alla Storia, alla Guerra e alla Pace. Per questo, dalla posizione un po’ grottesca in cui mi trovo, commemoro alla buona quell’uomo ammazzato in una cantina di un villaggio. Però la grandezza, che si ride della Storia, ma spesso infila uno zampino malizioso nelle nostre giornate, si è insinuata nel nome del villaggio estremo di Maskhadov: Tolstoj-yurt, dal grande scrittore che fu di guarnigione in Cecenia, e rese immortale la fierezza di quel popolo. La Russia e l’altra Russia si sono date appuntamento in quell’irrisorio villaggio. E il fatto personale? Nel gennaio del 1997 entrai in galera. Ero reduce da un secondo viaggio in Cecenia - ci ero stato la prima volta durante la guerra - in cui riuscimmo a tirar fuori vivi tre medici volontari italiani sequestrati. Stetti giorno e notte con quelle persone, anche Aslan Maskhadov, anche Shamil Basaev, anche quel detestabile Khattab. Non me ne preoccupai affatto, c’era la pace, avevo una cosa da fare, e poi avevo letto La figlia del capitano, e sapevo che può capitare di fare un viaggio nella neve con Pugaciov. Insomma entrai in galera, e dopo un po’ ricevetti la copia di un messaggio solenne che il presidente eletto della Repubblica cecena di Ichkeria, Aslan Maskhadov, e il capo di quel governo, Shamil Basaev, avevano indirizzato al Quirinale, per parlare di me e auspicare la mia liberazione. Com’è la vita. Adriano Sofri